l'assordante silenzio del PD
Ha proprio ragione Antonio Padellaro, direttore de l'Unità, a lamentarsi del silenzio di fondo che caratterizza questo periodo della vita politica del Partito Democratico e del suo leader Walter Veltroni. Mai come in questo momento così particolare, dove ogni ministro berlusconiano si alza la mattina e decide di mandare 2.500 soldati nelle strade o di non autorizzare le intercettazioni per i reati che non arrivano ai 10 anni di pena edittale, si avverte la mancanza di una seria e dura opposizione ad un ritorno del celodurismo di bossiana memoria. Ad eccezione di Antonio Di Pietro non ci pare che altri esponenti dell'opposizione si siano distinti in questi giorni per delle prese di posizione avverse alle decisioni governative. E' un andazzo che non ci piace e che crediamo non piaccia affatto nemmeno ai 12 milioni di italiani che un mese fa avevano votato per il partito di Veltroni. Condividiamo quindi il grido d'allarme di Padellaro e vi invitiamo a rileggere il suo articolo oltremodo interessante. Buona lettura. Come si sentono i dodici milioni di cittadini (per l’esattezza 12.092.998) che hanno votato per il PD alle ultime elezioni? A giudicare da ciò che si sente in giro ma anche, per esempio, dal tono delle numerose lettere spedite a questo giornale, non stanno benissimo. Dei medici specialisti (possibilmente non della clinica Santa Rita) potrebbero facilmente diagnosticare una persistente sindrome depressiva da batosta elettorale. Del resto, non bastano certo due mesi a metabolizzare la vittoria di Berlusconi, e non migliora certo lo spirito collettivo la prospettiva di altri cinque anni con un governo impegnato a sfornare leggi ingiuste e liberticide. Ma se la depressione è un vuoto che va subito riempito di nuova energia e di più forti stimoli non si può, onestamente, sostenere che le dispute sulla collocazione europea o sullo spazio da dare alla componente cattolica stiano mobilitando il popolo del PD restituendo scintille di passione ai malinconici e agli sfiduciati. Sappiamo bene che la politica agisce su piani diversi e dunque se l’adesione al Partito socialista europeo, contestata dall’ex Margherita, o se la polemica scatenata da Famiglia cristiana sull’eccesso di laicismo tra i Democratici non riscaldano i cuori ciò ovviamente non nega l’importanza delle questioni sollevate sotto il profilo etico e istituzionale. Il problema riguarda semmai l’eccesso di politicismo, il discutere del sesso degli angeli, per non dire delle ipotesi di scissione con un ritorno al passato da suicidio: diessini da una parte, margheritini dall’altra. All’Economist che definisce il PD troppo buono e l’opposizione più fantasma che britannica il senatore Tonini ha replicato su l’Unità, con qualche ragione, che per avere il consenso non serve la faccia feroce. Ed è anche vero che in piena luna di miele del governo e con l’inevitabile apertura di credito di cui all’inizio godono i vincitori le controproposte dell’opposizione suscitino meno interesse. Più opinabile l’argomento del PD costretto a non smentire la propria novità di partito che lavora non contro qualcuno ma per diventare a sua volta maggioranza. D’accordo, quell’autorevole giornale britannico non ha il dono dell’infallibilità e dimentica l’azione di contrasto condotta dal governo ombra e nelle aule parlamentari contro lo scempio Alitalia o contro il reato di immigrazione clandestina o contro la nuova legge vergogna sulle intercettazioni. Ma se malgrado tutto resta nell’aria l’idea di un’opposizione troppo morbida o dalla voce troppo flebile forse un problema di comunicazione esiste. Tre mesi fa (non tre anni fa) siamo stati testimoni della campagna elettorale di Walter Veltroni, delle piazze gremite e del coinvolgimento che il leader del PD è riuscito a suscitare recuperando voti che sembravano perduti. Con un linguaggio diretto Veltroni non ha esitato a mettere fuori gioco i più dannosi luoghi comuni della sinistra. Per esempio, che le scelte strategiche di un Paese non possono essere paralizzate dai veti della sue minoranza. Che le tasse vanno ridotte e non aumentate. Che se le imprese creano ricchezza sono una risorsa da difendere, non da indebolire. Che i privilegi vanno combattuti e il merito premiato. Che le prime vittime della criminalità sono i più deboli. Ora sappiamo che quel programma non è stato sufficiente a battere la destra dei facili slogan che ha mietuto nel campo della paura e del disorientamento. Ma è impossibile che tutta quella gente e tutto quel calore siano improvvisamente evaporati. La lanciamo lì, ma è un’idea temeraria pensare a nuovo giro d’Italia di Veltroni da organizzare molto presto, con la presenza attiva e convinta degli altri leader del PD? È un’idea stravagante quella di rivitalizzare il popolo del PD, sottraendolo alle sue solitudini e alle sue depressioni? È un’idea sbagliata mettere al centro di questa campagna della fiducia la dignità del lavoro? Quel lavoro umiliato dai cinque manager che guadagnano come 5mila operai. Sfruttato da quei governi europei di destra (l’italiano e il francese a braccetto) che vogliono l’oraro di lavoro «libero», anche 65 ore settimanali se necessario. Minacciato da quegli industriali che sognano un ritorno all’età della pietra e ai contratti individuali. E dai ministri del lavoro che si propongono l’abolizione di una delle poche leggi contro l’abuso di potere dei confronti dei giovani assunti: quella che proibisce le dimissioni in bianco, cioé senza data, al momento dell’assunzione. Non sarebbe straordinario vedere le piazze italiane di nuovo affollate per gridare no al lavoro che uccide? Non ne guadagnerebbero la forza del PD e dell’opposizione?
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