l'Antipatico

lunedì 30 giugno 2008

ha ragione Famiglia Cristiana


Famiglia Cristiana di questa settimana dedica il suo editoriale di apertura alla proposta "indecente" del ministro ROBERTO MARONI di prendere le impronte digitali ai bambini Rom. "Alla prima prova d’esame i ministri (cosiddetti) cattolici del governo del Cavaliere escono bocciati, senza appello. Per loro la dignità dell’uomo vale zero. Nessuno che abbia alzato il dito a contrastare Maroni e l’indecente proposta razzista di prendere le impronte digitali ai bambini rom", scrive il settimanale dei Paolini. "Avremmo dato credito al ministro se, assieme alla schedatura, avesse detto come portare i bimbi rom a scuola, togliendoli dagli spazi condivisi coi topi. Che aiuti ha previsto? Nulla. Non stupisce, invece - continua il settimanale - il silenzio della nuova presidente della Commissione per l’infanzia, Alessandra Mussolini (non era più adatta Luisa Santolini, ex presidente del Forum delle famiglie?), perché le schedature etniche e religiose fanno parte del Dna familiare e, finalmente, tornano a essere patrimonio di governo. Non sappiamo cosa ne pensi Berlusconi: permetterebbe che agenti di polizia prendessero le impronte dei suoi figli o dei suoi nipotini?".
Continua Famiglia Cristiana: "Oggi, con le impronte digitali, uno Stato di polizia mostra il volto più feroce ai piccoli rom, che pur sono cittadini italiani. Perché non c’è la stessa ostinazione nel combattere la criminalità vera in vaste aree del Paese? La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia (firmata anche dall’Italia, che tutela i minori da qualsiasi discriminazione) non conta più niente. La schedatura di un bambino rom, che non ha commesso reato, viola la dignità umana. Così come la proposta di togliere la patria potestà ai genitori rom è una forzatura del diritto: nessun Tribunale dei minori la toglierà solo per la povertà e le difficili condizioni di vita. È giusto reprimere, con forza, chi nei campi nomadi delinque, ma le misure di Maroni non servono a combattere l’accattonaggio (che non è reato). C’è un solo modo perché i bambini rom non vadano a rubare: mandarli a scuola. Qui, sì, ci vorrebbe un decreto legge perché, ogni mattina, pulmini della polizia passassero nei campi nomadi a raccoglierli. Per la sicurezza sarebbero soldi ben spesi. Quanto alle impronte, se vogliamo prenderle, cominciamo dai nostri figli; ancor meglio, dai parlamentari: i cittadini saprebbero chi lavora e chi marina, e anche chi fa il furbo, votando al posto di un altro. L’affossa ‘pianisti’ sarebbe l’unico ‘lodo’ gradito agli italiani". Come dare torto al ragionamento del settimanale della Periodici San Paolo?

sabato 28 giugno 2008

allineati e coperti


Spiega molto bene oggi il direttore de l'Unità quello che sta accadendo a Montecitorio, a Palazzo Madama e a Palazzo Chigi da quando è tornato al potere il caimano. Antonio Padellaro analizza minuziosamente i risvolti della legge-porcata di Calderoli che ha permesso al cavaliere di poter contare su una sorta di "militarizzazione" politica nei palazzi del potere. Grazie al voto degli italiani del 13 e 14 aprile, le truppe berlusconiane dispongono di senatori e deputati in eccesso rispetto all'opposizione, che consente loro di "controllare" strategicamente ogni mossa parlamentare, dedicendo a proprio piacimento quello che va bene al loro indiscusso e incontrastato "padrone". L'articolo di Padellaro si intitola "La fine del Parlamento" che vi riproponiamo integralmente. Buona lettura. In un momento (quanto mai prezioso) di sincerità Silvio Berlusconi ha illustrato la funzione dei «suoi» parlamentari a Montecitorio e a palazzo Madama: quattro o cinque teste pensanti, e tutti gli altri addetti a premere i pulsanti. Si era in campagna elettorale e forse neppure da unto del signore egli avrebbe immaginato che il voto degli italiani, rinforzato dal porcellum, gli avrebbe consegnato una sontuosa maggioranza di 54 senatori e di 58 deputati. Tutti nominati dall’alto. Tutti riconoscenti. Tutti allineati e coperti. E infatti, adesso, il Parlamento funziona come un orologio svizzero. Bastano pochi minuti e il Consiglio dei ministri approva per acclamazione i desiderata del presidente-proprietario, confezionati in forma di legge dagli avvocati e consulenti a libro paga. Dopodiché il ministro che recita la parte del proponente (in genere Alfano) illustra alla stampa riunita lo spirito della norma augurandosi che l’opposizione non faccia mancare il suo apporto (peraltro superfluo). E se invece l’opposizione sorda ai richiami del Paese rifiuta la generosa offerta di dialogo, pazienza. Poche settimane e con apposito calendario predisposto dalla maggioranza la legge desiderata diventa tale. Merito degli addetti alle pulsantiere, con il supporto dei «pianisti» che votano per due (non ce n’è bisogno ma è la forza dell’abitudine). Tutto questo con il controllo ferreo delle commissioni. Mentre vengono frapposti sempre nuovi ostacoli al diritto della minoranza di presiedere gli organismi di garanzia, a cominciare dalla vigilanza Rai. È andata così per la legge cosiddetta sulla sicurezza e per il provvedimento blocca processi e salva-premier. Andrà così, siamone certi, per il lodo Schifani bis, per le impronte ai bambini rom, per la finanziaria di Robin Hood-Tremonti, per la controriforma Sacconi sulle morti bianche e per ogni altra esigenza o capriccio della real casa. Con la Lega può capitare qualche intoppo, come l’aiutino a «Rete4», tv di famiglia. Una telefonata tra Silvio e Umberto e il problema è risolto. Certo, non tutto può passare liscio trattandosi sovente di leggi incostituzionali o scritte con i piedi o contrarie, oltre che alla pubblica decenza, alla normativa europea. Fortunatamente siamo ancora in una democrazia dove agiscono Corte costituzionale, Csm e tutte le altre istituzioni di salvaguardia. E c’è soprattutto la garanzia del Quirinale. Sono impedimenti che a loro naturalmente non piacciono ma avranno tutto il tempo per porvi rimedio. Già parlano di «riforma» del Csm. E cresce l’insofferenza dei ministri padani verso l’Europa che protesta sdegnata per le nuove leggi razziali. Mai nella storia repubblicana si era assistito a una tale umiliazione del potere legislativo a cui si cerca di togliere ogni autonomia di giudizio. L’opposizione, inutile dirlo, non si trova in una situazione semplice. All’inizio aveva sperato di contenere con la formula del dialogo l’aggressività dei vincitori. Molto presto (o troppo tardi) ha compreso però che per Berlusconi il dialogo è un altro modo per farsi gli affari suoi. E così, mentre egli cerca di trasformare il Parlamento nella sua bottega, l’opposizione si è fatta in tre. Quella del no (Di Pietro) e quella del forse (Casini), unite entrambe da una visione per così dire tattica. Spetta però al PD, per dimensione e peso politico, elaborare una strategia della opposizione che determini una risposta forte alla dittatura della maggioranza. Non lo sterile aventinismo e neppure il lento sfibrarsi del giorno dopo giorno alla ricerca di accordi mediocri. La fine del Parlamento come luogo di mediazione e del bene comune deve diventare la questione nazionale su cui tornare a coinvolgere i tanti che non si sono arresi all’apatia politica del tanto non c’è più niente da fare e lasciamo che decidano loro. I giornali già parlano di una nuova stretta di vite, di un blitz guidato da Gianfranco Fini per ottenere alla Camera il contingentamento dei tempi di discussione, oggi possibile solo al Senato. Davvero non c’è più tempo da perdere.

venerdì 27 giugno 2008

ancora un giro (di valzer) di intercettazioni




Ci mancavano (le nuove intercettazioni). Ci stavamo già preoccupando su cosa leggere (o ascoltare) questa estate sotto l'ombrellone. Fortunatamente ci è venuto in soccorso L'espresso con il giro di valzer estivo delle intercettazioni tra Saccà e Berlusconi (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Le-intercettazioni:-leggi-e-ascolta/2031023). Ottimo a tal proposito l'articolo di Giuseppe D'Avanzo pubblicato stamani su la Repubblica (http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/politica/berlusconi-intercetta/luglio-cavaliere/luglio-cavaliere.html). Capiamo sempre più i motivi di "riservatezza" che spingono il presidente del Consiglio (ed i suoi accoliti, legali o meno) a cercare di imbavagliare, con qualsiasi scusante istituzionale, la stampa nazionale ed i giornalisti che svolgono il loro naturale compito di denuncia (quando c'è da denunciare) e di coscienza critica del Paese (quando certe coscienze latitano). Abbiamo notato comunque, in questo nuovo giro di valzer di intercettazioni, l'ingresso di un personaggio non troppo conosciuto ma naturalmente nell'orbita del cavaliere: si chiama Giancarlo Innocenzi, consigliere dell'Agenzia delle Comunicazioni, ex sottosegretario del secondo governo del cavaliere, che è stato spiato dalla procura di Napoli (titolare dell'indagine) durante alcune telefonate al direttore di "Rai Fiction" Agostino Saccà e al produttore televisivo Guido De Angelis. Oggetto delle chiamate sarebbe il «gioco grosso»: far cadere il governo Prodi grazie alla fuga di alcuni senatori del centro sinistra e uomo chiave sarebbe stato proprio Innocenzi, partito da Trento come amministratore delegato di Tva, poi diventato coordinatore locale di Forza Italia, fino a compiere il grande balzo nella capitale con ruoli di governo, sempre con Berlusconi. Nella prima telefonata a fianco Innocenzi chiama Saccà per riferigli di un incontro avuto con il «grande capo» durante il quale «abbiamo fatto un po' di ragionamenti di politica: lui si è deciso a dare una spallata a questi qua». La telefonata è dell'agosto 2007, periodo in cui Berlusconi stava preparando un'«imboscata» al Senato al governo Prodi cercando di convincere alcuni senatori «in bilico» a passare dalla sua parte. E' in questo contesto che Innocenzi spiega a Saccà che con «il grande capo» si è discusso di come far lavorare in tv l'attrice Rosa Ferraiolo, moglie dell'ex senatore del centro sinistra Willer Bordon. L'operazione - che doveva andare in porto grazie all'intervento del produttore Guido de Angelis - si arena per questione di soldi. Innocenzi e Saccà cercano di sbrogliare la matassa, con Saccà che si lascia andare anche a pesanti apprezzamenti verso il direttore di Rai Uno Fabrizio Del Noce. Le telefonate scatenano un putiferio, con il PD che chiede le dimissioni di Innocenzi, considerandolo a questo punto incompatibile con il ruolo di garanzia ricoperto in qualità di commissario dell'Agenzia delle telecomunicazioni. Come si può notare, il "bordello" (perdonateci l'eufemismo...) si sta sempre più ampliando, frequentato da personaggi più o meno equivoci, da attricette più o meno "disponibili" e dalle non certo eccelse qualità professionali, a parte il possesso (stando almeno alle foto che le riguardano) di un florido e prosperoso dècolletè (come in fondo è sempre piaciuto al cavaliere...) che non guasta mai come biglietto di presentazione.

mercoledì 25 giugno 2008

l'ironìa (percepibile) di Massimo Gramellini


Dobbiamo riconoscere l'effetto dirompente e "rinfrescante" (quasi come un bel sorso di una bibita fresca) che provoca in noi la lettura, praticamente quasi ogni mattina, delle concentrate righe scritte da Massimo Gramellini per La Stampa di Torino, nella sua rubrica "Buongiorno". L'intelligente e graffiante ironìa che sprizza dai pori dell'articolo del giornalista torinese ci inonda di buon umore per il resto della giornata e ci fa quasi da ombrello riparatore da tutte le notizie brutte, odiose e tragiche che immancabilmente ci raggiungono da telegiornali e quotidiani. Abbiamo scelto l'articolo di ieri di Gramellini, intitolato "Percepito", alquanto in tema con queste giornate afose di fine giugno. Buona lettura.
C’è il caldo caldo e c’è il caldo percepito, di solito più caldo di almeno cinque gradi. Ci sono l’inflazione ufficiale e l’inflazione percepita, di solito più alta dello stipendio percepito. E poi ci sono l’aumento del mutuo e l’aumento percepito, il declino reale e il declino percepito, la violenza percepita, la paura percepita, i furbi percepiti anche se poco perseguiti, la Nazionale che va fuori ai rigori: un pareggio percepito come una sconfitta. Giuro che non ci percepisco più niente. Non mi fido delle statistiche rassicuranti, come degli allarmi assillanti. E non mi fido neanche della memoria che abbellisce le ombre del passato e dilata i mostri del presente. C’era davvero meno violenza trent’anni fa, quando due ladri picchiarono mio padre nell’androne di casa per portargli via una cartella di cuoio che conteneva pratiche banalissime? Faceva davvero meno caldo quando nelle sere d’estate mia nonna bivaccava sul balcone passandosi «La Stampa» davanti alla faccia a mo’ di ventaglio? Ed eravamo davvero più ricchi quando riuscivamo a sopravvivere con le scarpe risuolate e senza telefonini? Di sicuro eravamo più giovani: anche i vecchi. Di sicuro il futuro era avvolto nella nebbia, come sempre, ma il futuro percepito non aveva lo stesso sapore di paura che si percepisce oggi. Questa paura di perdere che ci rende tutti così aggressivi eppure così abulici. Potessi esprimere un desiderio, vorrei che percepissimo più coraggio e dietro ogni porta che si chiude non vedessimo soltanto il muro, ma un’altra porta che si apre. Messaggio percepito?

martedì 24 giugno 2008

la vergogna non abita a Palazzo Madama...


Con 166 sì e 123 contrari il Senato dà il via libera al decreto sicurezza, che passa ora all'esame della Camera. L'inserimento del blocca-processi e dell'aggravante della clandestinità, ha determinato il no convinto e compatto di tutta l'opposizione. E' stato il presidente dei senatori del PD, Anna Finocchiaro, a spiegare i motivi della contrarietà al provvedimento, durante la dichiarazione di voto, in cui ha ancora invitato la maggioranza a ritirare quegli emendamenti che non potevano avere il consenso del Partito Democratico: il decreto, ha spiegato la Finocchiaro, ha in sé "parti che condividiamo perche' contenute nell'analogo decreto Prodi-Amato della scorsa legislatura ma, anche se qualche norma importante da noi proposta e' stata accolta (come le norme sul gratuito patrocinio e sui testimoni di giustizia), questo testo ha però in se' due norme che consideriamo sbagliate, pericolose, violative della Costituzione e dell'ordinamento comunitario". La Finocchiaro si riferisce innanzitutto all'aggravante di clandestinita' che definisce 'aggravante d'autore', per cui - spiega - "qualunque tipo di reato, anche le lesioni colpose, anche l'ingiuria, viene aggravato se a commetterlo e' un immigrato irregolare. Una norma che riteniamo irragionevole e discriminatoria, incoerente rispetto alla Costituzione, alla Convenzione europea dei diritti umani". La seconda disposizione che il PD contesta, continua la capogruppo, "e' quella relativa alla sospensione dei processi, disposizione che vìola il principio del diritto di difesa, quello di pari trattamento, quello della ragionevole durata del processo e che colpira' innanzitutto gli imputati innocenti, che hanno tutto l'interesse a una rapida definizione del processo, e in secondo luogo le parti civili, specie quelle piu' deboli economicamente". Inoltre, sottolinea l'esponente del PD, la norma "lascera' senza giustizia migliaia di parti offese, congestionera' i tribunali e le cancellerie, non determinera' affatto un'accelerazione dei processi per i fatti piu' gravi e recenti, comportera' un alto numero di prescrizioni, poiche' e' noto che la sospensione di un processo non e' come il sonno della Bella Addormentata". Più rumorosa (e secondo noi più che giustificata) l'opposizione dei senatori dell'Italia dei Valori che, al momento del voto, compatti, si sono alzati inalberando cartelli: "Vergogna", scritto in rosso, e "Il caimano è tornato", mentre dai banchi della maggioranza si levavano le urla "buffoni, buffoni". Il decreto prevede inoltre processi bloccati fino al 2002 per dare priorita' a quelli che destano allarme sociale e tremila unita' dell'esercito nelle aree metropolitane per vigilare gli obiettivi sensibili. Ma anche ergastolo per chi uccide un agente delle forze dell'ordine, niente sospensione del carcere per i reati di particolare gravità come violenza sessuale e traffico di stupefacenti, pena aggravata per i pirati della strada ubriachi o drogati che causano incidenti mortali o feriti gravi. E poi, aggravante della clandestinità, 'stretta' sulle espulsioni di immigrati irregolari e allontanamento di cittadini comunitari, cambio del nome per i Cpt (Centri di permanenza temporanea) in Cie (Centri di identificazione ed espulsione). Ancora, piu' poteri a sindaci e prefetti in materia di sicurezza e ordine pubblico e misure piu' incisive per la lotta alla Mafia. Il decreto passa ora all'esame della Camera. Vedremo se anche a Montecitorio la vergogna sarà o meno di casa...


domenica 22 giugno 2008

il berlusconismo secondo Furio Colombo




Il tema del berlusconismo così prepotentemente ritornato alla ribalta, vuoi per le uscite ad personam del cavaliere, vuoi per i civettuoli "panama" indossati con nonchalance e vuoi anche per le "richieste" ecclesiastiche degli ultimi giorni, ha incontrato l'interesse giornalistico di uno dei nostri maitres à penser preferiti. Furio Colombo ci fa sapere, dalle colonne dell'Unità di oggi, come la pensa sul "fenomeno" del momento. Noi vi riproponiamo l'articolo (abbastanza impegnativo da leggere) nella sua interezza.
Vorrei subito chiarire. Non sto dedicando questo articolo al berlusconismo a causa del fatto che Berlusconi è improvvisamente ritornato ai toni incattiviti di quel primo non dimenticato governo, quello che ha portato l’Italia alla crescita zero ma ha garantito al primo ministro tutte le leggi di utilità e convenienza personale, ha dato un colpo durissimo - e notato nel mondo - alla libertà di stampa e ridotto prestigiosi commentatori di prestigiosi giornali a dargli sempre ragione come a Mussolini. Certo, la lettera del presidente Berlusconi, di cui ha dato compunta lettura il Presidente del Senato Schifani a un’aula di persone probabilmente stupefatte, spinge la scena della vita italiana fuori dalla Costituzione («Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge») e fuori dalla democrazia («La legge è uguale per tutti»). Però, onestamente, come fare a mostrare meraviglia per un leader (questa è la terza prova e la quarta volta) che ha sempre violato la Costituzione e leggi del suo Paese e ne ha imposte altre che poi sono state giudicate, a una a una, incostituzionali dalla Consulta? Ma tutto ciò senza perdere di vista i suoi interessi personali: primo, Mediaset, salvare dall’onta del satellite il soldato Fede; secondo, le intercettazioni: prigione e multe altissime per chi intercetta i sospetti di delitti odiosi pericolosi, destinati a ripetersi, e per chi, quando gli atti del processo sono legalmente e anzi doverosamente usciti dal segreto istruttorio e legalmente disponibili, osasse pubblicarli. In tutti i Paesi democratici vale il principio che «il processo è pubblico». È una garanzia per le vittime, per gli imputati, ma anche per tutti i cittadini. Avvocati e giuristi di Berlusconi hanno già dimostrato di non provare alcun imbarazzo nel cambiare le leggi di quei processi che non si sentono in grado di vincere (hanno visto le carte e conoscono la vera storia). Quanto ai giornalisti indipendenti italiani, sentite Bruno Vespa in una delle sue “rubriche” diffuse in tutta la provincia italiana: «La nuova controversia tra Berlusconi e i magistrati di Milano sembra l’ultima sgradevole puntata di una telenovela cominciata quindici anni fa, quando il Cavaliere decise di abbandonare la dura trincea del lavoro per scendere in campo nella politica. In realtà non è così (...). Il presidente che deve giudicare Berlusconi, Nicoletta Gandus, è un avversario politico. Da molti anni è una star di Magistratura democratica (...). Nel motivare la richiesta di cancellazione delle leggi Schifani, Pecorella, Cirami, Cirielli sostiene che esse sono state motivate al fine di perseguire l’interesse personale di pochi, ignorando la collettività. Si tratta di leggi che hanno devastato il nostro sistema di giustizia (...). Senza entrare nel merito di queste opinioni, può un dichiarato avversario politico giudicare in tribunale il capo del governo che combatte?» (Quotidiano Nazionale, 19 giugno). Avete capito il delitto imperdonabile in un Paese libero? Il giudice Gandus, che deve giudicare Berlusconi, non fa parte della P2. È membro di una libera, civile, legale associazione detta Magistratura democratica. Inevitabile inviare un pensiero al decoroso silenzio dei 62 arrestati e trecentocinquanta incriminati caduti tre giorni fa nella maxi-retata dell’Fbi contro i più potenti personaggi di Wall Street, portati via in manette tra due ali di operatori di Borsa che per alcuni minuti (succede di rado) hanno sospeso le contrattazioni. Nessuno di loro, personaggi del gran mondo finanziario americano, presidenti di Banche d’affari, patron celebri e celebrati di tutti i musei e gli ospedali di New York (dove alcuni hanno un reparto col loro nome) ha fiatato. Né lo hanno fatto i celebri avvocati a cui si sono affidati. Eppure sanno che, nella tradizione e prassi giudiziaria americana, alcuni giudici sono repubblicani e altri democratici. Alcuni giudici, nei distretti federali in cui questi imputati saranno giudicati sono stati nominati da Carter, alcuni da Reagan, alcuni da Clinton (che in silenzio si è sottoposto a tre diversi processi) e alcuni da uno o dall’altro dei due Bush. Ma, nella civiltà democratica, i giudici non si scelgono e non si discutono e la ricusazione è ammessa solo per legami d’affari, d’amore o di famiglia di uno dei giudici con una delle parti. Altrimenti mai, per non affrontare il famoso reato americano di “oltraggio alla Corte”, che scatta quando l’imputato, invece di lasciarsi giudicare, si mette a giudicare il giudice. Tutto ciò avviene nel Paese in cui, una volta condannati, non si va in Parlamento, si va in prigione. Particolare curioso (come si diceva una volta sulla Domenica del Corriere): tutti e quattrocento gli arrestati o incriminati di Wall Street erano sotto intercettazione da mesi. Molti dei reati contestati ai grandi di Wall Street, infatti, sono reati tipicamente telefonici, e dimostrabili solo con l’intercettazione, come l’”insider trading” (fornire a uno notizie che devono restare segrete per arricchirsi in due). E nessuno sostiene, pena il ridicolo, di essere vittima di una persecuzione politica. Chi poi, in quel Paese civile, avesse scritto, da titolare del potere esecutivo, una lettera al Presidente del Senato (istituzione legislativa) per levare accuse contro i suoi giudici (istituzione giudiziaria), avrebbe prontamente ottenuto, oltre al ridicolo (in democrazia non si può giocare il potere esecutivo contro il potere giudiziario usando il potere legislativo) una imputazione in più.
In Italia l’obbligatorietà dell’azione penale resta l’unica garanzia che potenti e prepotenti, soprattutto sul versante politico e di affari, non restino impuniti. Cito Emilio Gentile: «Nel 1922 Amendola, Sturzo, Salvatorelli presero a usare il vocabolo “totalitarismo” quando il sistema parlamentare italiano non era ancora molto dissimile dalle altre democrazie europee. Però essi osservarono come il partito di Mussolini operò per conquistare il potere. Ne colsero la natura di partito incompatibile con la democrazia e inevitabilmente destinato a creare un sistema totalitario» (intervista a Simonetta Fiori, la Repubblica, 19 giugno). L’obiezione tipica è: «Ma che cosa c’è di più democratico di una valanga di voti per qualcuno noto in tutto, compresi i suoi difetti e i suoi reati?». Emilio Gentile ha una risposta interessante: «Gramsci fu tra i pochi a comprendere che il totalitarismo è una tecnica politica che può essere applicata continuamente a una società di massa. Potrebbe accadere anche oggi: una tecnica che punta a uniformare l’individuo e le masse in un pensiero unico, usando il controllo dell’informazione». È un’affermazione limpida, logica, difficilmente confutabile se non per ragioni di fede. Ma la fede riguarda i berlusconiani. Quanto a noi oppositori, quanto a quelli di noi che vedono il pericolo del singolare totalitarismo berlusconiano, non avremmo diritto di avere i nostri Amendola, Sturzo e Salvatorelli? È con questi nomi e con queste citazioni in mente che chiedo ai miei amici Radicali del PD, della cui presenza in Parlamento sono lieto come di una garanzia: si può in questa Italia, in cui il giornalista Vespa riproduce all’istante e con convinzione indiscutibile, solo le ragioni del premier imputato; si può in questa Italia in cui il più forte ricusa giudici, accuse, processo in nome della sua forza e dei suoi voti; si può in questa Italia in cui si è già tentata, da parte dell’allora ministro Castelli, una “riforma” che mette tutti i giudici agli ordini di pochi procuratori generali; si può in questa Italia in cui l’opinione pubblica è messa a tacere dal controllo quasi totale dei media, si può introdurre una riforma «anglosassone», cioè di Paesi in cui le istituzioni sono incalzate da un’opinione pubblica bene informata e da una stampa che non dà tregua?

sabato 21 giugno 2008

l'interminabile editto (giudiziario) berlusconiano




Da quando e' entrato in politica, Silvio Berlusconi non ha mai lesinato le critiche alla magistratura. In alcuni casi, suscitando critiche e proteste per l'atteggiamento troppo duro, sempre e comunque facendo intendere la sua naturale avversione per le toghe. Per una sorta di "ripasso" temporale delle affermazioni berlusconiane in merito, vi elenco cronologicamente, cari lettori, le più importanti dalla sua "discesa in campo" ad oggi, tanto perchè nessuno possa invocare un domani l'alibi del "non lo sapevo" o del "non lo ricordavo". 22 novembre 1994 - ''Complotto contro di me''. Nel corso della conferenza del G7 a Napoli sulla criminalita' organizzata, il presidente del consiglio Silvio Berlusconi riceve un avviso di garanzia per corruzione in atti giudiziari, legata alle pressioni del gruppo Fininvest sulla guardia di Finanza. Un mese dopo si dimetterà, dopo essere stato a lungo interrogato dai pm milanesi. Prima delle dimissioni dichiara: ''Ho giurato sui miei cinque figli di non averne mai saputo niente. E quando uno e' sicuro del fatto suo, sicuro d'avere la coscienza a posto, non puo' temere niente. Questo e' un complotto contro di me''. 31 maggio 1997 - Berlusconi presenta un dossier anti-pool e parla pubblicamente di ''particolari agghiaccianti'' di cui sarebbe venuto a conoscenza, relativi alla strategia del pool "Mani Pulite" a Milano. Ha poi messo a verbale soprattutto fatti di nessuna rilevanza penale. Nel suo mirino c'e' innanzitutto Antonio Di Pietro, accusato di aver indirizzato la sua azione giudiziaria in modo da favorire la propria ambizione politica. 9 agosto 1998 - ''Pm come le br''. Silvio Berlusconi chiede una riforma della giustizia condivisa col centrosinistra. E paragona alcuni pm alle Brigate rosse: ''Noi continuiamo a mandare appelli, a lanciare messaggi positivi agli uomini della sinistra. A loro diciamo: come anni fa vi siete saputi distinguere da chi faceva la lotta armata per abbattere lo Stato borghese, anche oggi dovete saper dividere la vostra responsabilita' da chi fa la lotta contro l'opposizione con le sentenze''. 2 novembre 2002 - ''Esiste una internazionale delle toghe giacobine''. Alla seconda nomina come presidente del consiglio, Berlusconi approva la legge Cirami che con la re-istituzione del legittimo sospetto blocca il processo Sme. ''Non e' una legge ad personam'', dichiara il premier. Che attacca: ''C'e' una sorta di internazionale giacobina che si batte per veder attribuiti compiti politici alla magistratura''. 28 aprile 2003 - ''Logica golpista''. Duro scontro sulla sentenza milanese di condanna di Cesare Previti (''in caso di condanna definitiva sono pronto al carcere'', ha detto il deputato) nel processo Imi-Sir/Lodo Mondadori. In una lettera al quotidiano Il Foglio, Silvio Berlusconi sostiene che bisogna ''fermare il grilletto del ribaltone'' ripristinando l'immunita' perche' ''in una democrazia liberale i magistrati politicizzati non possono scegliersi, con una logica golpista, il governo che preferiscono''. Nello stesso periodo, Berlusconi aveva accusato I giudici che ''non applicano le leggi'' di essere responsabili dell'omicidio del piccolo Tommy, il bambino rapito in provincia di Parma in quell'anno. 4 settembre 2003 - ''Mentalmente disturbati''. Nella sua villa di Porto Rotondo, Silvio Berlusconi rilascia una intervista a due giornalisti inglesi dello Spectator: ''Questi giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa, perche' lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro e' perche' sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana''. 24 gennaio 2004 - ''Giudici fascisti''. Silvio Berlusconi critica duramente la magistratura durante il decennale di Forza Italia. A provocare le reazioni piu' dure il giudizio, espresso dal premier: ''Il fascismo e' meno odioso di questa giustizia togata''. 23 febbraio 2006 - ''Intervento indebito su Antonveneta''. Durante l'inchiesta denominata Bancopoli, che porto' alle dimissioni del presidente di Bankitalia Antonio Fazio, il premier Berlusconi critica l'inchiesta: ''Qualcuno avra' fatto qualcosa di illegale, c'e' stato un intervento indebito, ma l'offerta era assolutamente regolare. C'e' stato un intervento indebito in fatti economici che ha portato una nostra banca in mani straniere''. 27 marzo 2006 - ''Uno stato senza giudici pro sinistra''. Sulla magistratura il premier non rinuncia all' invettiva. Alla chiusura della campagna elettorale a Napoli esclama: ''Lo Stato che sogno e' quello in cui in cui i giudici non devono garantire l' impunita' a chi sta dalla parte loro, dalla parte rossa, dalla parte della sinistra che ne commette di tutti i colori e la scampa sempre e comunque: ogni riferimento alla Lega delle cooperative e agli intrecci perversi fra cooperative rosse, giunte rosse e associazioni criminali e' puramente voluto''.

giovedì 19 giugno 2008

il nuovo avvocato difensore di Berlusconi


Non bastavano le interminabili e ripetitive puntate del suo Porta a Porta tutte dedicate all'incenso e all'elogio perpetuo di sua maestà di Arcore. Non era sufficiente la scrivania di ciliegio simbolo austero dell'attribuzione catodica dei pieni poteri d'immagine del cavaliere che sigla il suo personale contratto con gli italiani. Non risultavano efficaci gli svariati libri scritti su Sua Emittenza, prendendo a pretesto le varie sfide politico-elettorali ora con Prodi ora con Veltroni, per giustificare tanto smodato interesse e sussieguo nei confronti del suo padrone meneghino. No, tutto ciò non era abbastanza. Ci voleva anche un bell'articolo a difesa (a prescindere) del suo mentore come ciliegina finale sulla torta dell'asservimento totale e fedele. Un articolo che il neo avvocato difensore berlusconiano, Bruno Vespa, ha scritto per il Quotidiano Nazionale e che vi riproponiamo integralmente per farvi apprezzare al meglio le insospettabili qualità forensi del paleolitico conduttore televisivo. Buona lettura. Per come è stata raccontata all’opinione pubblica, che spesso si ferma ai titoli dei giornali o ai sommari resoconti dei tg, la nuova controversia tra Berlusconi e i magistrati di Milano sembra l’ultima, sgradevole puntata di una telenovela cominciata quindici anni fa, quando il Cavaliere decise di abbandonare «la dura trincea del lavoro» per «scendere in campo» nella politica. In realtà non è così. La contesa non è tra magistrati integerrimi che non guardano in faccia nessuno e un potente signore che abusa del suo potere nella ricerca di una perpetua impunità. Il processo Mills ha aspetti molto curiosi. Noi non sappiamo naturalmente se Berlusconi sia innocente o colpevole. Ma ci suona strano che un imprenditore straricco abbia bisogno di corrompere un proprio avvocato quando ce l’ha a libro paga. Ci suona strano che per evitare la prescrizione del processo venga stabilito dalla Procura della Repubblica che il reato si consuma non al momento in cui un signore percepisce illecitamente dei soldi o accetta di percepirli in cambio di un favore proibito dalla legge, ma nel momento in cui comincia a spendere il maltolto. Nel nostro caso, due anni dopo averlo preso. Due anni provvidenziali, così la prescrizione slitta.
Ma questo fa parte della storia dei rapporti tra l’imputato Berlusconi e l’ufficio milanese del pubblico ministero. Il punto che ci interessa è un altro. Il presidente del collegio che deve giudicare Berlusconi è un avversario politico di Berlusconi. Nicoletta Gandus è da molti anni una star di Magistratura Democratica. Gli avvocati milanesi meno giovani ricordano i tempi in cui era facilissimo far assolvere dall’allora pretore Gandus gente imputata di oltraggio a pubblico ufficiale. L’Idea è l’Idea e dinanzi all’Idea la nostra storia giudiziaria ci insegna che nulla è più malleabile d’un codice penale. Recentemente, tuttavia, il presidente Gandus, che è un magistrato preparato, ha sottoscritto una serie di documenti sprezzanti nei confronti del precedente governo Berlusconi. Nel motivare la richiesta di cancellazione delle leggi Schifani, Pecorella, Cirami e Cirielli uno di questi documenti sostiene che esse «sono state adottate quasi esclusivamente al fine di perseguire l’interesse personale di pochi, ignorando quelli della collettività.
Si tratta di leggi che hanno devastato il nostro sistema di giustizia e compromesso il principio della ragionevole durata dei processi». Ancora: «Solo l’abrogazione delle leggi ad personam restituirà credibilità al paese». Da persona impegnata nella società civile e fatalmente politica, la presidente Gandus durante la campagna elettorale per l’abrogazione della legge federalista approvata dal governo Berlusconi ha sostenuto: «E’ importante opporsi a questa devolution perché è espressione della generale posizione antidemocratica... E’ sovrastata da un incombente potere autoritario e centralista, concentrato nelle mani del capo del governo». Senza entrare nel merito di queste opinioni, può un dichiarato avversario politico giudicare in tribunale il capo del governo che si combatte?

lunedì 16 giugno 2008

caro cavaliere, incominciamo bene...


Torna il lodo Schifani. Torna il blocca-processi. Pareva un'indiscrezione, ma presto è arrivata la conferma (http://www.corriere.it/politica/08_giugno_16/sospensione_processi_senato_92e7f1c0-3ba4-11dd-b4fb-00144f02aabc.shtml). La maggioranza ha presentato un emendamento al decreto sicurezza che chiede la sospensione dei processi penali relativi a fatti commessi fino al 30 giugno 2002 «che si trovino in uno stato compreso tra la fissazione dell'udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado».
In sostanza la norma fa da apripista al vecchio "Lodo Schifani", il provvedimento ad hoc per salvare Silvio Berlusconi dai processi in corso. Ma poichè non è possibile riproporre il "Lodo" come era stato concepito nel precedente governo Berlusconi, visto che la Consulta il 13 gennaio del 2004 lo dichiarò incostituzionale, si è pensato ad una misura che tenesse conto delle osservazioni dell'Alta Corte e che preparasse la strada a una norma che garantisca una sorta d’immunità o sospensione dei processi per i vertici dello Stato nel corso del loro mandato. L'obiettivo sarebbe quello di bloccare la sentenza del processo Mills dove Silvio Berlusconi è imputato di corruzione in atti giudiziari. Gli emendamenti presentati dai senatori del PdL Carlo Vizzini e Filippo Berselli sono due. Nel primo si chiede che venga data priorità assoluta ai processi per i reati puniti con l’ergastolo o con una pena superiore ai 10 anni, ai delitti della criminalità organizzata, ai procedimenti celebrati con rito direttissimo o con giudizio immediato. Nell’altro, c’è invece proprio la richiesta di «sospensione dei processi relativi ai fatti commessi fino al 30 giugno 2002». Se l’emendamento verrà approvato, i processi «sono immediatamente sospesi al momento dell'entrata in vigore della presente legge per la durata di un anno».
Il segretario del PD, Walter Veltroni, pare si sia svegliato. "In questi giorni si decide il futuro di questa legislatura: se il comportamento rimarrà come quello delle ultime settimane il clima non potrà che cambiare" (sperando non si riferisca a quello meteo...).
Veltroni si è detto «molto sorpreso e colpito dalla protervia con cui alcune cose vengono introdotte surrettiziamente», criticando decisamente il primo mese di azione del governo in particolare per quanto riguarda «il decreto su Retequattro, le uscite della Lega sull'Europa, le intercettazioni e l'intenzione di inserire il lodo Schifani nel decreto sicurezza».
«Può essere ministro della Repubblica qualcuno che dice che il trattato europeo è da strappare?». Se lo è chiesto il leader del PD riferendosi all'uscita del solito Roberto Calderoli dopo la bocciatura del trattato europeo da parte dell'Irlanda.
«Come volevasi dimostrare anche questa volta Berlusconi ci riprova con le sue leggi ad personam. Evidentemente non aveva ancora finito di sistemare i suoi affari personali, infatti, è dall'inizio della legislatura che continua a proporre norme volte a tutelare i suoi interessi privati: dal patteggiamento allargato alle intercettazioni fino alla sospensione dei processi che lo riguardano». Così ha parlato oggi Antonio Di Pietro leader dell'Italia dei Valori. Intanto, tanto per non farci mancare niente, la polemica tra maggioranza e opposizione sul ricorso all'esercito non si placa. «Non è con la paura che si governa il Paese» avverte il ministro-ombra dell'Interno Marco Minniti. Si tratta di una scelta «inutile» e «sbagliata» incalza il presidente dei senatori del PD Anna Finocchiaro. Chi parla così, replica il capogruppo del PdL a Palazzo Madama Maurizio Gasparri, «parla come la camorra e come i picciotti». «Gasparri non si intende di mafia, né di camorra, né di sicurezza» ribatte secca Finocchiaro. Solo i «criminali», fa presente il vicepresidente alla Camera Italo Bocchino, devono aver paura delle divise. «Le Forze armate non vanno svilite» è invece il commento del leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini che definisce l'idea del governo «uno spot». E come lui la pensa anche Silvana Mura (Idv) che teme che la militarizzazione delle città possa avere ricadute negative persino sul turismo. Insomma, a ben vedere, ci sembra questo un ottimo inizio "operativo" del quarto governo Berlusconi. E come recitano i vecchi adagi, "se il buongiorno si vede dal mattino"...

domenica 15 giugno 2008

l'assordante silenzio del PD




Ha proprio ragione Antonio Padellaro, direttore de l'Unità, a lamentarsi del silenzio di fondo che caratterizza questo periodo della vita politica del Partito Democratico e del suo leader Walter Veltroni. Mai come in questo momento così particolare, dove ogni ministro berlusconiano si alza la mattina e decide di mandare 2.500 soldati nelle strade o di non autorizzare le intercettazioni per i reati che non arrivano ai 10 anni di pena edittale, si avverte la mancanza di una seria e dura opposizione ad un ritorno del celodurismo di bossiana memoria. Ad eccezione di Antonio Di Pietro non ci pare che altri esponenti dell'opposizione si siano distinti in questi giorni per delle prese di posizione avverse alle decisioni governative. E' un andazzo che non ci piace e che crediamo non piaccia affatto nemmeno ai 12 milioni di italiani che un mese fa avevano votato per il partito di Veltroni. Condividiamo quindi il grido d'allarme di Padellaro e vi invitiamo a rileggere il suo articolo oltremodo interessante. Buona lettura. Come si sentono i dodici milioni di cittadini (per l’esattezza 12.092.998) che hanno votato per il PD alle ultime elezioni? A giudicare da ciò che si sente in giro ma anche, per esempio, dal tono delle numerose lettere spedite a questo giornale, non stanno benissimo. Dei medici specialisti (possibilmente non della clinica Santa Rita) potrebbero facilmente diagnosticare una persistente sindrome depressiva da batosta elettorale. Del resto, non bastano certo due mesi a metabolizzare la vittoria di Berlusconi, e non migliora certo lo spirito collettivo la prospettiva di altri cinque anni con un governo impegnato a sfornare leggi ingiuste e liberticide. Ma se la depressione è un vuoto che va subito riempito di nuova energia e di più forti stimoli non si può, onestamente, sostenere che le dispute sulla collocazione europea o sullo spazio da dare alla componente cattolica stiano mobilitando il popolo del PD restituendo scintille di passione ai malinconici e agli sfiduciati. Sappiamo bene che la politica agisce su piani diversi e dunque se l’adesione al Partito socialista europeo, contestata dall’ex Margherita, o se la polemica scatenata da Famiglia cristiana sull’eccesso di laicismo tra i Democratici non riscaldano i cuori ciò ovviamente non nega l’importanza delle questioni sollevate sotto il profilo etico e istituzionale. Il problema riguarda semmai l’eccesso di politicismo, il discutere del sesso degli angeli, per non dire delle ipotesi di scissione con un ritorno al passato da suicidio: diessini da una parte, margheritini dall’altra. All’Economist che definisce il PD troppo buono e l’opposizione più fantasma che britannica il senatore Tonini ha replicato su l’Unità, con qualche ragione, che per avere il consenso non serve la faccia feroce. Ed è anche vero che in piena luna di miele del governo e con l’inevitabile apertura di credito di cui all’inizio godono i vincitori le controproposte dell’opposizione suscitino meno interesse. Più opinabile l’argomento del PD costretto a non smentire la propria novità di partito che lavora non contro qualcuno ma per diventare a sua volta maggioranza. D’accordo, quell’autorevole giornale britannico non ha il dono dell’infallibilità e dimentica l’azione di contrasto condotta dal governo ombra e nelle aule parlamentari contro lo scempio Alitalia o contro il reato di immigrazione clandestina o contro la nuova legge vergogna sulle intercettazioni. Ma se malgrado tutto resta nell’aria l’idea di un’opposizione troppo morbida o dalla voce troppo flebile forse un problema di comunicazione esiste. Tre mesi fa (non tre anni fa) siamo stati testimoni della campagna elettorale di Walter Veltroni, delle piazze gremite e del coinvolgimento che il leader del PD è riuscito a suscitare recuperando voti che sembravano perduti. Con un linguaggio diretto Veltroni non ha esitato a mettere fuori gioco i più dannosi luoghi comuni della sinistra. Per esempio, che le scelte strategiche di un Paese non possono essere paralizzate dai veti della sue minoranza. Che le tasse vanno ridotte e non aumentate. Che se le imprese creano ricchezza sono una risorsa da difendere, non da indebolire. Che i privilegi vanno combattuti e il merito premiato. Che le prime vittime della criminalità sono i più deboli. Ora sappiamo che quel programma non è stato sufficiente a battere la destra dei facili slogan che ha mietuto nel campo della paura e del disorientamento. Ma è impossibile che tutta quella gente e tutto quel calore siano improvvisamente evaporati. La lanciamo lì, ma è un’idea temeraria pensare a nuovo giro d’Italia di Veltroni da organizzare molto presto, con la presenza attiva e convinta degli altri leader del PD? È un’idea stravagante quella di rivitalizzare il popolo del PD, sottraendolo alle sue solitudini e alle sue depressioni? È un’idea sbagliata mettere al centro di questa campagna della fiducia la dignità del lavoro? Quel lavoro umiliato dai cinque manager che guadagnano come 5mila operai. Sfruttato da quei governi europei di destra (l’italiano e il francese a braccetto) che vogliono l’oraro di lavoro «libero», anche 65 ore settimanali se necessario. Minacciato da quegli industriali che sognano un ritorno all’età della pietra e ai contratti individuali. E dai ministri del lavoro che si propongono l’abolizione di una delle poche leggi contro l’abuso di potere dei confronti dei giovani assunti: quella che proibisce le dimissioni in bianco, cioé senza data, al momento dell’assunzione. Non sarebbe straordinario vedere le piazze italiane di nuovo affollate per gridare no al lavoro che uccide? Non ne guadagnerebbero la forza del PD e dell’opposizione?

giovedì 12 giugno 2008

la leggenda del "pianista" alla Camera


Se non era per l'istrionico e vulcanico leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro da Montenero di Bisaccia, che nel suo intervento dell'altro giorno alla Camera dei Deputati ha smascherato e colto in fallo un "pianista" non certo di piano bar, oggi non staremmo a riparlare (male) di quei deputati che si allungano allo scranno vicino (con un notevole esercizio di stretching) per votare in assenza del loro compagno di partito. Una disdicevole usanza politica che alberga nel palazzo di Montecitorio dalla notte dei tempi, come gli assenteisti e i franchi tiratori. L'ex pm molisano ne ha parlato nel suo blog, ne ha discusso martedì sera a Ballarò in un infuocato scontro dialettico con Maurizio Gasparri e ha innescato una polemica che continua oggi con un altro autorevole intervento (sulle colonne de il Giornale dei Berlusconi Brothers) di Peppino Caldarola, ex parlamentare ed ex "pianista" (pentito) che scrive questo bell'articolo che vi vogliamo riproporre integralmente. Buona lettura. Fini, dicono le cronache, ha dichiarato guerra ai «pianisti» della Camera. Dicesi «pianista» quel parlamentare che vota per conto terzi. Oggi voto io per te, domani tu per me. Lo confesso. Nella vita precedente, quando scioccamente facevo il parlamentare, ho fatto il «pianista» qualche volta. Il collega che doveva andare al Ministero a sbrigare pratiche per il collegio mi trovava disponibile a pigiare il bottoncino per lui. La sigaretta me la potevo fumare solo se il collega, tornato dal Ministero, spingeva il mio bottoncino. In questo «do ut des» se ne andava la mia vita di parlamentare.
Poi ci sono i professionisti del piano. Veri Pollini del voto. Sono quelli che sono sempre presenti per aiutare quelli che non vengono mai. Questi ultimi sono iscritti fin da piccoli all’elenco degli «statisti», troppo presi dal destino del Paese per perdere tempo con la legge che si sta discutendo. È giusto scandalizzarsi. Suggerirei a Fini di adottare tutte quelle misure che ha in animo di prendere ma di guardare ad altri due o tre problemi. Chiarisco: non è la vendetta dell’ex. Se il Corriere della Sera mi avesse pubblicato la lettera di rinuncia all’attività parlamentare, avrei risparmiato a Veltroni l’inutile tratto di penna con cui mi ha eliminato dalle liste.
Sono più felice ora che scrivo le mie cose su questo giornale o altri ospitali media stampati. È che se vuoi far funzionare il Parlamento ed evitare che diventi il simbolo del «fancazzismo» e dello spreco devi essere duro e deciso. Non ci sono solo i pianisti. Ad inizio seduta il presidente legge un elenco sterminato di parlamentari «in missione». Non votano e non perdono una lira. Spesso li vedi in Transatlantico a chiacchierare con i cronisti o in tv. Non è accettabile che ogni giorno ci siano ottanta-cento deputati che hanno cose più importanti da fare rispetto al lavoro per il quale prendono un’indennità.
Ci sono poi i leader esentati dalla presenza. Uno si immagina che oggi siano Berlusconi, Fini, Bossi, Veltroni, Di Pietro e Casini più i rispettivi capigruppo. Ma l’elenco, è molto, molto più lungo. Infine il problema dei costi. I parlamentari prendono molti soldi? È vero che prendono una discreta indennità e una serie di rimborsi a forfait. Un solo esempio. Una voce dice che il parlamentare viene rimborsato per oltre 4mila euro per spese di segreteria. Se spendi, va bene. Se non spendi vanno a reddito. Quanto spendono? Tempo fa ci fu un’inchiesta sui «portaborse» sottopagati, non assicurati, ecc.
Perché non dare i soldi solo a chi li spende davvero e li spende pagando tasse e contributi? Forse avremmo meno sprechi. Chi controlla la quantità di carta che viene data in concessione e chissà dove viene utilizzata? Io, che non farò mai più il parlamentare, vorrei che i parlamentari fossero rispettati e stessero meglio. Aiutiamoli dando regole certe, chi non le rispetta affidiamolo a Brunetta purché Brunetta accetti di lasciare, non da solo, il seggio optando per il ministero. Visto che stanno rifacendo i regolamenti questa incompatibilità non si può scrivere da qualche parte?

martedì 10 giugno 2008

Berlusconi & la luna di miele indigesta







Questo insperato feeling tra gli italiani e il cavaliere (dopo le prime settimane di governo) sta facendo letteralmente "squagliare" le naturali difese caratteriali e personali di Sua Emittenza che mai come in questo periodo (e grazie ai suoi sempre beneamati sondaggi d'opinione) si sta beando dei "bagni di folla" che lo fanno sentire così amato dai suoi sostenitori e così popolare tra i suoi concittadini. Un amore viscerale e alquanto insano (a nostro parere) che potrebbe però portare i livelli di "glicemia istituzionale" a vette allarmistiche. Come sempre quando si va oltre certi limiti si corre il rischio di debordare, di rovinare con il troppo quello che sarebbe ottimale con il giusto. E a proposito di questa situazione idilliaca tra il presidente del Consiglio in carica e gli italiani, ci piace oggi proporvi un interessante articolo del notista politico de La Stampa, vale a dire Luigi La Spina, che titola il suo pezzo di prima pagina "Berlusconi e le promesse boomerang" spiegandoci i rischi di questa indigestione zuccherosa del cavaliere. Buona lettura.
La «luna di miele» di Silvio Berlusconi con gli italiani rischia di essere troppo dolce. E, come le torte eccessivamente zuccherate, il risultato potrebbe anche disgustare. Il presidente del Consiglio, infatti, dopo una campagna elettorale insolitamente priva di spettacolari promesse, sembra aver puntato tutto sui fatidici 100 giorni, quelli che segnano spesso non solo un primo bilancio del governo, ma danno l’impronta di una intera legislatura. Così, con un ritmo forsennato, si susseguono annunci di provvedimenti a raffica: sulla sicurezza, sull’immigrazione, sui rifiuti, sulle intercettazioni, sull’Alitalia, sugli statali fannulloni e, persino, sulla prostituzione. Un frenetico carosello d’iniziative che vorrebbero rispondere alle due sostanziali attese degli elettori. Quella di un ministero forte, compatto, capace finalmente di decidere. E quella di un ministero che non ha paura di scelte coraggiose, che non si fa intimidire dai conformismi del «politicamente corretto», capace di sfidare i vecchi tabù della sinistra culturale e politica. Insomma, per cominciare a parlar schietto, di un vero governo di destra. In Italia, nessun presidente del Consiglio, dopo Ricasoli, Sonnino e Salandra, ha mai amato che si definisse così il colore di un suo ministero. Eppure, una normale democrazia funziona con l’alternanza al potere dei due classici schieramenti politici. Ecco perché, per motivi diversi, anche meno nobili, pure una parte degli elettori contrari a Berlusconi, visto sconfitto lo schieramento amico, si è augurata di vedere all’opera «finalmente un governo di destra vera, come quello della Thatcher o di Reagan». In realtà, Berlusconi si è ispirato a modelli meno obsoleti. Il suo punto di riferimento, lo si è capito subito, è Sarkozy. Quello, per la sicurezza, dell’ex ministro dell’Interno. Quello, per l’economia, del candidato all’Eliseo che invoca «la libertà di poter lavorare quanto si vuole». Quello del trionfatore alle presidenziali che promette l’immediato «aumento del potere d’acquisto» dei francesi. Il subitaneo favore popolare e mediatico ottenuto con il primo Consiglio dei ministri, a Napoli sull’emergenza rifiuti, ha avuto il risultato di invogliare il «Berlusconi quater» a una moltiplicazione di annunci che rischia di contraddire proprio quei caratteri di solidità, concordia e, soprattutto, di efficacia vantati all’atto della sua nascita. Alle partenze fulminanti, infatti, si susseguono sempre bruschi stop. L’elenco è lungo, per cui si possono citare soltanto i casi più clamorosi. Si decidono specie di «tribunali speciali» per l’emergenza dei rifiuti in Campania e, poi, si capisce che è difficile sottrarre la questione al «giudice naturale», perché, come ricorda Andreotti a Scalfari nel film "Il divo", «il problema è più complesso». Si minaccia il carcere ai clandestini e, poi, ci si accorge che non ci sarebbero penitenziari sufficienti, si ingolferebbero ancor di più i tribunali e tutto finirebbe come le «gride» di manzoniana memoria. Per l’Alitalia non solo il rischio di fallimento è più vicino, ma forse la soluzione «Air France» era proprio l’unica che poteva evitarlo. Licenziare gli statali fannulloni è un’ottima idea, ma neanche l’attivismo del benemerito Brunetta riesce ad assicurarlo senza infilarsi nel solito tunnel delle trattative sindacali che si sa già come finiscono. Levare le prostitute dalle strade è un proposito che non solo non trova nella maggioranza l’approvazione unanime, ma sembra colpire le vittime invece che gli sfruttatori. Infine, sulle intercettazioni appare subito chiaro come l’intenzione governativa finirebbe per assicurare l’impunità alla maggior parte dei criminali in circolazione, rafforzando peraltro l’idea che si vogliano garantire gli affari illeciti della solita «casta» di politici, amministratori e portaborse dei potenti. Il risultato della politica degli annunci è sotto gli occhi di tutti: spesso è mancata proprio quella coesione nella maggioranza di cui si voleva dar prova, perché, in molti casi, la Lega si è dissociata dalla coppia FI-AN; c’è uno scarto evidente tra le intenzioni di decisionismo e di concretezza e l’inefficacia pratica dei provvedimenti proclamati; la raffica di iniziative, su argomenti sempre disparati, provoca disorientamento sulle linee essenziali del governo, alle prese ogni giorno con avanzamenti e retromarce incomprensibili. Certamente il clima di idillio tra Berlusconi e la generale opinione pubblica non è ancora compromesso. Ma spingere il pedale delle attese, moltiplicare le speranze, semplificare problemi complicati facendo credere in soluzioni imminenti può portare a cambi di umore repentini tra gli italiani. Come è avvenuto, peraltro, proprio tra Sarkozy e i francesi. Il presidente d’Oltralpe sta raccogliendo i frutti amari di promesse troppo facili, soprattutto sull’attuale unico banco di prova dei governi europei: i bilanci delle famiglie. Forse sarebbe meglio che Berlusconi si concentrasse su questo grave e fondamentale problema e smorzasse l’eco dei più disparati annunci.

lunedì 9 giugno 2008

in bocca al lupo Alex!


Nella giornata in cui debutta la nostra nazionale di calcio agli Europei di Austria e Svizzera, facciamo nostro un bell'articolo di Xavier Jacobelli (noto giornalista sportivo e vecchio frequentatore del Processo di Biscardi) dedicato al nostro calciatore preferito: Alessandro Del Piero. L'articolo ve lo riproponiamo integralmente, unitamente ad un grosso in bocca al lupo al capocannoniere della serie A e a tutti gli azzurri per uno splendido (e vincente) Europeo. Buona lettura. Alessandro Del Piero può essere l’uomo in più della Nazionale agli Europei. Anche se non parte titolare contro l'Olanda e anche se non dovesse esserlo nemmeno venerdì, contro la Romania. Convocandolo, Donadoni ha fatto la cosa giusta al momento giusto e ha confermato ancora una volta di essere il degno ct dei campioni del mondo. Dopo l’infortunio di Cannavaro, il capitano della Juve è il primatista di presenze (83 partite, 27 gol: miglior marcatore azzurro in attività e quarto di sempre insieme con Roberto Baggio). Ma non c’è bisogno di dare i numeri per capire se e quanto possa essere importante Alex in questo torneo. La sua forza risiede nella sua saggezza, coniugata ad una condizione di forma mai così brillante da dieci anni a questa parte. Tant’è vero che le ultime due stagioni hanno esaltato il campione di San Vendemiano, capocannoniere in B e in A, autentica anima della rinascita bianconera. Molte cose sono cambiate dall’autunno scorso quando, schierato fuori ruolo a San Siro contro la Francia, Del Piero e la Nazionale sembravano al capolinea della loro storia. L’umiltà di Alex e la sua ostinazione nell’inseguire il sogno europeo sono stati alla base di una riconquista che ha il sapore della rivincita. L’ennesima che lo juventino si prende nei confronti di critici e detrattori, gli stessi pronti a scaraventarsi sul suo carro due anni fa, a Berlino. Ma è soprattutto la chiarezza fra Donadoni e Del Piero la chiave di volta di un rapporto che può risultare decisivo in Austria e in Svizzera. Il ct ha scelto: i titolari sono Toni, Di Natale e Camoranesi. Eppure, come dice Ancelotti, il quale descrive l’ex compagno rossonero come meticoloso, documentato, quasi ossessivo nella preparazione delle partite, Donadoni è il primo a conoscere l’importanza di Del Piero in un torneo così breve e così intenso, a cominciare dalle prime tre partite in otto giorni. Una carta supplementare da giocare nel momento più opportuno e non soltanto come alternativa a Di Natale. Alex è una seconda punta, predilige il modulo 4-3-1-2, ma sarebbe pronto a cambiare ruolo se il ct glielo chiedesse qualora lo inserisse nel 4-3-3 caro al selezionatore. Colpiscono la serenità dell’uomo e del veterano che ha disputato 3 mondiali vincendone uno ed ora partecipa al quarto europeo della carriera. Quando Del Piero definisce «straordinari» gli ultimi due anni della sua vita, usa un aggettivo appropriato. Perchè i successi sportivi sono stati preziosi, ma ancora più significativo è l’accento che pone sul rapporto con la moglie e sulla nascita di Tobias, il bimbo che gli ha cambiato l’esistenza. L’unicità di Del Piero risiede nella sua capacità di rendere semplici le cose difficili, nell’equilibrio di un fuoriclasse che non ha mollato nemmeno nel momento più buio, quando la Juve è retrocessa in serie B e non aveva mollato nel ’98 quando l’infortunio di Udine poteva stroncarne la carriera o nel 2000, quando le critiche alla sua partecipazione all’Europeo perso solo per il golden gol di Trezeguet avrebbero abbattuto un elefante. Per non dire del mondiale 2002 dove Trapattoni gli regalò 89 minuti di spezzoni peraltro giocati fuori ruolo. E qualcuno dimentica i due anni di Capello alla Juve con Alex pencolante fra campo e panchina? Eppure, il ragazzo che Boniperti portò alla Juve non è mai cambiato, rimanendo sempre fedele a se stesso. Ha ingoiato bocconi amari con la stessa, disarmante serietà che gli ha impedito di accendere polemiche, tradire l’interesse della Juve e della Nazionale, riguadagnare la considerazione di Donadoni che ha il pregio di dire ciò che pensa, anche quando deve prendere decisioni sgradevoli. Del Piero non è tornato in Nazionale a furor di popolo. Ci è tornato perchè se l’è meritato e perchè, ancora una volta, ha dato una lezione di vita. Non si arriva a trentatré anni dov’è arrivato lui se, prima di essere campioni, non si è uomini veri. Nel football delle scelte di vita foderate di euro, delle bandiere ammainate perchè qualcuno si è venduto pure i pennoni, il capitano della Juve dimostra che un altro calcio è possibile. Il suo.

domenica 8 giugno 2008

il valzer delle intercettazioni (non gradite)




La stretta sulle intercettazioni telefoniche, annunciata più volte da Silvio Berlusconi in campagna elettorale, è purtroppo imminente. Da Santa Margherita Ligure il presidente del Consiglio promette che il ddl sarà approvato già al prossimo Consiglio dei Ministri, anche se chi ci sta lavorando è un po' più prudente sui tempi. Le parole del premier suscitano la preoccupazione dei magistrati riuniti a congresso a Roma e la reazione contraria dell'opposizione del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori.
Berlusconi ha spiegato che nel provvedimento, che prenderà la forma di un disegno di legge, ci sarà "il divieto assoluto di intercettazioni telefoniche, tranne per le indagini su mafia, camorra, 'ndrangheta e terrorismo". Per tutte le altre indagini, invece, ci sarà una pena di "5 anni per chi ordina intercettazioni, 5 anni per chi le esegue e 5 anni per chi le propaga". Inoltre, ha aggiunto il premier, ci saranno "penalizzazioni finanziarie importanti per gli editori che le pubblicano". D'accordo il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che da Catania ricorda come un terzo delle spese complessive della Giustizia sono impiegate per le intercettazioni: "Questo è un eccesso - rileva il Guardasigilli - e occorre porvi rimedio tutelando la privacy dei cittadini, non debilitando la forza delle indagini".
Netto il no del Partito Democratico che, con il ministro ombra della Giustizia Lanfranco Tenaglia (in nomen omen), denuncia: "Ridurre la possibilità di effettuare intercettazioni solo a determinati reati impedirà alla polizia e alla magistratura di scoprirne e perseguirne altri non meno gravi come le rapine, le concussioni, le corruzioni, le truffe ai danni dello Stato. Altro che sicurezza e certezza della pena. Con questo provvedimento non si fa altro che garantire impunità e intralciare il lavoro delle forze dell'ordine". Per il PD serve una legge sulle intercettazioni ma solo per garantire in maniera stringente la privacy dei cittadini, non per limitare gli strumenti di indagine.
L'Italia dei Valori reputa "inaccettabile" l'eliminazione delle intercettazioni annunciata dal governo. "Il vero obiettivo - sottolinea il capogruppo alla Camera Massimo Donadi - è utilizzarle assicurando la privacy dei cittadini". E ancora: "L'idea del carcere per i giornalisti è assurda. Un tentativo di imbavagliare la libertà d'informazione".
I diretti interessati, i magistrati, riuniti a Roma in congresso, insorgono contro la drastica riduzione di quello che reputano uno strumento investigativo fondamentale. "Grazie alle intercettazioni - ricorda il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara - abbiamo perseguito non solo reati di terrorismo e di mafia, ma anche reati comuni gravi. Penso all'estorsione e ad alcuni delitti contro la Pubblica amministrazione. Una riduzione drastica delle figure criminose a cui applicarle restringe oltre misura questo strumento". Lancia l'allarme anche il presidente di Magistratura Democratica Edmondo Bruti Liberati: "Non applicare lo strumento delle intercettazioni a reati come la corruzione, la concussione, l'insider trading o l'aggiottaggio vuol dire di fatto depenalizzare questi reati", perchè, spiega, molte volte "intercettare è l'unico strumento investigativo e di costruzione della prova processuale" che si può utilizzare per perseguire questi reati. Il valzer continua. Attendiamo il prossimo giro.

sabato 7 giugno 2008

la violenza sessuale non è una questione di razza!




Il recente episodio di violenza sessuale di un italiano su una marocchina tredicenne ha rinfocolato ancora una volta vecchie e stereotipate polemiche sullo stupro bianco o nero, sulle violenze commesse dagli italiani o dagli extracomunitari, senza pensare che comunque resta un crimine abietto, vigliacco, inumano. Una barbarie in parole povere. E non c'è da fare distinzione tra lo stupratore di colore o di razza bianca. Il crimine commesso non ha attenuanti se si guarda il colore della pelle. Ci mancherebbe altro! E a proposito di questo argomento lo scrittore Ferdinando Camon (http://www.ferdinandocamon.it/novita.htm) ha scritto sulle colonne de La Stampa un bellissimo articolo dal titolo "Se lo stupro ha marchio italiano" che vi invitiamo a rileggere con attenzione.
Immaginiamo la notizia a parti rovesciate: un marocchino di oltre 30 anni stupra e mette incinta una minorenne italiana, in età di scuola media; forse che dopo due-tre giorni la lasceremmo cadere? Ma saremmo ancora qui a pompare sui dettagli, che poi sono quelli che contano: lui maturo, potrebb’essere marito e padre, lei bambina, potrebb’essere sua figlia, ingenua, va alla ricerca della vita, ogni amicizia che incontra è una scoperta; lui che l’attira a casa propria, se ne fa amico e confidente, ne approfitta turpemente, e anche dopo riesce a tenerla così legata che lei non fiata con nessuno. Se la cosa stesse in questi termini, odieremmo non solo quel marocchino, ma tutti i marocchini; già sento le urla della Lega, «castrazione chimica», anzi no, «castrazione fisica», e un fattaccio del genere sarebbe utilizzato come una «vis a tergo» per far marciare il reato d’immigrazione clandestina, e forse riuscirebbe anche a farlo arrivare in porto. Invece la notizia è rovesciata: un italiano, un uomo maturo, ha irretito una bambina marocchina di 13 anni, se l’è fatta amica, l’ha portata a casa propria, e l’ha stuprata, lasciandola incinta. Lei era così inesperta e immatura che non ha capito bene che cosa le stesse succedendo. Metteva su pancia, e stava zitta. È stata la madre a spaventarsi, è corsa dalla polizia, ha esposto i suoi sospetti, e l’uomo è stato individuato e arrestato. Non era al primo tentativo. Scavando nel suo passato, hanno scoperto che aveva già adescato e violentato due ragazzine, sempre minorenni. Sentiva un’attrazione irresistibile per le bambine immature, e di solito questo avviene perché le minorenni sanno così poco che con loro non devi aver paura: è la paura che fa fuggire un uomo maturo dal cercare le coetanee, che sanno tutto, e lo spinge a cercare le piccole, che non sanno niente. La paura si sfoga con la vendetta. Sulla piccola puoi essere violento, tu sei un padrone e lei la tua piccola schiava. C’è del sadismo in questi atti. Ma se si ripetono, non sono più atti, diventano comportamenti. Qualche volta l’uomo avrebbe usato, per indurre a una più completa obbedienza le piccole vittime, anche della droga: aspettiamo che le indagini ci dicano tutto, e sapremo anche questo. Se fosse un marocchino e avesse violentato una bambina italiana, in età da terza media, perfino le nostre madri di famiglia, la parte della società meno incline alla protesta violenta, cederebbero alla voglia di giustizia-vendetta. I giornali seguono il pubblico, e dunque seguirebbero il montare della collera. La bambina susciterebbe la pietà generale, tutti la sentiremmo come nostra figlia, e patiremmo per la sua innocenza violata. Il violatore di tanta innocenza sarebbe un barbaro, proveniente da terre che non conoscono la civiltà, portatore in mezzo a noi di condotte tribali, e noi proteggeremmo quella bambina anche per senso paterno, essere genitore vuol dire essere padre di tutti i figli, tutti i figli sono un po’ tuoi. Bene, e adesso? Un violentatore non è più tale se è della nostra razza, della nostra nazione? I 13 anni di una bambina nata fuori d’Italia non valgono come i 13 anni di una piccola italiana? La sua innocenza, quel vedersi la pancina crescere senza sapere perché, che ci terrorizza al solo pensiero che potesse capitare a una milanese o torinese, smette di tormentarci solo perché è capitato a una del Marocco? Non ci viene in mente che un’immigrata ha, rispetto a una coetanea italiana, anche il trauma di venire da fuori, parlare un’altra lingua, andare in cerca di tutto, soprattutto di relazioni di cui fidarsi? Era, anzi è, una buona occasione per ragionare sul fatto che lo stupro non è una questione di razza, non lo fanno soltanto gli immigrati, romeni, marocchini. Lo fanno anche gli italiani. E sono altrettanto bravi. Questo qui lo faceva con una certa abitudine. Frequentava i luoghi dove trovava materiale femminile meglio predisposto ai soprusi, scuole, parrocchie, oratori. Costruiva la sua sequenza di stupri come una scala, voleva salire sempre più in alto, raggiungere un primato: s’era fatto un’italiana quindicenne, un’altra quattordicenne, e ora questa marocchina tredicenne. Per fortuna l’han fermato. Ora è a San Vittore, coperto di vergogna. Un po’ di vergogna però, confessiamolo, copre anche noi.

venerdì 6 giugno 2008

il Divo Giulio visto dal Divo Eugenio







Questa volta tra tutte le recensioni che in quest'ultimo periodo hanno accompagnato l'uscita dell'ottimo film di Paolo Sorrentino ("Il Divo"), abbiamo scelto quella scritta per L'espresso (nella sua rubrica "Vetro soffiato") da un cinefilo molto particolare. Uno che la figura e la vita (personale e politica) di Giulio Andreotti l'ha davvero seguita per anni, per decenni, in una chiave critica e indubitabilmente severa, non certo accomodante od ossequiosa. Stiamo parlando del fondatore ed ex direttore de la Repubblica, vale a dire Eugenio Scalfari che ha visto il film e ce ne parla in questo articolo, intitolato "Andreotti visto da vicino". Buona lettura. Il divo Giulio. Sono andato a vedere il film su Andreotti che ha meritatamente vinto il premio della giuria al Festival di Cannes ed ora è in programmazione nelle sale con buon successo di pubblico. Il regista Sorrentino è bravissimo, usa la macchina da presa mirabilmente, sia quando la tiene fissa sul personaggio sia quando la muove con un ritmo frenetico su oggetti, paesaggi, interni, comprimari, con un gusto di calligrafia e di citazioni colte di livello eccezionale. L'attore protagonista, Servillo, è il migliore di quanti lavorano in Italia e non teme confronti neanche sul mercato internazionale. Comprimari, comparse, luci, impaginazione grafica: tutto da approvare, sicché era giusto quanto hanno scritto i critici da Cannes quando si rallegrarono del rilancio del cinema italiano rappresentato da 'Gomorra' e da 'Il Divo'. Ma, detto tutto questo, il film non mi ha convinto. Nonostante il regista, l'attore e tutto il resto. Giulio Andreotti è un personaggio problematico, enigmatico, difficilissimo da classificare e da incasellare. Non somiglia a nessun altro. Nella galleria dei politici italiani è un 'unico'. Avendone scritto più volte nel corso di mezzo secolo credo di aver trovato un solo precedente che possa servire da pietra di paragone: Talleyrand. La tipologia è analoga: gusto del potere, cinismo, cattolicesimo, tradizione, trasgressione, ironia. Certo Talleyrand aveva alle spalle una grande famiglia e la Francia. Visse tra la Rivoluzione dell'Ottantanove, il Terrore, Napoleone, la restaurazione, la monarchia borghese di Filippo d'Orleans. Andreotti non può vantare nulla di simile. Se si vuole, può rappresentare il Talleyrand dei poveri, ma lo stigma è quello. Tutto questo per dire che un'interpretazione artistica che voglia mettersi al livello del personaggio non può che essere problematica quanto lo è lui; un'opera aperta che lasci allo spettatore di cavarne una conclusione e un senso.
Ma il film non lascia questo spazio, è schierato dalla prima all'ultima scena. Sostiene una tesi e la porta fino in fondo dalle immagini di presentazione a quelle di coda con l'elenco dei processi, delle condanne, delle assoluzioni, elencate con una oggettività che parla da sola e sottolinea la tesi come per dire: sempre assolto nonostante tutto quello che finora avete visto. Del resto una delle bravure andreottiane, nel film come nella vita, è stata quella di non lasciar tracce, segno di innocenza o indizio grave di colpevolezza? Può sembrare strano che sia proprio io a criticare il film perché troppo schierato contro. Nel corso di mezzo secolo di giornalismo mi sono infatti trovato più volte alle prese col personaggio Andreotti, con i governi da lui presieduti, con discussioni e polemiche sorte intorno a lui. Di solito sono stato apertamente e duramente critico nei suoi confronti, ma soprattutto ho cercato di decifrarne l'enigma che resisteva. In alcune occasioni non marginali mi è capitato anche di trovarmi su posizioni prossime alle sue. Per esempio quando nel 1972 toccò il culmine la guerra chimica (così fu definita) e vide schierati da una parte Eugenio Cefis alla guida della Montedison e dall'altra Girotti (Eni) e Rovelli. 'L'Espresso' condusse in quegli anni una campagna fortemente polemica nei confronti di Cefis, il libro 'Razza padrona' ne fu una delle tappe. In quella occasione incontrammo come oggettivo alleato Andreotti, allora presidente del Consiglio. Un'altra vicinanza oggettiva vi fu nei mesi della prigionia di Aldo Moro, sulla linea da tenere verso le Br. E ancora, più tardi, sulla politica antimafia che nei primi anni Novanta Andreotti finalmente adottò dopo un lungo periodo di 'distrazione' o addirittura di collusione gestita dai suoi uomini in Sicilia. Lui aveva in comune un solo tratto caratteriale con Moro, uno solo ma importante: tutti e due erano 'inclusivi'. Per rinforzare il potere erano pronti a includervi gli avversari o almeno alcuni di essi. Non a caso il primo governo con il Pci dentro la maggioranza fu voluto da Moro ma con Andreotti presidente del Consiglio. Quando Moro fu rapito, lo stesso giorno in cui quel governo si presentava alle Camere e cominciò il suo calvario che si sarebbe concluso con la morte, il disegno politico del presidente della Dc fu di includere le Brigate rosse nel sistema democratico. Riconoscere il partito armato, salvare la propria vita e dare alla lunga un'altra gamba alla democrazia italiana. Andreotti era già andato più oltre: non avendo gli scrupoli morali di Moro aveva di fatto incluso nel sistema anche la mafia. Salvo Lima gestì questa situazione ai tempi in cui era la famiglia Badalamenti a comandare a Palermo. La mafia come supporto dello Stato per mantenere l'ordine pubblico. E come serbatoio di voti e di preferenze per la Dc e per la corrente andreottiana. In cambio mano libera sugli appalti, sulla gestione degli enti locali a cominciare da Palermo, da Trapani, da Caltanissetta. Ma quando la mafia decise di entrare nel commercio in grande stile della droga, lì Andreotti cambiò registro. Lima ci rimise la pelle. Claudio Martelli, allora ministro della Giustizia, fu l'intelligente esecutore di quella svolta. Chi è dunque Andreotti? Un uomo di potere, innamorato del potere. Pessimista sull'Italia e sugli italiani. Governarli è necessario, trasformarli impossibile. Cattolico devoto quanto miscredente se lo si guarda in un'ottica cristiana. Figure come De Gasperi, Moro, Fanfani, Dossetti, Andreatta, Scoppola non avevano niente a che fare col suo modo d'esser cattolico. C'è un passaggio illuminante nel film, quando lui dice: bisogna saper fare anche il male per arrivare al bene, io lo so fare e anche Dio lo sa.

giovedì 5 giugno 2008

ma allora si lavora anche a Montecitorio!


Tre settimane di lavoro al mese, ma a un ritmo serrato dal lunedì al venerdì. Obiettivo: 28 ore a settimana e 85 ore al mese di sedute con voto. Un risultato mai raggiunto in passato. Questa è la "cura" di Gianfranco Fini per assicurare una maggiore produttività all'aula di Montecitorio. Uno schema che il presidente della Camera ha illustrato oggi ai presidenti delle 14 commissioni permanenti che, a loro volta, hanno appoggiato all'unanimità. "Per qualificare il Parlamento agli occhi della pubblica opinione, il primo criterio da adottare è quello di organizzare il lavoro in modo tale da dimostrare che la Camera dei deputati, i parlamentari, lavorano davvero per una settimana intera", ha spiegato Fini. La "tabella" del presidente della Camera, da applicare salvo il periodo di bilancio, prevede appunto tre settimane lavorative e una di sospensione. Uno schema che si era tentato di applicare già nella tredicesima legislatura, e che poi è stato abbandonato nella quattordicesima e quindicesima, quando si è tornati a "spalmare" il lavoro su quattro settimane. Lo scopo è quello di garantire il livelo di attività della Camera superiore alle passate legislature. Infatti, a dispetto delle impressioni, le tre settimane piene di lavoro garantiscono maggiore produttività. Basta paragonare le ore dedicate al voto (28 a settimana e 85 al mese) frutto di questa impostazione del lavoro con i dati delle passate legislature: 18 a settimane e 72 al mese nella quattordicesima legislatura e 20 ore a settimana e 80 al mese nella quindicesima. Nella pratica, l'organizzazione dei lavori comprenderebbe al lunedì la discussione generale; martedì e giovedì pomeriggio, mercoledì e venerdì mattina voto. Le commissione si riunirebbero martedì e giovedì mattina, e poi occuperebbero tutti gli spazi vuoti lasciati dalle votazioni in aula. Attualmente le giornate di lunedì e venerdì sono, di fatto, "morte". Tra le proposte fatte da Fini, anche quella di dare una forma di "tribuna" alla sinistra. Infatti, la presidenza della Camera ha proposto di permettere alle commissioni di ascoltare quelle forze politiche presenti nel Paese ma non rappresentate in Parlamento. Infine, tra le questioni trattate nella riunione, quello di garantire la presenza dei parlamentari in commissione. Un punto, questo, sollevato in particolare dagli esponenti della Lega. Tra le varie proposte, quella della "firma" di una sorta di registro presenze e quello di una specie di "cartellino" da timbrare per i deputati. Proposte, però, tutte da approfondire. Vuoi vedere che tra qualche mese anche a Montecitorio si installeranno i tornelli?

mercoledì 4 giugno 2008

turista italiano (maleducato) fai da te


Che l'italiano all'estero si distingua (nel bene e nel male), è diventato quasi un luogo comune. Peccato che a caratterizzarlo non siano solo lo stile e l'eleganza, ma anche e soprattutto la maleducazione. A rivelarlo è una ricerca di Expedia, fra le più importanti aziende di viaggi online, che ha incoronato il miglior turista di quest'anno e ha giudicato i viaggiatori di tutto il mondo in base ai loro migliori e peggiori usi e costumi. L'indagine di Expedia si basa sulle opinioni di più di 4mila albergatori di diverse nazionalità a cui è stato chiesto di valutare i turisti secondo diversi parametri, quali popolarità, comportamento, cortesia, disponibilità ad imparare la lingua del posto, curiosità di provare la cucina locale, generosità, pulizia, tranquillità, eleganza e propensione a lamentarsi. Sul podio dei migliori turisti troviamo giapponesi, tedeschi e inglesi (a pari merito) e canadesi. Noi italiani, siamo solamente al 14° posto, in quanto "modaioli, spendaccioni, caciaroni e abbastanza maleducati". Eppure, rispetto al 2007 abbiamo guadagnato ben cinque posizioni. Non saremmo particolarmente amati dagli albergatori cechi, greci, francesi, austriaci e olandesi, siamo al 5° posto per maleducazione e disordine nelle stanze e al 4° per scarsa disponibilità a parlare la lingua del luogo. Rispetto all'anno precedente, si migliora molto solo nello sforzarsi di assaggiare le specialità locali. I giapponesi, invece, si confermano i turisti più apprezzati anche nel 2008. Gli operatori alberghieri di tutto il mondo ne riconoscono il primato per buon comportamento, cortesia e tranquillità. Sono i viaggiatori che meno si lamentano, amano ordine e pulizia, hanno il portafogli sempre pronto e si piazzano quinti anche nella classifica dei turisti meglio vestiti. I turisti inglesi sono balzati in un anno dalla ventiquattresima posizione alla seconda, a parimerito con i turisti tedeschi. I grandi miglioramenti che hanno portato gli inglesi a scalare la classifica sono avvenuti in tema di abbigliamento, pulizia e ordine, comportamento, disponibilità a parlare la lingua della meta di viaggio e curiosità di assaggiare i piatti tipici. Gli inglesi restano comunque campioni di cortesia e in vacanza non badano a spese. Molto peggiori gli americani, che scivolano dalla seconda all'undicesima posizione, a pari merito con i tailandesi, a causa della loro maleducazione, della scarsa pulizia e rumorosità. Gli statunitensi rimangono, inoltre, quelli che si lamentano di più e i peggio vestiti. I francesi, invece, sono giudicati "avari e polemici".

martedì 3 giugno 2008

sesso in confessionale


Francamente ne avevamo sentite e lette, in passato, di storie di sesso e di luoghi alquanto singolari ove congiungersi carnalmente o lasciarsi andare a prestazioni hard di tutto rispetto. Sapevamo di rapporti consumati nelle toilettes degli aerei, negli ascensori, sulle lavatrici durante la centrifuga, ma mai di rapporti orali dentro il confessionale di una cattedrale. E i carabinieri del Comando di Compagnia di Cesena pensavano ad uno scherzo quando, domenica mattina poco dopo le 7, hanno ricevuto una telefonata proveniente dal vicino Duomo della città romagnola: «Sto seguendo la funzione mattutina e da uno dei confessionali della cattedrale provengono gemiti e rumori sospetti», diceva una voce alquanto agitata.
Non era uno scherzo. All'interno del confessionale i militari hanno infatti sorpreso E.B., 32 anni di professione educatrice, e G.S., 31 anni operaio, entrambi incensurati, impegnati in un appassionato rapporto orale. Nonostante l'intervento dei carabinieri, la messa è stata interrotta solo per pochi istanti e poi portata a termine come se nulla fosse successo. E chi sedeva nelle prime file non si è accorto di nulla. Nei confronti della coppia, immediatamente condotta in caserma, sono scattate tre denunce: atti osceni in luogo pubblico, turbamento di funzione religiosa e atti contrari alla pubblica decenza. «Siamo atei e per noi fare sesso in chiesa è come farlo in qualsiasi altro posto», si sono giustificati E.B. e G.S. con i carabinieri.
La donna, cultrice di moda e musica dark, ha anche dichiarato che «prima di domenica, nella mia vita ero entrata in chiesa solo un'altra volta». La gente chiacchiera e la vicenda è diventata l'argomento di questi giorni nei bar di Cesena dove è immediatamente partita la caccia per individuare i due protagonisti. Che, per ora, hanno deciso di rimanere chiusi nelle rispettive abitazioni senza aggiungere altro sul perché di quei pruriti sessuali sfogati in confessionale e di primo mattino. Monsignor Antonio Lanfranchi, vescovo della città, si dice «molto amareggiato» per quanto accaduto ed è immediatamente corso ai ripari. Venerdì prossimo, 6 giugno, alle ore 21 verrà celebrata una messa per riparare all'offesa ricevuta. «Siamo rimasti spiazzati, non era mai successo prima. Così abbiamo consultato un esperto di diritto canonico e tra i canoni c'è la possibilità di indire una funzione riparatrice se l'offesa è particolarmente grave», dicono dalla diocesi cesenate. Il vescovo invita «tutti i fedeli ad intervenire per pregare e riparare all'affronto subito. Si tratta di un atto che offende la nostra comunità cristiana e che denota totale mancanza di rispetto verso le persone». Nessun giudizio da parte di monsignor Lanfranchi nei confronti della coppia: «Non giudichiamo le persone, ma quello che hanno compiuto». Se ne parlerà venerdì durante la messa riparatrice.
Roberto Rizzo