l'Antipatico

domenica 17 gennaio 2010

immobilismo politico & prospettive inesistenti


Osservando gli ultimi tre lustri della vita (politica e non) del nostro Paese mi sono reso conto di avere, davanti ai miei occhi, una fotografia quasi precocemente ingiallita nel suo insieme. Un'immagine quasi desolante di un Paese immobile che, di conseguenza, viene superato dagli altri, vicini e meno vicini. Un Paese che sembra aver perso prospettive, in maniera proporzionale ai risibili investimenti sul proprio futuro. Eppure l’Italia degli ultimi quindici anni è stata attraversata da una serie di cambiamenti superiori a qualsiasi altra democrazia avanzata. L’intero arco costituzionale è mutato. Partiti di diverso orientamento politico si sono succeduti al governo nazionale e a molti livelli locali, anche loro oggetto di profondi cambiamenti istituzionali. Sono state varate riforme importanti, in campo economico, all'inizio del quindicennio in esame: tutto cominciò con le riforme concertate sulla contrattazione, sulle pensioni, seguite da modifiche del mercato del lavoro. Un elenco parziale potrebbe continuare con la menzione delle riforme dell’università e della scuola. Ingenti privatizzazioni sono state portate a termine, il sistema bancario è stato ristrutturato profondamente, nuove norme del diritto fallimentare e sull’antitrust sono state approvate. Eppure, nonostante questo notevole sforzo riformatore, i risultati sono sconfortanti e anzi la retorica delle riforme di cui l'Italia ha bisogno imperversa in maniera tremendamente superficiale nel dibattito pubblico. Si tratta di una retorica che tende a riportare costantemente le lancette dell’orologio all’anno zero, invocando, non sempre in maniera responsabile e credibile, un nuovo inizio da cui il Paese possa finalmente rinascere.
Investigare le cause profonde del fallimento d’insieme di quindici anni di riforme esula chiaramente lo spazio di un post come quello che sto scrivendo. Tuttavia mi viene da sottolineare il dato più macroscopico, quello legato al fatto che le pur lodevoli iniziative che diversi governi hanno intrapreso, non sono mai state caratterizzate da una visione d’insieme e da un progetto politico coerente, finendo per rimanere intrappolate dalle tendenze corporative e conservatrici dei diversi settori, e senza la capacità di narrare un futuro possibile per l’Italia nel suo insieme. E’ la costante assenza di una narrativa nazionale, con una chiara idea di progresso radicata nell’esperienza italiana, a caratterizzare il quindicennio della transizione infinita. Questa assenza, al contrario, ha alimentato la retorica delle riforme palingenetiche, sacro Graal degli ultimi quindici anni. In assenza di una visione, si lascia intendere che essa eppure esiste, appena dietro l’angolo.
Le esperienze riformatrici di successo che, in epoche diverse, hanno caratterizzato altri Paesi, non sono mai avvenute in maniera bipartisan, con grandi accordi tra governo e opposizione. Al contrario sono state frutto, a destra come a sinistra, di una visione complessiva efficace, partigiana, e, soprattutto, chiara. Si possono citare esempi diversi tra loro, come quello dei conservatori della Thatcher, l’austerità delle riforme di Mitterand, la durezza liberista di Reagan o la terza via di Tony Blair. In tutti questi casi, riforme in settori economici e sociali molto diversi tra di loro non sono state portate avanti in isolamento le une dalle altre, ma combinate da una narrativa fondata sulla esperienza nazionale che non ripudia il passato, ma lo affronta per comprenderlo e superarlo. L’importanza di una narrativa nazionale coerente non è legata solo alla necessità democratica di raggiungere consenso popolare su un progetto comprensibile. Il consenso della maggioranza per un periodo sostenuto di tempo è una condizione certamente fondamentale. Tuttavia, alla luce dei dati snocciolati ogni anno dall'Istat, sembra chiaro come una coerenza di fondo sia necessaria affinché le istituzioni economiche e sociali riformate possano generare complementarietà positive rafforzando a vicenda gli effetti positivi dei cambiamenti, anziché generare gli incentivi perversi che sembrano dominare attualmente il nostro Paese. Infatti, quel che caratterizza l’Italia di oggi è l’assenza di un modello di capitalismo coerente, oltre alla coesistenza di difetti tipici di modelli diversi tra loro, come quelli più coordinati o più liberali, senza che essi possano essere compensati da altre istituzioni maggiormente complementari. Gli angoli fondamentali tra cui individuare complementarietà, e sostenere riforme per ridurre gli incentivi perversi di cui soffre oggi l’Italia, sono quattro: il sistema del credito, il sistema di relazioni industriali, il sistema della formazione professionale ed universitaria, ed il diritto societario, che determina le relazioni tra le imprese. Gli scorsi quindici anni ci raccontano una storia caratterizzata da numerose riforme, in questi quattro ambiti, rimaste zoppe o, talvolta peggio, concepite in maniera avulsa dal contesto di Paese a cui si riferivano. Riforme che hanno scontentato molti, senza raggiungere risultati soddisfacenti. Riforme senza visione e senza un originale carattere nazionale, due cose delle quali, dopo quindici anni di transizione infinita, si sente quanto mai bisogno. Cosa ci riserverà il futuro a cominciare da questo nuovo decennio del terzo millennio? Nessuno lo sa. Nemmeno il più ottimista dei berlusconiani. Il che è tutto dire...

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]



<< Home page