Brunetta, il cabarettista della politica

E' un pò come rimettere l'orologio sentendo il cannone del Gianicolo a mezzogiorno a Roma. Ogni qualvolta il presidente del Consiglio annuncia alla nazione un qualsiasi provvedimento (e stavolta l'aveva fatto in modo alquanto clamoroso ed inaspettato, concedendo la prima intervista al nemico: http://www.repubblica.it/politica/2010/01/09/news/ritorno-berlusconi-1885954/), state pur certi che, tempo 24 ore, ci sarà l'immancabile marcia indietro: un classico berlusconiano. E questa volta ha davvero qualcosa di patetico la retromarcia sul tema delle tasse compiuta dal novello Scarface (azzeccatissima definizione del mio amico DAVIDE) che aveva ripresentato al giornalista di Repubblica il suo antico sogno della riforma a due aliquote Irpef: al 23 e al 33 per cento. Ed è una tristezza che induce a pensare quanto continui a pesare, sulla nostra società, l'insieme degli interessi e delle clientele che generano la spesa pubblica e che sono schierati a difesa dello status quo. Perché (e di questo sono fortemente convinto) se il governo volesse ridurre le uscite e accantonare i progetti faraonici, non c'è dubbio che un ridimensionamento delle imposte sarebbe possibile. Ma il premier ci ha detto chiaramente che se dovesse scegliere tra la rivoluzione liberale (e la difesa di questa Italia in declino) e i suoi vizi, egli opterebbe senza indugio per la seconda soluzione. Le recenti preoccupazioni del suo fidato scudiero economico, l'ineffabile Giulio, in merito alla tenuta dei conti pubblici (rievocate da Berlusconi quale impedimento al taglio delle imposte) potevano anche essere prese nella giusta considerazione, ma non rappresentavano di certo un ostacolo insuperabile. A mio modesto avviso si possono aiutare sia il bilancio pubblico che l'economia produttiva italiana se insieme al taglio del prelievo fiscale si procede anche in altri ambiti. E' un dato acclarato quanto sia urgente liberare lo Stato dal fardello degli enti pubblici, usando le risorse ottenute dalla cessione di Eni, Enel, Poste Italiane e tutto il resto per ridimensionare il debito pubblico e di conseguenza gli interessi da pagare. Evidentemente, i privilegi e le logiche privatissime di quanti amministrano il parastato hanno fatto premio sulla necessità di aiutare l'economia nel suo insieme. Un tema alquanto importante è sicuramente il federalismo fiscale perché, se quello delineato dal governo fosse davvero tale (prospettando un sistema di imposte manovrabili e bilanci veramente locali), sarebbe più che legittimo attendersi una razionalizzazione dei servizi, una riduzione delle uscite, un ridimensionamento degli oneri. Se però non sarà così (e all'orizzonte non vedo nulla di buono), allora avremo solo un pericolosissimo federalismo di spesa, con tasse decise da Roma (dal duo B&B) e solo più soldi lasciati in periferia, con un conseguente aumento dei gravami sul bilancio generale. Un motivo in più, quindi, per non tagliare le imposte. Altro dato importante è costituito dall'esigenza di cancellare quell'insieme di aiuti alle imprese che, per loro natura, seguono logiche discrezionali anche quando sono venduti come interventi di carattere ecologico. Ed egualmente si può dire che una riduzione importante delle uscite verrebbe dalla rinuncia (da parte dei ministri berlusconiani) a giocare a Monopoli con i soldi altrui, rinunciando a mettere le mani nelle tasche dei contribuenti. Insomma, se si mettessero in soffitta (come sarebbe giusto fare) il ponte sullo Stretto, la Tav, la Banca del Sud, il nucleare di Stato e ogni altra grande opera variamente keynesiana (e berlusconiana) sarebbe possibile trovare risorse da lasciare a chi davvero produce ricchezza. Con ogni probabilità, nel momento in cui ha rispolverato (dopo ben 16 anni!) il vecchio progetto di abbassare le imposte e realizzare il progetto che fu tremontiano delle due aliquote, Berlusconi ha avuto l'ultima chance storica di fare davvero qualcosa di liberale. La goffa smentita di sé delle ultime ore segna la definitiva fine non già del suo sogno, ma di quello cullato da quanti hanno pensato che egli potesse aiutare il Paese a muoversi verso una riduzione della sfera del potere pubblico. Non sapendo che il Caimano (come il coccodrillo) mangia i suoi figli (o propositi, che dir si voglia), versando le scontate e relative lacrime. Tanto per cambiare.
Il vecchio adagio ci ricorda che l'Epifania tutte le feste si porta via, ma la realtà politica di questo inizio 2010 ci dice semplicemente che la campagna elettorale per le Regionali di fine marzo è già in pieno svolgimento. La prima a scendere in campo (curiosamente proprio nel giorno dedicato alla Befana...) è stata Renata Polverini, candidata del Popolo della Libertà alla poltrona della Regione Lazio del dopo Marrazzo. Non è un segreto di Stato la notizia che la sua candidatura ha provocato all'interno della compagine governativa qualche mugugno a causa di qualche sua velata simpatia tinta di rosso per la sua attività di sindacalista. Si sa come Feltri dalle colonne del Giornale l'abbia ferocemente attaccata, stroncandone sul nascere ogni possibile appoggio editoriale alla causa comune. Di certo anche la Renata non si sottrae a qualche critica visto e considerato la sua scelta della squadra che la sosterrà durante la campagna elettorale: nomi altisonanti come il senatore in odore di camorra Claudio Fazzone (già visto ad Annozero), il senatore Paolo Barelli e il sindaco di Fiumicino Mario Canapini. Non c'è che dire, tutta bella gente con l'aggiunta della chicca di Francesco Storace in odore di presidenza del Consiglio regionale del Lazio. La Polverini ieri si è adeguata alla festa nazionale consegnando i doni durante la Befana del poliziotto, proseguendo con la Befana tricolore di Sacrofano e terminando con la Befana dell'UGL della Polizia. Un bel tour propagandistico, senza scopa e senza fazzoletto in testa. Non ce n'era assolutamente bisogno. Come forse non si avvertiva il bisogno della candidatura (sua sponte) di Emma Bonino che, forse ispirata da una scena di un vecchio film di Nanni Moretti, forse motivata da una battuta uscitale spontaneamente, ieri ha detto:"Mi sembra si siano infilati in un patetico dibattito interno". A chi si riferiva? Beh, a quelli del PD, è ovvio, no? A sinistra oramai lo sanno proprio tutti: c'è sempre un dibattito in corso. Anche quando è tempo di piantarla e di prendere una necessaria e sana decisione loro dibattono, mentre gli altri prendono decisioni politiche che, per forza di cose, prendono in contropiede la sinistra che è eternamente in ritardo. Quando fa così la sinistra può essere tranquillamente paragonata a un treno in ritardo che non passa mai. Certo, il ciclone Marrazzo è stato quello che è stato. Una mazzata sulla schiena che ancora la sentono. Tuttavia, dovrebbe avere anche dei vantaggi. Se è vero che la candidata del PdL (la Polverini vicina a Fini) è vincente, è anche vero che dopo aver toccato il fondo non si può fare altro che risalire. Insomma, per paradosso le cose dovrebbero essere più facili proprio quando sono più difficili, quasi disperate. Invece anche con Bersani, uomo politico dotato di senso della realtà, il PD tarda a ingranare la marcia giusta e il suo treno è ancora in ritardo. Ora che Emma Bonino è la candidata radicale per il Lazio, nel PD si attendono lumi da Zingaretti (non l'attore, ma il fratello) e dal suo mandato esplorativo per cercare di capire chi contrapporre alla Polverini. Le primarie no, vero? Intanto Casini e l'Udc aspettano, attendono, temporeggiano, ma non si può aspettare vita natural durante, perché la vita natural durante non è infinita. Se poi si aggiunge che il PD andrà in ordine sparso praticamente ovunque, dal Lazio alla Campania, dalla Calabria alla Puglia, si capisce che l'eterno ritardo è figlio di contrasti interni e di una confusione mentale che non lascia ben sperare neanche per il futuro prossimo. Lo hanno definito "il partito dei depressi", un motivo forse ci sarà. Ovvio, il giudizio è di quelli cattivi, perfidi, ma qualcosa di vero ci dovrà pur essere se da quelle parti non si ride mai se non a denti stretti. Zingaretti ha un handicap: il tempo. Andava bene ieri l'altro, quando non c'era ancora la Bonino in campo. Ma ora? Si ipotizza: andranno tutti con Emma. Tutti sì, ma senza i cattolici. Insomma, è un pasticcio che fa capire una cosa che hanno capito un po' tutti e che giustamente preoccupa una come Enrico Letta: il Partito Democratico non riesce a fare alleanza. Si può vivere anche senza alleati, ma se aspiri a governare un Paese come l'Italia e sei minoranza da sempre il problema te lo devi pur porre. Allora, riepilogando: il problema che ha davanti a sé oggi il PD non è quello di vincere, bensì quello di perdere bene. Per perdere bene Bersani e D'Alema, al di là delle tattiche e della candidature, devono mettere in conto anche di investire su nomi importanti di livello nazionale o su giovani che diano il senso di una scelta e di una presenza viva e futura dei cosiddetti riformisti. Casini e l'Udc, come dimostra il caso della Puglia, sono lì a fare la loro parte, ma se il PD se ne sta in disparte a leccarsi le ferite della lotta post-congressuale, se si rigira i pollici nelle infinite discussioni interne, allora sì che è impossibile creare un'alleanza riformista. Poi non ci si venga a lamentare per le vittorie di Berlusconi...