
Non so voi, ma chi vi scrive sente nell'aria un nauseabondo sentore di strisciante fascismo. Lo dico, con un pò di timore, perchè se non ricordo male il culto delle feste in costume porta quasi inevitabilmente al fascismo. Lo scriveva il filosofo tedesco Theodor Adorno nelle sue riflessioni in Minima moralia: un perfetto aforisma per illustrare l'approdo fascistoide del folclore padano e con esso dell'Italia berlusconiana. Approdo perfettamente incarnato da uno degli artefici più entusiasti del recente decreto sicurezza: quel senatore Federico Bricolo (giovane figlioccio prediletto dell'ex Guardasigilli Roberto Castelli) che alterna gli interventi in aula in dialetto veneto con l'esaltazione di Mussolini, le vecchie battute da osteria su questioni serie come i matrimoni misti («Moglie e buoi dei paesi tuoi») con la trovata della norma che invita il personale sanitario alla delazione contro i «clandestini», ovvero gli ebrei di oggi. Un certo Fabrizio Cicchitto trova che evocare gli anni '30 sia come fare dell'umorismo involontario. Solo un poveretto ignaro della storia, dimentico della democrazia e della civiltà giuridica, nonché privo del senso del tragico, può non cogliere che in effetti vi è qualche vaga analogia. C'è un sentore di fascismo (non più solo il consueto razzismo trasandato all'italiana) nelle norme-manifesto approvate l'altro giorno dal Senato. Al di là del loro contenuto, pur grave, l'intento è anzitutto quello d'imbarbarire ancor di più il clima del Paese, additando l'immigrato come capro espiatorio, imprimendogli lo stigma del reietto, per renderlo più docile e sfruttabile come forza lavoro, legittimando il sospetto, la discriminazione e la delazione come normali comportamenti di massa. Eventi come la sollecitazione, di fatto, al personale sanitario perché denunci l'irregolare che accede alle cure o la legalizzazione delle ronde padane quantunque non armate o anche il reato d'immigrazione clandestina non sono forse sintomi di velato (neanche poi tanto) razzismo filofascista? E che dire poi della gabella fino a 200 euro per il permesso di soggiorno o del carcere fino a quattro anni per gli irregolari che non rispettano l'ordine di espulsione? E il rafforzamento e l'estensione della possibilità di sottrarre la potestà genitoriale? E il divieto d'iscrizione anagrafica e la schedatura non solo dei clochard ma anche di un buon numero di disperati cittadini (italiani, rom, sinti e non solo) che, abitando in dimore diverse da appartamenti, saranno "catalogati" in un registro del ministero dell'Interno, come lo vogliamo chiamare? Tutto questo, a mio modo di vedere, configura un intento persecutorio verso migranti e minoranze dettato, più che da razionalità politica, da un meschino calcolo economico e demagogico, connesso con quelle forme di psicosi di gruppo (fobia, ossessione, mitomania) che spesso contraddistinguono le élite politiche populiste e autoritarie. C'è un sentore di fascismo nell'incoraggiamento alla delazione, ora sancito per legge, estendendo così sul piano nazionale ciò che da tempo è norma e prassi soprattutto nelle Repubbliche delle Banane governate dalla Lega Nord. Per esempio in quel di Turate (provincia di Como), monocolore leghista dove si invita, ufficialmente e apertamente, i cittadini alla denuncia, anche anonima, degli stranieri irregolari. A onor del vero, un bell'esperimento di delazione anonima di massa è anche l'accordo siglato a Torino fra il Comune e la rete delle farmacie, presso le quali dal 1° ottobre scorso si raccoglievano (forse si raccolgono ancora) informazioni su rom, poveri, homeless, mendicanti, posteggiatori abusivi. A dimostrazione che, davvero, la cultura sicuritaria e razzista egemone nel Paese è trasversale agli schieramenti politici come alla società detta «civile» per esagerare. La pratica delle squadre speciali e della delazione, anonima e non, sono, come si sa, strumenti insostituibili di ogni regime dittatoriale. Suvvia, non parliamo di nazismo, dice quel tal Cicchitto. Va bene. Ma certo, se non ci si lascia ingannare da ciò che permane dell'involucro democratico, alcuni elementi che connotano lo stato del Paese appaiono allarmanti. Preoccupante è la saldatura, ormai anche «sentimentale», che lega il discorso e l'operato di istituzioni centrali e locali con il senso comune più diffuso o almeno reputato più degno di esprimersi: attraverso la delazione e le azioni squadristiche. Insomma, la connessione fra il razzismo di stato e quello popolare, fra la persecuzione e il pogrom, ma anche, benché più sottilmente, fra la cultura politica della destra e quella di buona parte dell'opposizione parlamentare non fanno presagire niente di buono. Chi si è trastullato con retoriche e misure sicuritarie nel corso della passata legislatura ha evocato mostri che oggi minacciano non solo di rendere l'Italia un paese strutturalmente razzista ma anche di divorarne la democrazia. Lo sfaldamento del tessuto sociale, un ceto politico da operetta, la volgarità imperante nei mezzi di comunicazione, il degrado profondo della società civile, l'avanzare (insieme alla crisi economica) di quella forma di incertezza e di disgregazione morali, oltre che sociali, che accende il desiderio di capi carismatici ci fanno dire che forse non siamo ancora tornati indietro al Ventennio delle camicie nere ma di sicuro siamo sull'orlo di un precipizio. Spetta alle minoranze, malgrado tutto disseminate nella società italiana, tentare di agire perché si faccia quel passo indietro che impedisca di precipitare nel baratro. Spero che questo invito venga raccolto.