l'Antipatico

domenica 28 marzo 2010

votare bene per scalzare il despota


Non avevo dubbi. A poche ore dal voto delle regionali, il presidente del Consiglio ha lanciato gli ultimi siluri contro la magistratura politicizzata, contro l'ex alleato Casini e contro il centrosinistra colpevole di cavalcare le inchieste dei giudici e di travisare la realtà delle sue proposte. Insomma il suo solito monologo che da anni porta avanti con la caparbietà di un mulo, anche perché finora gli ha portato bene. Solo che questa volta gli errori a ripetizione commessi da Re Silvio potrebbero davvero portare ad una fine prematura del suo regno. L’ostinata difesa di quel pasticciaccio delle liste del Lazio, per giunta con il carico vergognoso del decreto legge salvaliste bocciato da tutti i tribunali, ha aperto gli occhi anche ai più ostinati sostenitori del Cavaliere che da ben 16 anni ci bombarda di promesse e di balle a suon di danza padana.
Inutile negarlo: in questo frangente la priorità per il despota di Arcore è quello di nascondere un problema interno tra gli alleati della coalizione di centrodestra, dovuto essenzialmente alla spartizione di poltrone e cariche di prestigio, che ha provocato alla fine (in molti italiani) una netta e legittima irritazione. Non si può ricorrere ad un decreto legge per sopperire ad una questione di spartizione della torta regionale, anche perché si tratta di uno sfregio nei confronti del Paese e dei tanti lavoratori che stringono la cinghia e perdono il lavoro. Altro segnale negativo, che a mio parere sta incanalando verso la fine il suo mandato, è quello dello scontro con i giudici. Non si può dire che la corruzione e la ragnatela del malaffare che da Nord a Sud avviluppa il Paese siano una invenzione di certe Procure che vogliono sovvertire il governo legittimamente eletto dai cittadini. Questo è inaccettabile. Nessuno ha mai negato che ci siano dei giudici politicizzati, soprattutto nella procura di Milano, ma da qui a demonizzare tutte le inchieste sulla corruzione galoppante ce ne vuole. La miscela esplosiva di tangenti ed escort che riguardano maggioranza e opposizione non possono essere addebitate ai giudici comunisti. Questa è una balla grossa come una casa. Il marciume c’è eccome e non può essere liquidato con le toghe rosse. Lo schifo e lo squallore di questa classe politica, di questa classe imprenditoriale, di questa classe di manager e di questi faccendieri arricchiti che si scambiano favori e mazzette e se la godono in barba ai tanti lavoratori che prendono salari vergognosi o licenziati non può passare con il messaggio del Cavaliere. Non c’è alcuna giustificazione a questo schifo. Altro che toghe rosse. Ed anche sulla questione immigrazione è un falso quello che dice il Cavaliere, affiancato dalla Lega. Saranno pure state bloccate le carrette del mare ma i clandestini e i rom arrivano a frotte. E quello che è scandaloso non sono gli immigrati ma il loro uso come schiavi nelle aziende del ricco Nordest e nelle imprese del Meridione. Senza contare che quelli che non trovano lavoro poi si dedicano allo spaccio e alla prostituzione. Altro aspetto negativo è il rapporto del PdL con Santa romana chiesa. Molte delle responsabilità di questa migrazione poi lasciata marcire per le strade è dovuta soprattutto alla politica dell’accoglienza praticata dalla Cei. Stiamo ormai finendo tutti nello stesso grande calderone delle braccia e delle menti a buon mercato per l’arricchimento dei soliti noti. Tutte le regole del lavoro sono travolte e azzerate anche grazie a chi spinge per la presenza di immigrati, come conferma il recente decreto sui flussi. Schiavi nell’agricoltura, schiavi nell’edilizia, schiavi nelle imprese, schiavi nelle case come badanti e come domestici. Altro che partito dell’amore. E allora come fa ancora il Pifferaio di Arcore a chiedere il voto degli italiani? Con che faccia si presenta ancora in tv sproloquiando e incantando quei pochi (spero) elettori indecisi propinando la solita minestra riscaldata? Non è meglio dare un bel segnale oggi e domani con questo voto per far capire al piduista che è ora di sloggiare? Mi auguro proprio che questo segnale inequivocabile arrivi.

domenica 21 marzo 2010

i 70 anni di MINA (e i miei 50)


Nel giorno del mio cinquantesimo compleanno ho scelto di dedicare questo post ai 70 anni che la più grande artista italiana della musica leggera compirà fra 4 giorni: Mina Anna Mazzini, universalmente conosciuta come MINA. Apprezzata e sagace columnist del quotidiano torinese La Stampa, la tigre di Cremona si avvicina in modo impeccabile (e augurabile) al compimento dei suoi settant'anni di vita, attorniata da quella splendida aureola di curiosità e di mistero che oramai la circonda e l'accompagna da quel fatidico 1978, quando decise di abbandonare le scene televisive e gli spettacoli dal vivo. Inutile dire che anche il sottoscritto ha trascorso moltissimi momenti della propria vita sotto l'influenza e la melodia delle infinite sfumature canore uscite dalla meravigliosa cavità sonora della "Divina" della canzone italiana: momenti impareggiabili e indimenticabili, scanditi dagli arpeggi inarrivabili e dalle sonorità da usignolo (tipiche di MINA) che ancora oggi accompagnano i miei momenti di relax. Per chi volesse approfittare di qualche giorno di gratuito ascolto della stragrande maggioranza delle performances canterine di Mina può cliccare questo link: http://www.unitedradio.it/node/6737. Per chi invece volesse rileggersi una sorta di Bignami della vita della signora lombarda, può tranquillamente assaporare questo splendido articolo (a lei dedicato) scritto da Cinzia Leone: http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=215585. Ancora tanti auguri alla grande signora della musica. E anche qualcuno a me.

lunedì 15 marzo 2010

La deriva del caos


Qualche post fa, con grande speranza, si titolava il viale del tramonto, l'inizio della fine di questo stato di cose in cui giace miserrima la Nazione Italiana, comandata dal peggior figuro che abbia calcato le scene politiche europee, se non mondiali, da molti anni a questa parte. In effetti, ormai da molti (troppi) mesi si avvicendano segnali di uno sfacelo sociale, morale, economico e di tutte le parti vive dello Stato e della democrazia (o quello che ne rimane), che qualsiasi persona sana di mente e dotata di un barlume di lucidità giudicherebbe senza esitare disastroso, e inaccettabile a tal punto da augurarsi perlomeno che la parte ancora viva e orgogliosa di questo agglomerato di persone e istituzioni, con un colpo di coda, con un rigurgito dello Stato di Diritto, insomma in qualsiasi modo, se ne liberi come da un cancro che ne sta minando la vita stessa. Ma, ahimè, siamo in Italia, il Paese di Pulcinella, del teatro e dello sberleffo. Sembra davvero che al peggio ormai non ci sia più fine. Abbiamo toccato il fondo da tempo: ora si raschia, si perfora, si scava nell'abisso dell'irragionevolezza e del paradosso. Siamo, insomma, in piena deriva su ogni fronte, siamo al degenero, al caos più completo. Non sto neppure a citare tutte le nefandezze e le bestialità che si sono avvicendate in questo periodo pre-elettorale, e prima ancora. Non serve. Tutti coloro che possono leggere queste righe sanno perfettamente di cosa parlo. E da persona razionale, ora mi rendo conto che non so dire dove andremo a finire. Non riesco più a capire se questo scempio avrá fine, e se lo avrá, quando. Senza dubbio il Pifferaio è attaccato quotidianamente da vari fronti, e non può essere altrimenti, visto che ha dichiarato guerra da tempo al potere giudiziale, alle istituzioni in toto, a tutti coloro che non sono legati come miseri servi, o meglio come poveri cani, al suo guinzaglio. Non può ormai che aspettarsi un sincero risentimento, quando non vero odio, visto il trattamento che riserva a chi non sottostà alla sua squallida idea di Paese atrofizzato, di democrazia africana (e qui mi scuso con l'Africa dato che ormai questa metafora risulta stantía). La miniatura del Duomo che gli ha dato l'occasione di farsi ancora un pò più artefatto ne è un lampante esempio, e con ciò non voglio fare nessuna apologia della violenza né fomentare odio nei suoi confronti: semplicemente è constatare un disdicevole stato di cose a cui siamo giunti in massima parte per merito suo (dando atto sempre all'inettitudine dell'opposizione, non vorrei mai!).
Il fatto è semplice: questo pagliaccio è sceso in campo 15 anni fa per scappare a una condanna che gli stava cadendo addosso, che lo avrebbe catapultato ad ingrossare le fila dei miserabili figuri che uscivano fuori dalle rovine della Prima Repubblica. Poteri forti, tessendo un disegno massonico-piduista e protezioni più solide, unite ad un carattere e ad un carisma certamente fuori dal comune, hanno fatto sì che si incastrasse alla perfezione nel vuoto di potere che si creò in quel periodo, dando alle masse smarrite che non sapevano più quale scudo crociato barrare nella cabina, una nuova ragione d'essere. Da quel momento, potendo azionare le massime leve del potere, dotato di potenti strumenti di dissuasione di massa, ha iniziato la sua personale crociata; contro i giudici che lo "perseguitavano", contro il nemico prontamente battezzato in piena controtendenza storica: i "comunisti", e così via. Fino a quando il troppo potere accumulato lo ha fatto diventare il robocop mezzo fuso e impresentabile che abbiamo davanti oggi. I danni che ha fatto al nostro povero Paese (che peraltro pare abitato da una buona parte di amebe umane che non hanno saputo opporre una minima resistenza alla penetrazione di questa infame sottocultura televisiva e gangsteristica), sono incalcolabili. Già ho dato la mia personale interpretazione della divisione degli intelletti del popolo italiota e delle ragioni che li animano, in precedenti post. Qua mi limito a dire che chi non si è ancora rassegnato alla disfatta, oggi sogna un Paese
perlomeno senza Berlusca. Questo è tutto. Perchè sa che il giorno che ciò accadrà, non ci sarà comunque nulla da ridere, né da festeggiare. Nessun altro pagliaccio della schiera opposta dà minime garanzie di sapere o potere governare questo stivale impazzito. Tutto ciò che abbiamo oggi è la misera caricatura di un dittatore, uno squallido liftato pieno di livore che cerca in ogni modo di convertire una Nazione in un presepe, un diorama a sua disposizione, dove poter spostare le figurine a suo piacimento. E siccome, nonostante tutto, non c'è ancora riuscito, ma anzi viene incalzato da ogni parte, è diventato ancora più velenoso, pericoloso e grottesco. Tutto ciò che sta succedendo oggi in Italia, per non dire quello che è successo da almeno un anno a questa parte, non dico in un Paese normale (sappiamo bene di non esserlo neppure lontanamente, e questo già in tempi non sospetti), ma pure in uno Zimbabwe, per citare espressioni di questi giorni, sarebbero inaccettabili e avrebbero causato sconvolgimenti sostanziali. Noi tutti invece, noi tutti, da chi vorrebbe Berlusca in una baita della Valcamonica a passare la sua vecchiaia in serenità, a chi lo vorrebbe invece in una cella a San Vittore, a chi lo vorrebbe Presidente della Repubblica o padrone con frustino e gli stivali di latex, continuiamo a guardare. A vedere cosa succede. Chi sbraita, chi arranca cercando di sbarcare il lunario con una sorda rabbia che lo rode dentro, chi prega la madonna perchè i giudici comunisti togherosse cattivoni smettano vivaddio di perseguitare ingiustamente questo uomo tanto buono, insomma: ognuno a suo modo. E il caos continua, avviluppandosi ormai su se stesso in una mirabolante girandola di fatti inverosimili, paradossali e grotteschi, in un impredicibile futuro.
Io, emigrato in una terra che si è volta ostile quasi quanto quella che lasciai a suo tempo, ma per altre ragioni e su altri fronti, continuo a cercare di capire. Apporto il mio granello di sabbia, con questi scritti, con le mie azioni e le mie parole, con la speranza che il caos in cui versa il Paese che mi vide nascere e crescere abbia presto fine. In questa terra che si è volta ostile, ma che nella morsa della crisi mantiene livelli di decoro istituzionale assai più elevati dell'ex-Belpaese (benchè parecchi spagnoli a queste parole mi crocifiggerebbero istantaneamente), ho il mio bel daffare per cercare di tirare avanti, anzi di tirarmi fuori dalle grane economico-occupazionali. Ma non smetto di preoccuparmi per questa ignobile deriva, e mi auguro ancora una volta, anch'io al balcone, di vedere presto un nuovo orizzonte libero da Berlusconi. Quale che sia il futuro, di certo sarà migliore.

mercoledì 10 marzo 2010

l'Italia della gente (a)normale proiezione del GF10


Finalmente anche la decima edizione del Grande Fratello ha chiuso i battenti dopo 134 giorni, consegnandoci la scontata vittoria del salumiere veneto. I numeri, nudi e crudi, ci dicono che sette milioni e mezzo di nostri connazionali si sono sciroppati le tre ore della finalissima di lunedì sera rappresentando così una sorta di specchio riflesso di quei sei milioni citati nell'ultimo film di Giovanni Veronesi (Genitori e figli - agitare bene prima dell'uso), allorquando l'adolescente Luigi si rivolge ai genitori con la battuta: "Sei milioni di italiani guardano il Grande Fratello: non saremo tutti dei cretini?" e per tutta risposta riceve un SI' secco e prolungato che non lascia adito ad altre interpretazioni. Una scena di un film che rappresenta una sorta di scontro tra generazioni diverse e modi di concepire la realtà e la televisione diametralmente opposti. Ma che in sè contiene anche un altro subliminale messaggio: vale a dire la pretesa di chi crede che un numero basti a spiegare tutto. Sei milioni di telespettatori sono tanti ma al tempo stesso sono pochi rispetto al numero totale degli italiani. Dovremmo invece imparare una volta per tutte che chi vede un programma (nello specifico il GF), con i relativi dati Auditel che ne conseguono, non è detto che lo giustifichi o lo promuova. Anzi, a voler essere un pò provocatori, per sintetizzare questo decennio del Grande Fratello verrebbe voglia di dire: "Dieci anni di Grande Fratello. E il mondo va sempre peggio". Magari sarà pure una forzatura questa frase, ma prima o poi qualcuno dovrà anche fare i conti su quanto due lustri del GF sono costati alla società italiana. Provate a pensare, ad esempio, a quanto i cosiddetti reality hanno contribuito a sdoganare alcuni dei nostri peggiori difetti, rendendo normali (se non addirittura alla moda) comportamenti che fino a pochi anni fa venivano considerati inaccettabili dalla maggior parte del Paese. "Noi raccontiamo la realtà" hanno detto il capo degli autori del GF e il presidente della Endemol Italia nella conferenza stampa di ieri. Già, ma che tipo di realtà si tratta? Quanto c'è di reale e quanto c'è di televisivo (ovvero di artefatto) nei tanti concorrenti che si atteggiano a personaggi da Grande Fratello ancor prima di essere selezionati? Con la vittoria di Mauro Marin, dicono in tanti, c'è stata la vittoria della gente normale. Come dice il massmediologo Gianluca Nicoletti, il salumiere di Castelfranco Veneto è una persona basica, uno che ha rotto tutte le regole di un reality. A parte che Mauro si occupa di marketing nell'azienda di famiglia, quello che non torna è il concetto di uomo basico. A meno che non si voglia far intendere che basico stia per autentico. Il che renderebbe basiche tutte le rozzezze e volgarità messe in mostra nei quattro mesi del programma di Canale 5, arrivando così a giustificare qualunque cosa in nome di una presunta autenticità. Su un punto, però, i ragazzi del Grande Fratello sembrano davvero lo specchio di una certa Italia: sono giovani che preferiscono chiudersi in casa per 134 giorni invece che aprirsi alla realtà che li circonda. Gente che bivacca e scorreggia sui divani della casa rendendosi passivi e incapaci di reagire a qualunque cosa, seppur memori delle nove precedenti edizioni. E a fronte di questo esiste una tipologia del pubblico televisivo che possiamo catalogare così: quelli più avvertiti che sanno decodificare i programmi tv e sorridere di ciò che ne esce. Quelli cosiddetti curiosi che ne rimangono affascinati ma che di fronte agli eccessi inorridiscono. E infine i meno avvertiti che si bevono tutto ciò che accade in questi reality come fosse oro colato e che si fanno condizionare (nei comportamenti, nell'abbigliamento e persino nel modo di rapportarsi con gli altri) da ciò che si dice e che si fa in tv. Questa ultima tipologia di telespettatore, ci dice l'Auditel, rappresenta lo zoccolo duro dei reality: gente che vive (e vegeta) davanti alla tv e che dalla tv impara a vivere e a pensare (quando ci riesce). Gente che sembra non avere alternative rispetto al vivere con un telecomando in mano. Invece ne avrebbe eccome, ma non le vede e non le cerca. E pensare che a queste persone basterebbe avere solo un pizzico in più di capacità critica per fare un gesto davvero rivoluzionario e sensato. Quello di spegnere certa televisione e tornare così padroni della propria vita. O in alternativa (davanti alle sciocchezze che certi programmi propinano come se fossero verità assolute) farsi una bella e grassa risata. Alla faccia di quanti manipolano la tv. E noi.

sabato 6 marzo 2010

le conseguenze del pasticciaccio delle liste


Prima o poi doveva accadere. La questione della presentazione irregolare di liste e listini (del PdL e di Formigoni) non era propria inattesa, considerando il livello qualitativo della politica al tempo della Seconda Repubblica. Da quindici anni stiamo osservando, purtroppo passivamente, l'andamento di questa lunga transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica. Un passaggio ancora incompiuto, ma ben noto nei suoi tratti essenziali, a partire dal bipolarismo imperfetto del sistema elettorale dell'attuale Parlamento e, ancor prima, dall'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle Province e delle Regioni, oltre al crescente ricorso alla decretazione d'urgenza e alla vergognosa proliferazione di leggi (ad personam o ad listam) approvate con il voto di fiducia. Queste sono le legittime premesse da cui poi derivano l'impoverimento della discussione parlamentare e l'incremento esponenziale delle presenze in televisione dei politici. In tal modo i media (tv e radio in particolare) si sono trasformati da strumenti di informazione in luoghi di discussione, quando non di propaganda laddove manchi il contraddittorio. La conseguenza più evidente di questi nuovi tratti del fare politica (e non, come dice il Pifferaio di Arcore, della politica del fare) tocca inevitabilmente la qualità della rappresentanza. Se prima questa aveva a che fare con il territorio, adesso troppo spesso ne è sostanzialmente sganciata. Le realtà locali non sono più la base propulsiva del motore politico, ma progressivamente si stanno trasformando in terminali di procedure di consenso e di leadership che originano altrove. Soprattutto in televisione. Un cambiamento che, però, sta avvenendo con molte improvvisazioni (come è stata ad esempio la decisione sui talk show) e con evidenti vuoti nel raccordo tra vecchio e nuovo. Ed è ciò che la questione delle firme e delle liste pasticciate sta a dimostrare. Fino all'inizio degli anni Novanta i partiti politici avevano strutture solide e molto efficienti. Problemi di firme non c'erano a nessun livello. I funzionari di partito sapevano bene a chi e come chiederle per presentarle correttamente compilate e nei tempi appropriati. E lo facevano indifferentemente nei piccoli e nei grandi centri urbani perchè ovunque esisteva il collante della conoscenza diretta tra i partiti e la popolazione. Anzi, in alcune periferie, il partito (di una volta) finiva per svolgere anche ruoli di supplenza sociale. Adesso non è più così: all'esposizione mediatica dei leader non corrispondono più quegli automatismi che garantivano l'efficacia dell'azione politica. Tutto è molto più vago e non sempre affidabile come una volta. Certo, le firme sui moduli cartacei di presentazione delle liste all'ufficio elettorale (nell'era di Internet) appare alquanto anacronistica. Infatti, se il numero delle firme si configura come una sorta di garanzia dell'esistenza reale del partito, esso avrebbe lo stesso valore se (invece che sulla carta) le firme fossero raccolte in forma digitale. Berlusconi parla tanto di "digitalizzazione" e poi si ritrova un rappresentante qualunque che preferisce un buon panino imbottito alla classica fila allo sportello. In parole povere, il riferimento al territorio del "bel tempo andato" (rispetto ai territori virtuali e all'interattività telematica) ha perso parte del suo valore. Insomma, se è giusto richiamare il valore del territorio, tale richiamo deve però comprendere anche le nuove realtà di incontro e di comunicazione. Non sembrerebbe, ma di fatto siamo alla vigilia del voto elettronico e quindi alla formazione di un consenso meno scontato, ma forse più rispondente alla contemporaneità. Le questioni di lana caprina delle liste di questi giorni (risolte nella solita maniera democratica dal Cavaliere...), al di là del merito politico, dimostrano la necessità di leggi nuove e non "occasionali" o "interpretative". Il tutto per sanare errori e mancanze che si sarebbero comunque potute evitare. Magari facendo prima un'abbondante colazione a casa...

martedì 2 marzo 2010

il Paese della corruzione


Non passa giorno in questo ultimo periodo senza che le cronache di giornali e televisioni si riempiano di nomi e fatti attinenti alla corruzione e alla malversazione della gestione della cosa pubblica nel npostro Paese. Una sorta di alfabeto senza soluzione di continuità rappresentato da episodi, facce e riflessi vergognosi della pratica della mazzetta. Un fenonemo in costante aumento che nessun argine legale è mai riuscito a contenere, non dico a cancellare. Ma quello che preoccupa oggettivamente di più, al di là della legittima condanna e dell'ovvia riprovazione dell'italiano medio, è il costo reale economico legato alla corruzione. Soprattutto perchè ai costi diretti devono aggiungersi enormi costi indiretti, derivanti dalla diffusione della pratica corruttiva. Infatti, in un appalto truccato, il contribuente (ovvero chi sta leggendo in questo momento) finisce per pagare beni e servizi ad un prezzo decisamente superiore: prezzo costituito dalle mazzette corrisposte agli amministratori infedeli e dalla rendita all'impresa, la quale (pagando) si garantisce di non avere competizione. Questi sono i costi diretti. Ma quando la corruzione diventa sistema, allora la competizione ne risulta conseguentemente distorta e l'intero sistema economico ne paga le ripercussioni. Se gli appalti sono truccati, le imprese che li ottengono sono quelle che riescono a mantenere rapporti con la politica o con la criminalità organizzata. Ergo, le imprese più efficienti ma meno connesse sono inesorabilmente fatte fuori dal mercato. Gli imprenditori di successo (basti fare l'esempio del famigerato ANEMONE) sono quelli in grado di fornire vantaggi privati al politico di turno (o al capo della Protezione Civile...), non già quelli onesti in grado di produrre beni e servizi di qualità a basso prezzo per l'Amministrazione pubblica. I recenti casi di imprenditori che guadagnano i favori del mondo politico, organizzando feste e festini, rappresentano un triste esempio di questo fenomeno di distorsione della competizione. Ma anche il fatto, non troppo pubblicizzato, che i giovani più brillanti si iscrivano all'università soprattutto a Legge e non a Ingegneria (in controtendenza rispetto al resto del mondo sviluppato) segnala indubbiamente un sistema economico e sociale in cui ha successo chi si sa muovere tra leggi, leggine, istituzioni, commissioni, stanze del potere e quant'altro. Tornando ai costi indiretti della corruzione, bisogna annoverare tra essi anche il disincentivo agli investimenti diretti esteri. Infatti una delle ragioni, per cui l'Italia ne riceve la metà della Francia, è che le imprese straniere sanno che entrerebbero in un mercato distorto in cui faticherebbero a competere, e quindi preferiscono starne fuori. Credo sia importante notare come questa distorsione della competizione economica (e della selezione delle imprese di successo) è gravemente peggiorata a causa dell'inefficienza della giustizia italiana, specie quella civile, che non protegge in tempi ragionevoli quelle imprese che volessero onestamente competere sul mercato. Un'altra categoria dei costi indiretti della corruzione è rappresentata dalla distorsione della competizione politica ed elettorale. La classe politica, in questo sistema, compete a livello locale attraverso il controllo economico del territorio. I politici locali, di conseguenza, sono selezionati non già sulla base delle loro capacità o della loro onestà, quanto sulla base della loro abilità nell'incanalare fondi dal sistema centrale verso la propria regione e a controllarne la distribuzione sul territorio. Ed è in questo controllo della distribuzione di fondi e appalti che spesso tornano utili i rapporti della politica con la criminalità organizzata. Anche in ragione di questo abbiamo un'Amministrazione pubblica ipertrofica che controlla oltre il 50% del prodotto interno lordo del Paese. Mi riesce difficile, poi, credere alle parole del Pifferaio di Arcore (e dei suoi inquadrati ministri) che teme la destabilizzazione del sistema ad opera dell'attività giudiziaria e non già la stagnazione, ai margini del mondo sviluppato, del nostro Paese a causa del sistema corruttivo in atto. Anche grazie a lui.