xenofobia (lavorativa) made in England
Nell'era tecnologica e mass mediale, nell'epopea del mercato comune europeo sia lavorativo che monetario, la notizia che proviene dalla terra di Albione mi fa proprio inorridire. L'estremizzazione xenofoba-lavorativa degli operai inglesi contro i poveri italians, chiamati a prestare la loro opera sotto il cielo plumbeo anglosassone, provoca in chi sta scrivendo una sorta di repulsione automatica per tutto ciò che è identificabile nel made in England, dalle autovetture di lusso al cachemire di ottima fattura, passando per le scarpe finemente cucite a mano. «Sporchi immigrati. Tornate a casa vostra. Togliete lavoro a gente di qui che ne ha bisogno». Non siamo a Gela, e gli «sporchi immigrati» che rubano il lavoro agli operai indigeni non sono «bassa manovalanza» tunisina o rumena. Siamo al porto di Grimsby, nel Lincolnshire, e i lavoratori contestati sono italiani. Siciliani per la precisione. Gli operai in lotta che sfilano in corteo in molti porti inglesi contro gli «stranieri» lanciano un'accusa non priva di fondamento: le ditte italiane non rispettano le norme di sicurezza. Poi dicono un'altra cosa, probabilmente falsa, comunque preoccupante: gli italiani fanno errori sul lavoro. Insomma, siamo in pieno dumping sociale? Tutto è iniziato con un'asta lanciata dalla raffineria francese della Total e vinta da una ditta di Siracusa, la Irem, che si porta in Gran Bretagna centinaia di operai italiani, e portoghesi. Questa volta l'esercito del lavoro di riserva siamo noi, gli italiani. E il prode presidente della Sicilia, Lombardo, urla non più contro i migranti nordafricani ma contro «la perfida Albione» e a sua volta minaccia: visto «l'odio xenofobo contro i siciliani» romperemo le trattative con l'inglese Erg-Shell che dovrebbe realizzare un rigassificatore a Priolo, nella stessa provincia di Siracusa che è la patria della Irem, contestata in Gran Bretagna insieme ai suoi operai «stranieri». Quando la crisi economica precipita, brucia posti di lavoro e determina l'emergenza sociale, contraddizioni come questa esplodono ovunque, ingigantite dalle politiche statali protezioniste. Ognuno difende i suoi prodotti. E i suoi operai, che per essere più competitivi devono costare di meno, in salari e diritti. Dal nord degli Usa le lavorazioni non si spostano più oltre il muro della vergogna che spacca in due l'America ma nel sud degli States, dove salari e diritti sono competitivi con quelli delle maquilladoras messicane. Obama dice che l'acciaio usato nel suo Paese dev'essere prodotto nel suo Paese. Sarkozy darà i soldi a Peugeot e Renault solo se non delocalizzerano il lavoro all'estero per difendere quello degli operai francesi. Fa eccezione Berlusconi: che tanto è ottimista di natura, per default. Qualche crisi fa, quando i giapponesi invasero il mercato Usa dell'auto, fece parlare di sè un concessionario californiano della General Motors che aveva messo a disposizione del pubblico una Toyota rossa fiammante e chiedeva 10 dollari per ogni martellata. C'era la fila davanti al suo autosalone. L'illusione di difendersi contrapponendo tra loro gli Stati si traduce a livello sociale in una suicida guerra tra poveri: il conflitto tra capitale e lavoro rischia di precipitare in un conflitto tra lavoratori. L'Europa a 27 si dimostra lontana mille miglia da qualcosa che assomigli a un'entità politica, e ogni Paese dà risposte individuali. E i sindacati, rispetto alla globalizzazione capitalistica, sono, se non nudi, inadeguati. Non è contro i processi di internazionalizzazione che si possono alzare le barricate, ma in difesa (e per l'estensione) dei diritti dei lavoratori, a partire dal diritto al lavoro. E' facile a dirsi, terribilmente difficile da realizzare. Ma è l'unica strada possibile.
8 Commenti:
Questo articolo ineccepibile, fa tacere anche me, non aggiungerei una riga di più, salvo un piccolo sfottò:
Hei voi lavoratori italiani come si sta a farsi gridare quello che voi gridate ai lavoratori non italiani?
Sarei proprio curiosa di sapere.
Ross
Di rossaura, Alle 01 febbraio, 2009 22:18
La tua legittima curiosità è anche un pò la mia. Non credo ci si senta un granchè bene nel sentirsi usurpatori (più o meno legittimi) di posti di lavoro altrui o comunque anelati da altri indigeni residenti e non immigrati. La sensazione di precarietà, di continua lotta fratricida alla ricerca di un posto lavorativo fa crescere sempre più la rabbia e la rivalsa nei confronti degli stessi migranti del ventunesimo secolo in terra d'Albione. E' un pò come se qualcuno avesse riavvolto il nastro della storia, riportandoci di un colpo ai tempi dei viaggi della speranza. Accompagnati dalla fidata valigia di cartone. Buonanotte ROSS. E non sentirti "orfanella" se per una settimana non scriverò. Anche io domani ricomincio il mio viaggio (lavorativo). Fortunatamente con la 24 ore e non con la valigia di cartone.
Di nomadus, Alle 01 febbraio, 2009 22:39
Buongiorno carissimo.La notizia che ci giunge dall'Inghilterra è molto squallida.A me che,forse ingenuamente, credevo nella solidarietà internazionalista,crea un moto di ripulsa.Ironia della sorte,gli slogan degli operai inglesi sono identici a quelli dei nostri connazionali con simpatie xenofobe,leghiste e fasciste.MAURO.
Di Anonimo, Alle 02 febbraio, 2009 09:35
Hai proprio ragione, carissimo MAURO.Gli slogan anglosassoni suonano come quelli tante volte ascoltati nelle piazze del nord Est leghista. Siamo riusciti ad esportare Borghezio e Calderoli anche in Inghilterra!
Di nomadus, Alle 02 febbraio, 2009 20:40
la questione non è l'aver rubato il lavoro agli inglesi,perchè non abbiamo rubato niente a nessuno.Io lavoro alla irem da cinque anni e non ho mai visto nei tanti posti dove sono andato a (rubare il lavoro)la stessa professionalità italiana nella metalmeccanica che è impareggiabile e non perchè lo dico io è un dato di fatto.Ma voi signori provate a dire ad un inglese,uno svedese,un francese,un belga ,un olandese eccc..... di fare quello che fanno i lavoratori della irem nello stesso tempo vi sbranano; io personalmente ho assistito a scioperi in mezza europa soltanto perchè la raffineria chiedeva di finire prima lavori importanti o per qualche minuto di straordinario, lavorare qualche sabato anche per mezza giornata ma manco morti si contentano licenziarsi o stassene a casa.Quindi che non facciano tanto le vittime e si mettano a lavorare sul serio,noi a Priolo abbiamo un importante polo petrolchimico e le porte sono aperte a tutti pur essendo in crisi non cacciamo mai le ditte olandesi o tedesche che vengono a fare i lavori qui(lavori non di montaggi e costruzioni si intende)
anzi lavoriamo in armonia con loro e molto spesso nascono contatti e amicizie per aiutarci vicendevolmente nei momenti di stallo lavorativo.Io tra breve dovrei partire propio per lìinghilterra con la irem e ci andrò perchè è questa la vita che facciamo noi della irem sempre fuori casa,provassero le ditte straniere a dire alla stragrande maggioranza dei suoi operai qui non c'è lavoro devi andare fuori manco ci pensano.
Di Anonimo, Alle 03 febbraio, 2009 10:25
Non credo ci sia molto da aggiungere a quanto scritto dall'anonimo lavoratore della IREM, se non che augurargli di continuare a prestare la sua ineccepibile opera professionale ed umana per l'impresa siciliana e magari che continui a leggere il mio blog. Grazie del tuo intervento!
Di nomadus, Alle 03 febbraio, 2009 20:58
Non posso fare altro che augurare al lavoratore della Irem di continuare a svolgere tranquillamente il proprio lavoro.Mauro.
Di Anonimo, Alle 04 febbraio, 2009 16:31
Credo di poter interpretare anche il pensiero dell'anonimo lavoratore della IREM dicendoti grazie, caro MAURO, per la tua adesione e solidarietà.
Di nomadus, Alle 04 febbraio, 2009 20:39
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page