l'Antipatico

venerdì 31 luglio 2009

poteva anche buttarsi di sotto...


Naturalmente la mia è una battuta, ma fino a un certo punto. Vedendolo in cima a quel montacarichi non è che ci stava proprio male un bel tuffo nel vuoto. Il presidente del Consiglio non perde occasione (nemmeno quando sarebbe ora di andarsene in ferie) per i suoi istrionici e fuori luogo instant show. Tanto per cambiare in quella che oramai è la sua terra di adozione (chiedere agli abruzzesi se sono d'accordo). Sale sul montacarichi e si fa portare sul tetto di una casa in costruzione dove scioglie il nastro che tiene chiusa una bandiera italiana. Il tricolore, una volta liberato, garrisce al vento, con accanto il volto sorridente del Pifferaio di Arcore. Il palcoscenico della piazzata è quello di Bazzano, una delle zone dove sorgeranno le tremila casette destinate ai terremotati aquilani. L'attore protagonista, manco a dirlo, Silvio B. che con la scusa dei sopralluoghi ripassa la parte di attore consumato. Una scena che oramai è destinata a ripetersi spesso, visto che il premier ha fatto sapere che durante il mese di agosto almeno una volta a settimana si recherà in terra abruzzese per seguire i lavori. Ora, non è una novità il fatto che Berlusconi abbia puntato parecchio sulla gestione del post terremoto aquilano, e di conseguenza sta mettendo in campo tutta la sua moral suasion nei confronti di Giulio Tremonti (che ha la cassa) e di Guido Bertolaso (che coordina il progetto) affinché i prefabbricati siano pronti il più presto possibile. L’ossessione del premier, soprattutto mediatica, per la costruzione delle casette cela un problema ben più grosso, che in autunno rischia di esplodere nelle mani del governo: la ricostruzione vera e propria dell’Aquila ancora non è partita e sconta ritardi importanti. Il primo segnale d’allarme l’ha lanciato un paio di giorni fa proprio Bertolaso, che si è chiesto come mai le domande per i contributi statali fossero ancora poche, due o tremila. Si tratta di quelle per accedere ai 10mila euro destinati a case che hanno pochi danni e che velocemente potrebbero essere di nuovo abitabili. Alla domanda ha risposto sconsolato il sindaco aquilano, Massimo Cialente, che ha spiegato come il governo e la Protezione civile abbiano messo più di un paletto burocratico nelle procedure. In sostanza, sebbene l’ordinanza sia stata firmata il 25 maggio, tutti quei passaggi necessari per renderla operativa sono stati compiuti solo una settimana fa. Questo per le abitazioni danneggiate. Per quanto riguarda invece quelle inagibili regna ancora l’incertezza: non è possibile presentare nessuna domanda. Il risultato è un centro storico aquilano paralizzato. E il problema principale è sempre lo stesso: i soldi. Cialente sostiene di aver ricevuto da pochi giorni solo 20 milioni a fronte dei 120 necessari. Con la ricostruzione ancora in alto mare, dunque, per il governo diventa imprescindibile puntare sulle casette, che a regime daranno alloggi a 15mila persone. Ma cosa succederà agli altri 35mila sfollati meno fortunati? Il premier, in una pausa tra una pagliacciata e l'altra, ha annunciato che lo stato si farà carico di appartamenti sfitti e di villette per 11mila persone. Ne mancano però all’appello ancora 24mila. È qui che a Berlusconi viene in soccorso la sua proverbiale fantasia. Ad agosto verrà fatto un censimento fra gli aquilani, che potranno scegliere se andare nelle nuove casette o in uno degli appartamenti sfitti o in alternativa a casa di parenti e/o amici. In quest’ultimo caso, il governo darà un contributo mensile di 600 euro. Una sorta di social card per i terremotati. Geniale, n'est pas?

giovedì 30 luglio 2009

l'immunità paga sempre


Non sia mai detto che un ministro berlusconiano debba rispondere di fronte alla giustizia. Ma come, il principe delle menzogne si cuce addosso leggi e cavilli per non andare in galera e lascia che ci vada un suo fedele sottoposto? E così, come da pronostico, il ministro Altero Matteoli si è salvato. Anzi, l'hanno salvato. Nessuna autorizzazione a procedere nei suoi confronti, per una brutta storia risalente al 2004 con l'accusa di favoreggiamento nell'ambito di un'inchiesta per abusi edilizi sull'isola d'Elba. La Giunta per le autorizzazioni della Camera ha approvato la relazione di Maurizio Paniz (PdL) che toglie dall'imbarazzo il ministro delle Infrastrutture, tra le proteste dell'opposizione, e che non sarà dunque processato. Mettendo così fine a una querelle cominciata cinque anni prima e condita da diversi colpi di scena. All'epoca dei fatti Matteoli era sempre ministro ma si occupava di Ambiente. Un giorno prese il telefono e chiamò il prefetto di Livorno per avere informazioni su una voce di una denuncia a suo carico per abusi edilizi commessi sull'isola toscana. La notizia si rivelò vera, peccato però che il prefetto livornese non ne sapesse ancora nulla, e così Matteoli si beccò due belle denunce: una per favoreggiamento e un'altra per rivelazione di segreto d'ufficio in relazione all'inchiesta sul mostro di Procchio, un complesso in costruzione a Marciana, nell'isola d'Elba. Inchiesta che ha coinvolto, fra gli altri, un giudice e due prefetti accusati di corruzione. A quel punto la palla passa ad un pubblico ministero di Livorno che, una volta esaminate le carte, decide per l'archiviazione. Sbugiardato pochi giorni dopo dal Gip che ritenne invece valide le accuse. E mandò avanti il procedimento senza però chiedere l'autorizzazione a procedere, giudicando la telefonata di Matteoli un atto non compiuto nelle funzioni di ministro, e dunque senza bisogno di un via libera parlamentare. Tutto risolto? Neanche per idea. Il nuovo stop arriva direttamente dalla Camera dei Deputati, allora presieduta da Fausto Bertinotti, che approva a larga maggioranza la decisione di trasmettere il quesito alla Corte Costituzionale, l'unico organo considerato idoneo a stabilire se un reato può essere o meno considerato ministeriale. Ma per non perder tempo, il ministro Matteoli si porta avanti con il lavoro e dà incarico al suo legale (e collega di AN) Giuseppe Consolo di studiare il caso e trovare una soluzione. Detto fatto: l'avvocato presenta un progetto di legge in cui chiariva una norma costituzionale del 1989 riguardante i reati ministeriali. Il testo però non è stato mai discusso, ed è ora superato dal voto compatto dell'altro giorno della maggioranza a favore della relazione di Paniz, che ora passa al vaglio dell'Aula. L'opposizione ha votato contro ad eccezione della deputata del PD Donatella Ferranti che ha ritenuto la votazione della Giunta illegittima in quanto, come ha spiegato Pierluigi Castagnetti, «l'Autorità Giudiziaria non ci ha dato comunicazione di nulla: nè dell'archiviazione del procedimento, nè della richiesta di autorizzazione a procedere». Lo scorso 9 luglio, infatti, la Corte Costituzionale aveva annullato il rinvio a giudizio del tribunale di Livorno nei confronti del ministro Matteoli, dando così ragione alla Camera dei Deputati che aveva sollevato un conflitto tra poteri. Morale della favola? L'immunità paga sempre e il tutto finisce ogni volta a tarallucci e vino. Di quello buono. Possibilmente toscano.

martedì 28 luglio 2009

Ci vuole una SVOLTA


Dopo aver letto l'ottimo post di Nomadus, che tocca uno dei tanti temi "caldi" di questa Italia odierna così decaduta, mi appronto a ritornarvi, domani mattina. Potrò di nuovo vivere di persona tutte le incredibili contraddizioni e vergogne che ci assillano, e la paurosa indifferenza dei miei connazionali, rimanendo sempre piu' allibito di fronte a tanto sfacelo. Ma neppure si può sempre e solo constatare il pietoso stato di cose, bisogna cercare di capire le ragioni e cercare delle soluzioni, per lo meno a livello individuale. Provengo da un paese dell'entroterra savonese, che ho visto negli ultimi dieci anni diventare da una ridente cittadina, dove ho passato una meravigliosa adolescenza, a un luogo socialmente morto, dove i ragazzi di oggi non immagino cosa possano fare; hanno chiuso le due discoteche, il cinema e la stragrande maggioranza dei bar storici e dei luoghi di ritrovo. La gente addirittura ha paura di uscire per fare due passi perchè "non si sente manco piu' parlare italiano". E ho constatato che non è un luogo comune, ma la verità. Però ciò accade perchè la gente, NOI italiani, abbiamo lasciato andare tutto a perdere, e poi ci lamentiamo perchè ormai solo gli immigrati fanno quello che una volta era così normale e tutti facevano: uscire, incontrarsi, parlare, divertirsi, camminare... L'altro ieri, leggendo Il Giornale online (lo faccio spesso per avere la percezione della "maggioranza"), ho trovato due articoli, anzi uno, particolarmente interessante. Viene in una sezione che possiamo definire di risposta a Ezio Mauro e Tonino di Pietro sul paventato rischio che sta correndo la democrazia in Italia. Immancabili, le penne schierate sotto i tacchi del Pifferaio prendono le difese della nostra maltrattata (dagli inglesi) Nazione, e pretendono di spiegare agli amici britannici perchè i succitati personaggi stanno dicendo sciocchezze. Uno, di Mario Cervi, risponde al solito schema del Giornale: attacchi sarcastici in stile abbastanza grossolano, specialmente a Di Pietro, con saccente difesa a oltranza dell'operato del Cavaliere. Amen. L'altro, di tal Giordano Bruno Guerri, mi ha lasciato alquanto sorpreso e mi ha fatto riflettere assai. Il giornalista in questione si è poi rivelato un amante del cosiddetto revisionismo storico (nella fattispecie del fascismo), e di certo non è un riformista nè un fan delle sinistre. E proprio per questo stupisce che il suo articolo, benchè spalleggi ampiamente l'operato del nostro pornopresidente, porti anche delle critiche che non esito a definire intelligenti e oneste, e abbia un taglio critico e ben strutturato, lungi dal servilismo aberrante che quasi sempre riscontro su questa odiosa testata. La cosa che mi ha fatto seriamente riflettere, e che il Guerri argomenta con studiata sapienza, credo che sia il quid di tutta la questione italiota di oggi. Ovvero: Berlusconi viene definito da molta gente (comunque non abbastanza) un personaggio ripugnante, un ladro, un mafioso e quant'altro. All'estero allibiscono ogni giorno per come possiamo tollerare questa situazione, ed esserne pure felici. Però è altresì vero che pur io stesso paventando il rischio di una dittatura "soft", il nostro Pifferaio è arrivato dov'è non grazie a colpi di stato ma in seguito a democratiche elezioni. E che quando si era riuscito a cacciarlo, gli si è steso un tappeto rosso dopo pochissimo, per farlo ritornare al timone piu' forte di prima! Anche sulla sua genesi politica putroppo non c'è granchè da dire: nel momento dove la nostra beneamata Sinistra avrebbe potuto finalmente cogliere le redini del Paese, nel terribile momento dello sfascio della Prima Repubblica, un imprenditore semisconosciuto, spalleggiato dai poteri forti e occulti che non volevano farsi soffiare la torta, li ha messi in scacco in una sola mossa. Da allora, la storia degli schieramenti appartenenti al bacino del PCI, è stata un calvario inconcludente. Trasformazioni di nomi, anime e correnti si sono susseguite senza soluzione di continuità in un penoso affanno che non ha mai, mai portato a un risultato concreto contro Silvio Berlusconi. Nei momenti in cui avrebbero potuto, e dovuto, assestargli colpi decisivi, si sono sempre persi nella proverbiale dialettica del litigio e gli hanno regalato successi insperati. Ora, quello che sta succedendo negli ultimi anni è davvero preoccupante, la deriva democratica è evidente. Però mi sto rendendo conto sempre piu' chiaramente che piu' che uno strapotere del Pifferaio c'è stata una tremenda inettitudine dei suoi avversari. La caduta di Prodi via Mastella è stato il colpo di grazia per le sorti dei DS-Unione-PD che dir si voglia. Con l'aggravante che di certo l'Italia non è mai stato, non è nè mai sarà un Paese di sinistra e troppo amante del riformismo e della pluralità. Berlusconi si è trasformato nel nuovo Führer italico perchè praticamente non ha mai avuto degli avversari degni di questo nome, che lo abbiano seriamente ostacolato e che abbiano offerto al Paese un'alternativa crediblie, seria, papabile dalle masse cattocoatte. E lo scenario attuale è desolante! Finchè non si uscirà da questo imbarazzante impasse della Sinistra, o comunque dell'area avversa al PDL, le cose non cambieranno. A questo punto, aspettiamo il congresso del PD e vediamo...se da lì nascerà il seme questa improrogabile SVOLTA, necessaria e irrimandabile se vogliamo pensare anche solo lontanamente a un futuro senza Berlusconi, ma sopratutto senza questo senso di arretratezza culturale e di spofondamento morale che ci assedia. Voglio essere ottimista, ma riesco solo a chiudere con una frase che sintetizza il mio pensiero: sarà dura!

l'Italia (filoleghista) intollerante e razzista


Il Paese della pizza e del mandolino sta diventando sempre più il Paese del razzismo e della tolleranza zero. Non ci facciamo proprio una bella figura come Paese tra i Grandi, con un presidente del Consiglio che ancora si crede uno statista e con la Lega che si cuce addosso una camicia nera, soppiantando quella verde. Gli ultimi fatti di cronaca stanno lì a testimoniare come l'Italia sia diventata brutta, sporca e cattiva. Molto cattiva. Nessuno ha chiesto scusa (per esempio) a Mohamed Hailoua, un giovane marocchino residente in Italia dal 2004, escluso dall’assunzione all’Atm di Milano perché extracomunitario e poi riammesso dal tribunale del lavoro, che ha definito discriminatorio il comportamento dell’azienda dei trasporti milanese.
Come nessuno chiederà scusa ai presidi del Sud che il Consiglio provinciale di Vicenza non vuole dalle loro parti. E ci sarà forse chi chiederà scusa al ragazzo napoletano costretto a cambiare scuola a Treviso perché emarginato e offeso dai compagni?
Ebbene lo faccio io: a nome della gran parte degli italiani che ancora si indigna e rifiuta una deriva xenofoba. Quella stessa deriva a cui sta portando il risultato di una politica che mira a escludere e non a integrare e che si sta declinando in una miriade di fatti preoccupanti su tutto il territorio: dalle botte alla signora senegalese in un giardino pubblico di Torino, ai pesanti e volgari cori contro i napoletani nei raduni leghisti. In mezzo c’è la richiesta di non far salire cinesi e zingari sugli autobus di Firenze, perché puzzano; quella dei vagoni della metropolitana di Milano riservati agli italiani; la negazione della cittadinanza a un egiziano nella Bergamasca perché non conosce bene la grammatica italiana (proviamo a fare lo stesso con i nostri connazionali?). La cattiveria politica, sdoganata da un ministro della Repubblica, è entrata nelle scelte di vita quotidiana, e ogni azione che separa è accolta dal grido: «Finalmente, era ora!». Il professor Alessandro Campi, direttore della Fondazione Fare futuro di Gianfranco Fini, ha commentato: «La Lega e il leghismo hanno vinto la loro scommessa disgregante sul piano emotivo, mentale e della sensibilità collettiva». È un’amara constatazione, mentre ci si avvia alla celebrazione dei 150 anni dall’unità d’Italia. È ancora una nazione questa Italia lacerata da crescenti tensioni tra nordisti e sudisti, senza più senso di appartenenza e identità, tutti contro tutti, e ciascuno per suo conto, come scrive il sociologo Ilvo Diamanti su la Repubblica? Non ci va più bene neppure Cinecittà a Roma, ora si invoca Cinepadania per purificare l’accento troppo romanesco delle fiction tivù. Anche Sordi, l’Albertone nazionale, rischia di finire sacrificato sull’altare del sacro egoismo territoriale, diventato strumento di consenso. E spesso, di ricatto.
L’ultima trovata di una politica creativa si è avuta durante il dibattito sul decreto anticrisi: «Non perdiamo di vista l'obbiettivo della tutela delle famiglie e delle imprese del Nord, perchè saranno loro a tirarci fuori dalla crisi». Parola di un deputato del Carroccio. Benvenuti, quindi, nella nuova disunità d'Italia. Disfatta la nazione, siamo passati a disfare gli italiani! E così assistiamo alla nascita di un partito del Sud, mentre il Nord si arrocca nella sua presunta purezza padana, e il criterio della residenza viene annoverato tra i diritti per accedere a un posto di lavoro. E anche l’integrazione degli immigrati si vela di discriminazione se il ministero delle Pari opportunità propone una Commissione per la salute delle donne immigrate. E per i maschi irregolari? Non ci vorrà molto tempo, di questo passo, per sradicare dalla coscienza del Paese l’art. 3 della Costituzione italiana. Lo ripropongo, perché ognuno rifletta: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Vogliamo ancora continuare a essere una nazione? Io spero sempre di sì. Nonostante tutto.

domenica 26 luglio 2009

la trilogia (vergognosa) dello scudo fiscale


Il ritorno dello scudo fiscale 3. Come il se­quel di un film di successo, il con­dono fiscale per i capitali nascosti all’estero, dopo le fortunate edi­zioni del 2001 e del 2002, conoscerà un terzo episodio quest’anno. Il provvedimento ha ottenuto il via li­bera con il voto di fiducia alla Ca­mera sul decreto anticrisi, e sarà fruibile da subito. Non appena terminate le vacanze estive. Così, grazie alla premiata ditta Berlusconi & Tremonti, da settembre e fino ad apri­le 2010 chi ha esportato illegalmente at­tività finanziarie o patrimoniali in un paradiso fiscale all’estero potrà av­viare le pratiche per il rimpatrio e far pace con lo Stato, pagando non più del 5% del capitale occultato. Sin dai primi passi, come era prevedi­bile, il ritorno dello scudo 3 ha sollevato critiche e alimentato polemiche. Tra le ac­cuse mosse al governo, quella di a­ver concepito l’ennesimo condono a favore di chi si sottrae ai doveri fi­scali, di concedere il perdono tri­butario infliggendo agli evasori una penitenza tutto sommato lieve, ma soprattutto di contribuire ad ali­mentare il sospetto che in Italia chi fa il furbo, alla fine, la fa sem­pre franca. L'unico argomento che si può accettare di questa terza edizione dello scudo è solo quello inerente una certa utilità economica. Ipotizzando, come viene fatto infor­malmente, il rientro in patria di u­na somma tra i 50 e i 100 miliardi di euro (sui 550 miliardi che si stima­no nascosti), l’erario incasserebbe tra i 2,5 e i 5 miliardi di euro. Che in tempi di crisi sono oro colato per le asfittiche casse pubbliche, consi­derate le difficoltà nel reperire ri­sorse per la ricostruzione dell’A­bruzzo o il finanziamento degli interventi di politica sociale. Se il fine può, in una certa misura, giustificare il mezzo, i contorni di un tale provvedimento non sempre ne definiscono la sua cifra di equità. La sanzione prevista dallo scudo 3 può arrivare, se tutto va bene, al 5% delle somme rim­patriate: è il doppio del 2,5% delle due precedenti edizioni, ma pur sempre una cauzione leggera per gli habitué del turismo dei capitali. Negli altri Paesi, interessati a favo­rire l’emersione spontanea di capi­tali (lo ha rimarcato il governatore di Bankitalia Mario Draghi), chi ri­porta in patria la ricchezza nasco­sta è chiamato a pagare tutto il do­vuto con gli interessi, senza la co­pertura dell’anonimato garantita in Italia, mentre il premio non con­siste certamente nella protezione del tesoro quanto nel risparmio della sanzio­ne penale. Lo scudo made in Italy, nella sua lie­vità rispettosa, rischia di promuo­vere la sensazione di una legalità fluida, quasi un’ammissione di de­bolezza da parte dello Stato verso chi si fa beffe della sua macchina fiscale. U­na diluizione del rispetto dovuta an­che alla ripetitività dei provvedi­menti di condono. Per tali ragioni, la condizione necessaria al ritorno dello scudo impone che sia il prelu­dio a una nuova stagione di certez­za e di severità fiscale. Soprattutto che sia l’ultimo. L’atto finale della trilogia, non l’ennesima puntata di una fiction vergognosa.

mercoledì 22 luglio 2009

Che cosa dovremmo pensare?


Buonasera. Dopo lungo tempo mi rifaccio vivo.. Come scrissi a mó di commento l'ultima volta che partecipai al blog, la situazione mi pareva così demoralizzante, per la politica e la società italiana, che mi era passata la voglia di scrivere e di dibattere. Como ovvio, ho continuato a seguire i fatti dell'ex Belpaese e mantenermi informato su ció che accade nella nostra nazione. Ora, a distanza di qualche mese, mi sento ispirato per fare "il punto" sulla situazione. Purtroppo, la sensazione di amarezza e disgusto che avevo non solo è rimasta, ma posso dire che è pure peggiorata. Allora: Siamo ormai all'ennesimo capitolo della ormai definibile Telenovela Silvio 2009, dove dopo la ragazzina minorenne spuntano escort di lusso (per usare termini diciamo "politicamente corretti"), che espongono ai PM fatti documentati su vere e proprie orge a Palazzo Grazioli e Villa Certosa. La stampa estera (ovviamente di ispirazione riformista-di sinistra), riprende l'argomento a piu' riprese, condanna e si domanda come facciamo a tollerare, se non giustificare, comportamenti del genere. La stampa italiana, atrofizzata e manipolata stile Orwell (non mi stanco mai di sottolinearlo), si divide ormai tristemente in tre schieramenti: 1) Repubblica e il gruppo Espresso: i fustigatori, ormai dichiaratamente avversi al nostro Caudillo, ricercano ogni nuovo elemento che possa essere usato contro di lui. 2)Il Giornale, Libero, e tutta l'altra banda di testate perfettamente allineate col Pifferaio, che smontano ogni accusa e dipingono l'Italia idilliaca pilotata dal loro padrone e mentore. 3) Il Corriere, piu' altre testate locali, che hanno assunto un ruolo "neutro", non criticano nè assolvono. Ora, l'atteggiamento di Repubblica, per quanto trovi giusto che cerchi di fare chiarezza su questi fatti a dir poco allucinanti (non di per sè, ma per la gravitá che assumono in relazione a chi li compie), mi sta un pó preoccupando. Infatti, questa "crociata" sulle nefandezze sessuali del Pifferaio, aveva inizaialmente acceso in me una grossa lampadina: possono questi scandali di ragazze di facili costumi, in un Paese fondamentalmente bacchettone e moralista (anche se solo di facciata), arrivare dove non sono potuti arrivare giudici, processi per corruzione, concussione e ben altri e piu' gravi castighi di Dio? Ovvero: questi scandali innescati da Repubblica, possono essere davvero l'inzio di una inesorabile fine? Ora, passate alcune settimane, la sensazione iniziale sta volgendo a un'altra considerazione: non sta succedendo niente. Non solo, il silenzio della Chiesa, su fatti moralmente cosí deprecabili ai loro occhi (se escludiamo alcune sortite impersonali e assai leggere su libertinaggi gai e pericolosi), è un pò lo specchio del sentimento nazionale. Agli italiani fondamentalmente non solo non interessano le laidezze commesse dal nostro, ma sotto sotto lo ammirano, per essere a 73 anni ancora cosí "macho"! Quello che pensino invece i milioni di donne, specialmente al sud dove la mentalità su queste cose è assai antica, rimane un mistero. Forse alcune, come la Chiesa tacciono in nome della conservazione del "male minore", il dissennato ma necessario Pifferaio. Altre, forse sono troppo stanche e troppo emarginate da questa società maschilista e arretrata da poter dire qualcosa..chissà. Alla luce di questi fatti, la crociata di Repubblica si sta spostando su un piano di debolezza: visto che non si è innescato un meccanismo a catena di sdegno, condanna e repulsione generalizzato, rischia di apparire ormai un clone di Novella 2000, rafforzando indirettamente le critiche che gli muovono gli adepti dell'unto dal signore, di interessarsi morbosamente al talamo di Silvio piu' che al bene del Paese, parlando dei "reali problemi" che ci affliggono (e che solo Silvio può risolvere, beninteso). Che non siamo un Paese normale, nè civile, nè democratico, appare sempre piu' chiaro. Però queste vicende stanno raggiungendo livelli di degrado morale davvero disgustosi. Si legittima ormai ogni cosa, dalla corruzione al "libertinaggio", se compiuti da chi dovrebbe essere invece garante di moralità e integrità. Ma lo schifo che accompagna questi fatti a luci rosse non è solo, purtroppo. Continua infatti senza freni lo sfascio del PD, che continua a inanellare gaffe, sfortune e rimanere in balia di personaggi che del leader carismatico hanno poco o niente. Sulla nefasta vicenda dello stupratore seriale che si scopre essere coordinatore di un circolo, si riesce a litigare allegramente. Ora, forse le parole di Marino sono state troppo dure e troppo rapide, ma se ci si pensa un poco, come si fa a tesserare e far diventare coordinatore una persona con un precedente per tentato omicidio? Per favore... La vicenda Grillo ha riproposto amaramente la mancanza di spirito critico e combattivo di questo partito che ogni giorno sembra piu' vecchio e stantío: chiudendo la porta in faccia in quel modo alla provocazione di Grillo (perchè di quello si trattava), hanno fatto palesi tutte le loro paure e la loro piccolezza, dandosi ancora una volta la zappa sui piedi. Ora si ripropone con tutta la sua forza paradossale la scissione con Di Pietro. Questo, nel suo stile becero e populista, scrive lettere a Napolitano, chiedendo risposte e non offese (?). Ora, il problema esiste. Certe leggi effettivamente avrebbero potuto essere rimandate alle camere, invece che promulgate "con riserva", ma non saranno le lettere infuocate del grezzo ex PM a risolverlo. Anzi, questo innesca un meccansimo perverso: il PD lo attacca per svilire il ruolo del Capo dello Stato, incalzato dagli improbabili "colleghi di opposizione" del UDC, peró non fa nulla al proposito, rimane come sempre con le mani in mano e lancia un anatema. Alchè Di Pietro assume che il PD la pensa "diversamente" e lo manda ufficiosamente a quel paese, e un sacco di gente quindi pensa che solo Di Pietro fa vera opposizione, e questo prende sempre piu' voti. Come è ormai chiaro, non ci sarà un fronte unito di opposiziome IDV-PD, ma semmai un travaso ulteriore di voti dal PD all'IDV, frammentando ancora di piu' l'opposizione, che opposizione vera quindi non potrá fare. Mentre a ben pensare, se ci fosse un dialogo serio e intelligente tra queste due "forze", si sarebbe potuto far pervenire unitariamente al Presidente un messaggio con toni piu' seri, documentati, dando un'impressione di forza e di reale alternativa. Nel Pd si sono già create le varie correnti, al solito ex-DS contro ex-Margheriti, e un indipendente che pur avendo argomenti di rilievo, appare un pò troppo orientato a un laicismo monotematico. Quello che uscirá dal congresso, temo che non sarà la soluzione ai problemi di identità di quello che dovrebbe essere il maggiore partito di opposizione e che sta diventando l'ombra di sè stesso. Questo tema del decadimento su tutti i fronti del PD è senza dubbio la cosa che mi preoccupa di piu', anche perchè non vedo alternative, nè miglioramenti all'orizzonte. Se penso poi che le uniche speranze erano rivolte al successo della campagna scandalistica condotta da Repubblica, che pare naufragare nel ventre molle, sempre piu' molle del nostro Paese che si beve tutto, che non si scandalizza piu' per nulla, che cosa dovremmo pensare?

domenica 19 luglio 2009

(s)profondo Sud


Il Sud è in agonia. No, non lo dico io. Lo dice l'ultimo Rapporto dello SVIMEZ (http://www.svimez.it/) sullo stato dell’economia meridionale. In dieci anni, tra il 1997 e il 2008, circa settecentomila per­sone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Non si tratta di manovalanza generica, co­me era accaduto nel passato, ma dei giova­ni della potenziale classe dirigente meri­dionale, che fuggono dalle loro regioni di provenienza (l’87% viene da Campania, Puglia e Sicilia) dopo averne utilizzato le risorse per qualificarsi. E il fenomeno è in continuo aumento: "Nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%", rileva il Rapporto. Non solo. La fuga si verifica sempre più in anticipo. Rispetto ai primi anni 2000 sono «cresciuti i giovani meridionali trasferiti al Centro-Nord dopo il diploma che si sono laureati lì e lì lavorano». C’è poi il fenomeno dei pendolari di lungo raggio, che vivono al Sud e lavorano al Centro-Nord o all’estero, rientrando a casa nel week-end o un paio di volte al mese. Nel 2008, dice il Rapporto, sono stati centoset­tantatremila gli occupati residenti nel Mez­zogiorno ma con un posto di lavoro altro­ve, ventitremila in più del 2007 (+15,3%). Anche in questo caso si tratta di giovani con un livello di studio medio-alto: l’80% ha me­no di 45 anni, quasi il 50% svolge professioni di livello elevato e il 24% è laureato. Non sembra esagerata, davanti a queste ci­fre, la diagnosi complessiva contenuta nel Rapporto, dove l’Italia viene definita un «Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno, corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera». Per quelli che rimangono, il destino è segnato: nel 2008 (sempre secondo il Rapporto) solo il 17% dei giovani meridionali tra i 15 e i 24 anni lavora, contro il 30% del Centro-­Nord. Per non parlare dello smantellamento del sistema creditizio meridionale, che tra il 1990 e il 2001 ha visto diminuire del 46% il numero delle banche. Un fenomeno che ha creato una «forte dipendenza del sistema bancario meridionale dal Centro-Nord» e ha reso sempre più difficile alle imprese del Sud l’accesso al credito. Credo che sia giunto il momento di riflettere su ciò che sta ac­cadendo, prima che sia troppo tardi. Da molti anni oramai, l’antica questione meridionale sembra essere stata cancellata dall’agenda politica del nostro Paese e dei nostri politicanti. Al­l’impegno profuso nel dopoguerra dai go­verni nazionali per risolverla è subentrato, via via che gli insuccessi della politica me­ridionalista si accumulavano, un misto di frustrazione, di rassegnazione e perfino di fastidio. L’idea che si è fatta strada è che (parafrasando quanto Sciascia diceva ama­ramente della Sicilia) il Sud sia irredimibile. Nel frattempo è esplosa, sempre più ag­gressiva, la questione settentrionale, po­sta in primo piano da un Nord sempre più insofferente dei gravami imposti alla sua crescita dal ritardo del Mezzogiorno e sma­nioso di liberarsene agitando la bandiera di un certo federalismo. Ma veramente è corretto questo modo di presentare il problema? A metterlo in dub­bio sono state anche le pacate parole del Capo dello Sta­to: «Il fatto che le politiche di riequilibrio territoriale messe in atto in passato abbiano conseguito risultati insufficienti – ha os­servato Napolitano – rende certamente indispensabile un forte impegno di efficienza e di innovazione da parte delle istituzioni meridionali; ma questo impegno non sarebbe sufficiente senza il supporto di una strategia di politica economica nazionale mirata al superamento dei divari in termini di dotazione di infrastrutture, di investimento in capitale umano, di rendimento delle amministrazioni pubbliche e di qualità dei servizi pubblici». Dopo queste belle e sagge parole spese dal Presidente della Repubblica credo che solo un federalismo che si faccia carico di mettere a punto questa strategia può ri­spondere agli interessi non solo del Sud, ma dell’intero Paese. La linea dell’egoismo re­gionalistico può dare vantaggi immediati, ma alla lunga rischia di dissolvere l’identità nazionale. E questo una politica responsa­bile verso il bene comune non se lo può proprio permettere.

giovedì 16 luglio 2009

il caso Grillo & la ragnatela del PD




Non ho voluto intervenire nei giorni scorsi sulla querelle sorta dopo la rumorosa uscita di Beppe Grillo che annunciava la sua candidatura a segretario del Partito Democratico. Non l'ho fatto anche per leggere meglio tra le righe messaggi e interpretazioni di questo ennesimo strano modo di conflittualità basata a volte sul niente, o sul poco. La provocazione politica del comico e blogger genovese rappresenta pur sempre, a mio giudizio, un minuscolo episodio, nel quale a una palese e roboante strumentalizzazione politica si contrappone una contestazione anagrafica, dove si può leggere il problema di fondo del PD. In questo partito, che pure è un grande partito con la responsabilità principale dell’opposizione che è funzione essenziale della democrazia, non c’è nessuno che abbia l’autorità per dire semplicemente e conclusivamente che per chi insulta metodicamente il Presidente della Repubblica, il Parlamento, e, già che c’è, anche il Pontefice, in questo partito, dicevo, non c’è posto per evidenti ragioni politiche. D’altra parte, chi lo facesse, si troverebbe immediatamente immerso in una ragnatela di controversie giurisdizionali e burocratiche, consentite da uno statuto la cui stesura era stata attribuita da Franco Marini a un perfido dottor Stranamore. Lo statuto, naturalmente, non è la causa ma la conseguenza della difficoltà di decisione e di scelta che caratterizza il PD e non da oggi. Se oggi un dileggiatore professionale del PD può proporsi di diventarne segretario è perché nei suoi confronti non è stata condotta una critica seria quando era ora. L’idea elementare e sbagliata che, in fondo, tutto quel che si agita contro il governo può aiutare l’opposizione, ha impedito al Partito Democratico di darsi un carattere pienamente autonomo e riconoscibile, nonostante le opposte proclamazioni di autosufficienza maggioritaria. La difficoltà a far emergere le questioni politiche in un confronto netto e chiaro, d’altra parte, anche su un piano più serio, lascia spazio a chi propone prospettive parziali e quasi monotematiche, come quelle sostanzialmente favorevoli all’eutanasia sostenute da Ignazio Marino. Sembra che si vada verso un partito che non riesce a sciogliere, in modo comprensibile e secondo il principio maggioritario, le alternative che si pongono su questioni tipicamente politiche, da quella delle riforme istituzionali alla linea di politica economica, mentre rischia di negare la prevalenza della coscienza sulle questioni che rivestono un carattere etico prevalente. Esattamente l’inverso di quel che sarebbe necessario, e che peraltro sta scritto nei dimenticati documenti di fondazione, a cominciare dalla cosiddetta carta dei principii. Non c’è da rallegrarsi, nemmeno da parte della maggioranza, di una deriva confusa e inconcludente per la maggiore forza di opposizione. Una democrazia compiuta si basa sulla competizione tra due classi dirigenti politiche che interpretano in modo alternativo l’interesse nazionale. Se questo carattere viene meno da una parte, è in pericolo anche dall’altra. Il problema è che la qualità del ceto politico del PD, indebolito dalle sconfitte elettorali, richiede uno scatto, un’assunzione di responsabilità nazionale e civile che gli permetta di distaccarsi con autorevolezza da un fondo paludoso fatto di insinuazioni, di propagandismi estemporanei, di radicalismi strumentali. Questa è la prova vera che attenderà il partito il prossimo 11 ottobre in occasione del congresso. E non sarà una prova facile.

sabato 11 luglio 2009

lo Squalo & il Caimano


Avere a disposizione una contraerea mediatica di notevole portata è pur sempre una bella soddisfazione. Ovviamente per il proprietario del giornale. In questo caso il Giornale, quello di casa Berlusconi. Nessuno può davvero dire se il fragoroso cannoneggiamento, da parte del galeone di famiglia del Caimano, scatenato ieri mattina contro l’Invincibile Tycoon Rupert Murdoch sia una manovra tattica o se, invece, l’operazione abbia un respiro strategico. In altre parole: nessuno, tranne il Caimano e lo Squalo (i quali hanno rotto i rapporti personali da mesi e si parlano solamente attraverso terzi) può dire se il nuovo, e stavolta più violento contrattacco del quotidiano del Cavaliere, sia una rabbiosa rappresaglia contro le reiterate incursioni del Times e del Wall Street Journal sulle vicende del nostro premier a proposito dello scandalo delle donnine, oppure una bombardata mediatica tirata in mezzo al tavolo dei negoziati in corso sulla permanenza o meno della RAI nella piattaforma satellitare SKY di Murdoch, guarda caso a pochi giorni dalla convocazione di una riunione del Cda di viale Mazzini che discuterà proprio di questo. Oppure c’è dell’altro: c’è l’avvio di una massiccia e sistematica campagna di martellamento delle posizioni italiane da parte del magnate dell’editoria australiano, nel timore che il circuito mediatico e informativo di SKY si faccia via via sempre meno friendly e possa influenzare negativamente l’opinione pubblica rispetto all’azione del governo guidato dal Pifferaio di Arcore nei difficili mesi a venire. Nei giorni del G8, mentre gli adulatori berlusconiani cantavano il successo del summit aquilano, il Giornale del Cavaliere ha preferito dedicare la propria apertura di prima pagina all’inchiesta sul News of the World, la corazzata della stampa popolare britannica, rilanciando una serie di indiscrezioni del Guardian. «Beccato Murdoch, faceva spiare i vip. Il gioco sporco dello Squalo, che fa la morale al Cavaliere: tra ministri e star duemila intercettati». Questo il titolo altisonante scelto da quel popò di direttore che risponde al nome di Mario Giordano. Una brutta storia che risale al 2007 e che riguarda la condotta irregolare di alcuni giornalisti del gruppo Murdoch, vicenda che il Giornale brandisce come una clava. Ieri addirittura pubblicando una grande foto del più potente editore del mondo che sovrasta una mini foto di Berlusconi e Obama al G8. Che il mondo del Biscione prema per far scendere la RAI dalla piattaforma SKY non è un mistero. Né stupisce più di tanto che il quotidiano berlusconiano, in questa fase, manovri di conserva gli uomini Mediaset piazzati dal PdL al settimo piano di viale Mazzini e usi ogni mezzo per provocare, condizionare e tenere sotto pressione (come meglio può) la colonia italiana dell’impero di Murdoch, il competitor che ha superato per incassi l’azienda televisiva del premier. Ma c’è chi vede, dietro l’incattivirsi dello scontro tra il Caimano e Lo Squalo, il consumarsi di una rottura definitiva. I due miliardari potranno anche scendere a patti e firmare tregue su questo o su quello, ciascuno difendendo al meglio la propria roba. Ma molto probabilòmente non saranno mai più in grado di poter siglare una vera pace. L’anomalia di un Berlusconi editore sceso in politica e lì piantato da quindici anni (esercitando nel contempo il ruolo di regolatore in quanto governante) ne fa oggettivamente per Murdoch un nemico da abbattere. Qualcosa di molto diverso da un normale competitor industriale. Il Pifferaio, per parte sua, ha avuto negli ultimi due mesi conferma della definitiva svolta di Murdoch. Quel che più teme è che, politicamente, l’ultraconservatore australiano occhieggerà a chiunque altro in Italia, piuttosto che a lui. Un’anomalia effetto di quell’altra: mannaggia al conflitto di interessi...

giovedì 9 luglio 2009

gli aquilani sono incazzati (e hanno ragione)


Forse qualcuno l'avrà presa come una goliardata. Qualche altro l'avrà rubricata alla voce insofferenza e scontento. Ma la scritta che campeggiava ieri sulle colline sopra L'Aquila (Yes, we camp!) non credo possa essere sottovalutata. E' l'indicatore più attendibile della misura oramai colma degli aquilani. La loro pazienza sta terminando, qualunque cosa dica il presidente del Consiglio. Dopo la pioggia, il caldo soffocante: i disagi non mancano mai per i terremotati. Gli anziani e i bambini sono quelli più deboli e ne risentono ovviamente in misura maggiore. Ma tutto questo, forse, ai Grandi della Terra poco importa. Men che meno al Pifferaio di Arcore. Navigando in Rete ho trovato una sorta di manifesto politico e umano scritto da un anonimo aquilano, leggermente incazzato. Ve lo voglio ripropore integralmente. E auspico approfondite riflessioni. Yes, We Camp! è il grido di denuncia della gestione scellerata dell’emergenza post-sisma. Per la prima volta nella storia recente dei terremoti, dopo tre mesi la popolazione è ancora sotto le tende e ci dovrà stare, secondo i piani del Governo, ancora per molto. Yes, We Camp! per smascherare le menzogne e le mancate promesse del presidente del Consiglio. Dopo tante parole nessun fatto. I provvedimenti sono del tutto insufficienti, i soldi stanziati troppo pochi. Yes, We Camp! per urlare tutti fuori dalle tende, ora! Si requisiscano le case sfitte o invendute, si installino container, roulotte, casette di legno. Nei campi la popolazione è stanca e i più deboli, in particolare gli anziani, muoiono ogni giorno di più. Yes, We Camp! per affermare che tutti gli aquilani debbono tornare all’Aquila. Non si pensi a settembre di sistemare un solo abitante fuori dal proprio comune, in alberghi della regione. Ci opporremo a questa deportazione con ogni mezzo necessario. Yes, We Camp! per constatare che si sono persi inutilmente tre mesi: nessuna opera di ricostruzione, solo lavori per il G8. Yes, We Camp! per denunciare il processo di devastazione ambientale e sociale del nostro territorio perpetrato mediante il piano CASE. Non vogliamo una grande new town diffusa! Yes, We Camp! per informare tutto il mondo del processo di militarizzazione e confisca degli elementari diritti costituzionali nei campi: di informazione, di riunione, di espressione. Yes, We Camp! vuol dire 100% ricostruzione, trasparenza, partecipazione. Noi cittadini vogliamo essere gli artefici delle scelte che riguardano il nostro futuro. Non accettiamo decisioni prese dall’alto che non hanno a cuore il bene del territorio ma vanno a beneficio delle solite clientele e speculazioni. Yes, We Camp! è la nostra ironia per dire a tutti che siamo vivi e determinati a difendere e far rinascere la nostra Terra. Spente le luci accecanti della ribalta internazionale, rimarrà la targa ancora intatta all’ingresso del Castello dell’Aquila. La apposero i dominatori spagnoli nel cinquecento e recita: "ad reprimendam audaciam aquilanorum".

martedì 7 luglio 2009

città militarizzata


C'era da aspettarselo. Troppa tensione e troppa attesa per questo G8 abruzzese. A poche ore dall'inizio dell'evento una città, L'Aquila, si ritrova sotto assedio (non solo mediatico) e praticamente militarizzata, guardata a vista da 15 mila uomini armati fino ai denti. Non parliamo poi della caserma della Guardia di Finanza di Coppito: una sorta di Fort Knox italiano letteralmente inespugnabile. Manco Bin Laden potrebbe pensare a qualche ipotetico scherzetto. Chi arriva in città attraverso, l'autostrada A24 Roma-L'Aquila-Teramo, ha subito la percezione del livello di attenzione per il vertice aquilano. L'autostrada è presidiata a ogni svincolo. C'è polizia ovunque, in divisa e in borghese, anche nelle aree di servizio e nelle aree di sosta. Gli agenti sono pronti a controlli immediati e a bloccare le auto sospette. Su ogni cavalcavia (i viadotti sono considerati, infatti, obiettivi sensibili) sono posizionati gruppi di poliziotti armati. In alcuni tratti è difficile anche comunicare con i telefoni cellulari. La linea cade spesso e in alcune zone non c'è la copertura del segnale. I controlli sull'autostrada sono capillari. È questo, infatti, il percorso delle delegazioni straniere (tranne i leader che viaggeranno in elicottero) e dei rappresentanti dell'organizzazione che stanno raggiungendo il capoluogo abruzzese in queste ore. La polizia staziona davanti ai caselli autostradali dove le auto, obbligate al filtro del pagamento del pedaggio, vengono monitorate. I controlli vengono effettuati a campione. Di tanto in tanto si muovono anche le staffette che accompagnano le delegazioni straniere e si fanno largo in mezzo al traffico. La presenza delle auto della polizia viene assicurata giorno e notte. Senza pass non si passa. I varchi a ridosso della zona rossa sono interdetti a chiunque non sia autorizzato. Le auto vengono fermate e i visitatori vengono spediti tutti al centro commerciale L'Aquilone (però, che fantasia!) da dove partono le navette per raggiungere la scuola della GdF di Coppito. Impossibile, per chi deve fare la spesa, parcheggiare all'aperto. Tutti nei sotterranei, ugualmente presidiati anche da vigilantes privati. Il grande piazzale è off limits e i posti auto sono riservati solo a chi è munito di pass. Bar, gelateria e tavola calda fanno affari d'oro. Tuttavia, qualcun altro potrebbe chiudere entro 24 ore. Ieri, infatti, è stato fatto circolare un foglio-censimento per sondare la volontà dei negozianti di restare aperti o meno durante i giorni del G8. Intanto, alcuni dei commercianti che operano nelle vicinanze della zona rossa e che hanno già ricevuto da giorni la raccomandata con l'invito a chiudere, sfrutteranno fino all'ultimo la possibilità di lavorare. Alcuni venditori ambulanti, che si erano sistemati nelle solite zone da sempre usate per la vendita, sono stati fatti posizionare altrove. Insomma, si annuncia una sorta di the day after da domani a venerdì. Nella speranza che non ci siano altre forti scosse (no, non quelle evocate da D'Alema...) a far precipitare la situazione.

lunedì 6 luglio 2009

i mercati drogati & le iene della finanza


Ogni tanto distolgo la mia attenzione dai fatti della politica (anche da quelli con appendice porno) e cerco di capire i motivi che oramai da tempo stanno determinando il persistere di questa drammatica crisi finanziaria, anche se per qualcuno (il Pifferaio di Arcore, per chi non l'avesse capito) è tutta una manovra dei comunisti e dei giornali fiancheggiatori: la crisi è superata, gli italiani possono spendere. Lasciamo perdere le baggianate del premier, sarà meglio, e cerchiamo di analizzare un pò la situazione. Personalmente credo che la crisi finanziaria scoppiata lo scorso anno nelle Borse di tutto il mondo, e che successivamente si è riversata nella cosiddetta economia reale globale, non sia stata determinata esclusivamente, come si vorrebbe fare credere, dagli eccessi di una finanza troppo vorace per non lasciarsi sfuggire la benché minima occasione di speculare, pur non disponendo dei capitali necessari. Certo, i mercati finanziari sono quello che sono. Un immenso tavolo verde sul quale i più diversi operatori scommettono e puntano anche i capitali che non possiedono su autentici titoli spazzatura e che non rappresentano altro che una scommessa su una scommessa e su una scommessa ancora. Nella loro maggioranza tali titoli non sono infatti rappresentativi di una qualsivoglia azienda industriale o di una società finanziaria, ma rappresentano (spesso e volentieri) una sorta di polizza di assicurazione sul valore futuro di un’azione o di un indice di titoli o sul valore di una materia prima. Detto questo ci si potrebbe domandare come sia stato possibile che ad un simile meccanismo sia stato permesso non solo di operare ma addirittura di nascere. E la risposta è a dir poco semplice. I mercati finanziari globali sono in mano a banche e società finanziarie che impongono la propria volontà ai governi e agli organismi internazionali. Attraverso il meccanismo della finanza, che di per sé è virtuale, i grandi potentati economico-finanziari riescono ad operare un massiccio trasferimento di ricchezza reale a proprio favore, derubando di fatto i piccoli risparmiatori di tutto il mondo che si sono fidati dei consigli di uno dei tanti esperti, o consulenti del settore, o anche di uno dei tanti quotidiani, il più delle volte legati a filo doppio alle società che hanno emesso tali titoli. Una obiezione, questa, alla quale i vari liberisti d’accatto replicano sostenendo che questo è il Libero Mercato e che chi va sul mercato e scommette in Borsa deve accettare di correre qualche rischio. Precisato questo è necessario però dire che non bisogna cadere nell’errore di imputare tutti i mali e tutte le colpe alla Finanza, speculatrice per definizione, e assolvere invece il Mercato come organismo sano e da difendere in ogni caso. L’approccio speculativo della Finanza è in realtà una conseguenza diretta della mentalità mercatista, tanto per usare un termine caro al nostro ineffabile ministro dell’Economia Giulio Tremonti, per indicare gli eccessi di un mercato sempre più autoreferenziale. Una mentalità che vede nell’economia il primo e unico valore. Una visione meccanicistica che punta su una crescita e su uno sviluppo infiniti, che finiscono inevitabilmente per essere devastanti per il tessuto sociale di tutti i Paesi perché pongono ai cittadini traguardi economici e sociali irraggiungibili. Si arriva all’assurdo di un capo del governo, il nostro per l'appunto, che invita gli italiani a consumare per tenere in piedi l’economia nazionale. Una follia sotto tutti i punti di vista perché rivolta ogni legge naturale (non posso spendere quello che non ho) e spinge sempre più in là il momento nel quale nessuno avrà più niente da produrre, spendere o consumare perché il meccanismo sarà imploso su se stesso. Non siamo di fronte quindi ad una crisi di sistema, siamo invece di fronte alla presa d’atto che il sistema nel quale viviamo è basato sul nulla e che contiene in sé tutte le premesse per travolgerci nella sua imminente caduta.

sabato 4 luglio 2009

Ignazio, il terzo uomo (che mancava)


Immaginavo che la candidatura di Ignazio Marino, preannunciata dal giornale diretto da Concita De Gregorio, avrebbe fatto parlare e molto. Un non politico fa sempre un pò paura al politico di professione. Poi se è anche intelligente, al politico di turno (o al portaborse di prammatica) mette addosso quasi l'angoscia. E così tra Bersani e Franceschini sta dunque per inserirsi il cosiddetto terzo uomo, quello che può scombussolare i piani dei due big. Di Ignazio Marino è noto tutto o quasi: biografia, valore, opinioni, caratterizzazione culturale, scelte religiose e filosofiche, curriculum vitae. Non si conosce però (almeno in questo frangente) il peso politico all’interno del PD e la domanda che gli osservatori (e naturalmente i diretti interessati) si vanno ponendo in queste ore è questa: al congresso (cioè fra gli iscritti) quanti voti potrà prenderà, il docente di chirurgia dei trapianti? E, dunque, danneggerà più Franceschini o più Bersani? E alle primarie che ruolo avrà? Cioè, se dal congresso dovesse venire fuori un risultato in equilibrio fra Franceschini e Bersani e i consensi di Marino si rivelassero decisivi, a chi andrebbero? Al partito nuovo promesso dal primo o al partito laico del secondo? Le risposte sono difficili. Marino potrebbe danneggiare Bersani facendone risaltare, al suo cospetto, i tratti di restauratore di un modo di fare politica tradizionale, a cominciare dal modello di partito. Raccontano che D’Alema abbia litigato con Marino dopo averlo tentato invano di dissuaderlo. E però, se ci si pensa su un attimo, la candidatura del chirurgo ai bersaniani potrebbe far comodo, se riuscisse a infastidire Franceschini presso quel non piccolo pezzo di partito che associa la battaglia sulla laicità ad un generale spostamento a sinistra dell’asse politico del partito. Quale delle due? Dipenderà essenzialmente dal tono e dagli argomenti che il professore userà. E dipenderà anche da come verrà rappresentata la sua candidatura dai giornali, dai grandi organi di informazione. Marino è un uomo di grande valore che comprensibilmente ha un’alta opinione di sé. In questi mesi di vita parlamentare ha raccolto vasti consensi, nel partito e fuori, diventando punto di riferimento per la sua capacità di fare sintesi su un tema impervio come quello della laicità e della bioetica. Chi ci ha parlato dice che lui è convinto di vincere. Di diventare segretario del PD. Ritenendo che il vero problema è superare il 5 per cento, lo sbarramento previsto per la prima fase, quello della conta fra gli iscritti. Da questo punto di vista, Marino non solo non ha truppe (l’appello ad iscriversi entro il 23 luglio non è destinato a un gran futuro) ma non ha nemmeno dirigenti, esponenti, parlamentari. Si vedrà dopo l’annuncio della discesa in campo se vi saranno adesioni, ma per il momento (a parte i Piombini, che non hanno truppe nemmeno loro) il nome forte è uno solo: quello di Goffredo Bettini, il gran collaboratore di Veltroni che ruppe con Franceschini e che ha tirato fuori il nome del prestigioso outsider forse proprio come mossa per inceppare l’ingranaggio e modificare la sceneggiatura che prevedeva solo due protagonisti. E così la partita si fa ancora più incerta...

venerdì 3 luglio 2009

lo vedi, ecco Marino...


No, state tranquilli. Non ho messo il titolo del post per snocciolarvi il testo della famosa canzone romanesca dedicata alla Sagra dell'uva che ogni anno, nella prima domenica di ottobre, si svolge nella celebre località dei Castelli Romani. Sto per parlarvi invece di un altrettanto famoso Marino, il professore e chirurgo di fama internazionale Ignazio Marino, il quale (neppure troppo a sorpresa) sta per annunciare la sua candidatura come terzo incomodo nella corsa a segretario del PD, in occasione del prossimo congresso previsto in ottobre. Dopo la rinuncia di Chiamparino (si vocifera sia stato sconsigliato da Fassino) il docente di chirurgia dei trapianti, con alle spalle ben 18 anni trascorsi professionalmente negli Stati Uniti, ha rotto gli indugi e si presenta impavido e convinto nella corsa al soglio del Partito Democratico, quello più alto e più blasonato (e più impegnativo). Ha le idee chiare Marino (qui trovate il suo personale manifesto, http://www.unita.it/news/congresso_pd/86055/il_manifesto_di_ignazio_marino) e le esplicita nel modo più chiaro e corretto, oltre che convincente. Almeno per me. Anche il direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci sta seguendo con evidente soddisfazione personale le tappe di avvicinamento alla dichiarazione di discesa in campo di Marino. Basta leggersi gli ultimi articoli che Concita De Gregorio sta dedicando al professore, con una bella intervista rivelatrice pubblicata ieri. Sono contento. Dopo il bentornato che ho dato a Walter Veltroni ieri, sono pronto a fare i più sinceri auguri di buona campagna promozionale finalizzata alla corsa per la poltrona di segretario del PD. Ignazio Marino piace ai quarantenni, piace ai cosiddetti Piombini, piace anche all'interno del partito (forse non proprio a D'Alema...) e sono convinto che la sua americanità (scusate la brutta parola) e la sua visione del mondo e delle cose farà solo che bene per il futuro del Partito Democratico. E credo per tutto il Paese.

giovedì 2 luglio 2009

bentornato!


Non ho bisogno di spiegare, credo, il titolo che ho scelto per questo brevissimo post. Dopo aver seguito in diretta tv l'intervento di questo pomeriggio al Capranica di Roma, sento in questo momento di dovergli solo dire questo: bentornato! (http://tv.repubblica.it/copertina/il-ritorno-di-walter/34659?video)

un Vendola che gira nel verso giusto


Si potrà pure storcere il naso sulle abitudini e sulle preferenze sessuali del Governatore della Puglia, ma sul fatto di essere coerente con se stesso e di non guardare in faccia a nessuno non ci sono dubbi. Nichi Vendola ha avuto il coraggio, da vero uomo politico, di azzerare la sua giunta, decapitandola dopo l'inchiesta della Procura di Bari su tangenti e favori a luci rosse nella sanità pugliese. «Quando dico che la questione morale è una priorità assoluta non lo dico in astratto. Non posso giocare a imitare la destra». Vendola spiega ai giornali che «la Procura di Bari è un punto di riferimento per il controllo della legalità, sia quando rinvia a giudizio un ministro (Raffaele Fitto) sia quando inquisisce uomini del centrosinistra». Non vorrei dire, ma questa affermazione dovrebbe solleticare le corde (invero un pò allentate) del presidente del Consiglio, il quale non da poco tempo si circonda di uomini impelagati (per non dire di più) con la giustizia italiana e che non ha mai sentito il bisogno di fare pulizia intorno a sè. «Ho portato personalmente in Procura le carte delle mie indagini amministrative interne e per questo ho ricevuto un avviso a comparire, usato in maniera delinquenziale dal signor direttore del TG1, Augusto Minzolini» ha chiosato Vendola nelle sue dichiarazioni alla stampa, sottolineando che «Il ministro Fitto, oggetto di una richiesta di arresto respinta dal Parlamento, è ancora al suo posto. In questo momento gli ispettori del ministro Angelino Alfano lavorano per trovare difetti all'impianto accusatorio nei confronti di Fitto. E il PdL farebbe bene a chiedersi, invece di infangare il mio nome, come mai il loro ministro pugliese ancora tace...». Che dire: mi sono proprio ricreduto sulle qualità umane e politiche di Nichi Vendola. Lo ammetto senza se e senza ma. Chapeau!

mercoledì 1 luglio 2009

G8 senza frontiere (aperte)


Per chi non se ne fosse accorto il nostro Paese da domenica notte ha messo i lucchetti. Infatti dalla mezzanotte di domenica scorsa l’Italia ha sospeso l’applicazione del Trattato di Schengen, ripristinando i controlli alle frontiere. Questa dovrebbe essere una delle misure di sicurezza attivate in vista del G8 che si svolgerà dall'8 al 10 di questo mese a L'Aquila. La sospensione durerà fino al 15 luglio ed in questo periodo chiunque entri o esca dall'Italia dovrà presentare un documento di identità valido. Non è la prima volta che l’Italia sospende il Trattato di Schengen, misura analoga fu adottata anche nel 2001, durante il tragico vertice di Genova. In quell'occasione i controlli alle frontiere furono ripristinati per una sola settimana, dal 14 al 21 luglio, con evidenti scarsissimi risultati visti poi gli scontri che hanno avuto per protagonisti tanti black bloc arrivati dall'estero. Probabilmente per questo motivo stavolta il Pifferaio di Arcore (di comune accordo con il suo compare Maroni) ha deciso di allungare a 18 giorni il periodo di sospensione del Trattato. Una misura probabilmente inutile perchè gli unici danneggiati saranno i cittadini qualsiasi che, a causa dell’inasprimento dei controlli, subiranno un aumento dei tempi delle procedure di imbarco negli aeroporti e lunghe code alle frontiere. I cattivi di turno certo non si presenteranno alle frontiere in divisa da black bloc e tanto meno lo faranno in comitiva. Sarà praticamente impossibile distinguerli dalle migliaia di turisti che quotidianamente giungono in questo periodo estivo in Italia. E certo non potranno bastare i cento specialisti di rinforzo inviati negli aeroporti e negli altri varchi di frontiera (quelli navali e terrestri), così come annunciato da una circolare della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento di pubblica sicurezza. Inoltre, a parer mio, credo sia del tutto legittimo il diritto alla protesta contro il G8 che, in forma pacifica, qualsiasi cittadino o straniero voglia esercitare. Proprio in questi giorni la comunità internazionale sta attaccando l’Iran per le conseguenze dei probabili brogli di Ahmadinejad ed ora si vogliono mettere lacci e lacciuoli per impedire una democratica protesta in Italia contro la riunione dei potenti del pianeta? Questa schizofrenica visione del diritto al dissenso mi sembra tipica di una democrazia occidentale ormai decotta che continuamente sparla di libertà altrui ma poi cade nell’autoritarismo in casa propria. Spero vivamente (ma ci credo poco) che questa inutile misura serva almeno a frenare per due settimane l’invasione di immigrati clandestini che, come sappiamo bene, solo in minima parte giungono sulle nostre coste a bordo delle carrette del mare, mentre in gran parte entra attraverso i normali valichi di frontiera con un passaporto valido ed un visto turistico, per diventare clandestino alla scadenza del visto, approfittando del lassismo italiano che non punisce praticamente mai questo comportamento illecito. Ma tanto tutto questo al Pifferaio di Arcore non gliene può fregare di meno.