martedì 23 febbraio 2010
venerdì 19 febbraio 2010
la BEBELE della vergogna
giovedì 18 febbraio 2010
paghiamo poche tasse, altro che evasori!
lunedì 15 febbraio 2010
istantanea della nuova povertà
Una scena che ultimamente si vede molto spesso nella capitale spagnola. Di primo mattino, sui marciapiedi della Gran Via (il cuore commerciale di Madrid) un uomo di mezza età si accosta a un cestino della spazzatura, si guarda attorno, fa mezzo giro su se stesso e poi lesto infila la mano nel cestino e ne trae qualcosa, forse una confezione di latte condensato, che fa rapidamente sparire sotto la falda del soprabito. Nei suoi occhi smarriti s’indovina una vergogna maldominata, come un malanno di nuovo conio, venuto all’improvviso a cambiarti la vita. La scena, riflessa nel cristallo scintillante di una elegante boutique e che sembra un’istantanea di Cartier-Bresson, stringe il cuore. E questa non è che una delle tante istantanee scattate negli ultimi mesi nella terra iberica. Come ad esempio nel refettorio di calle Eduardo Dato o nella mensa delle Figlie della Carità di San Vincenzo. Le file cominciano già dal marciapiede, fra una bottega di profumi e un negozio di telefoni cellulari. Ci sono molti immigrati, forse più della metà. Ma c’è una buona percentuale di spagnoli, donne soprattutto, che chiedono alle suore prevalentemente un aiuto alimentare. Si capisce benissimo che il bisogno alimentare è solo la punta di un iceberg che sta alle fondamenta della società iberica e ora che la crisi morde alla gola il miracolo economico zapateriano, il disagio sociale è molto più vasto. Talmente vasto che il tono acidulo delle smentite ufficiali non fa che rafforzarne la mole. Ci sono almeno 8 milioni di poveri, anche se il governo lo nega. Ma la cosa che sorprende è che in una nazione di 45 milioni di individui, che ha un tasso di disoccupazione del 20% (che fra i giovani raggiunge il 40%) e che ha un quinto della popolazione senza lavoro, non ci sono convulsioni sociali, nè eclatanti manifestazioni di piazza. Com’è possibile che tutto si riduca alla mesta indolenza con cui un esercito di padri di famiglia, di ex ferrovieri, di ex impiegati di banca, di trentenni licenziati dalle agenzie di pubblicità, di elettricisti senza clienti, di rappresentanti di commercio senza più una ditta alle spalle, fa la fila davanti alle agenzie di collocamento o agli sportelli della Caritas? Proprio qui, nel Paese che tra il 1980 e il 1992 aveva triplicato il proprio Pil e che solo un anno fa annunciava con una iattanza da romanzo picaresco il sorpasso sul reddito pro capite italiano? Proprio qui, dove si è verificato l’urto migratorio più consistente d’Europa con il 10% di immigrati, ma dove la pax zapateriana aveva abilmente diluito e governato i potenziali conflitti sociali?
Apparentemente i conti non tornano. La realtà si confonde con l’immaginazione e, come nel visionario teatro di Calderon de la Barca, verrebbe da dire che per gli spagnoli davvero la vida es un sueno . Ma davvero un sussidio mensile di 420 euro e il miraggio di un trabajo temporal in mancanza di un posto fisso possono far sognare? Certamente no. La ragione sta nel doppio volto dell’economia spagnola. Sotto la crosta dei dati ufficiali si muove un magma sommerso che non ha niente da invidiare a quello italiano. E se guardiamo indietro nel tempo, ci accorgiamo che questi 8 milioni di poveri esistevano già prima del grande balzo economico. Sono rimasti gli stessi durante gli anni di euforia e ci sono tuttora, con qualche migliaio di unità in più e 4 mila posti di lavoro che vanno in fumo ogni giorno, ora che il sueño di Zapatero scricchiola. Quello che nessuno sa dire con certezza è dove sia finita tutta la ricchezza prodotta da anni di vacche grasse, di Pil in espansione a livelli cinesi, di bolle immobiliari, di spavalda reconquista dell’America Latina da parte di colossi finanziari come il Santander e la BBVA. Alla fine quel che conta è che (per quel concerne i poveri e i nuovi poveri) si sopravvive con una miscela di sussidi, di lavoro nero e di solidarietà familiare. Tre gambe che, a dispetto dei parametri di Maastricht e delle preoccupazioni dell’Ocse e del Fondo monetario internazionale, finora hanno tenuto in piedi l’economia nazionale. E a dar retta a certe cifre c’è da crederci: pare che in Spagna vi siano almeno 1 milione e trecentomila aziende totalmente sconosciute all’erario, che danno lavoro a qualcosa come 14 milioni di lavoratori. Tutti rigorosamente in nero, a dispetto del Pil nazionale che da sette trimestri è in calo e che nell’ultima tornata è andato sotto del 3,6%. Del resto basta una controprova elementare: se davvero il 20% degli spagnoli fosse senza lavoro ci sarebbero milioni di richieste di sussidi. Invece il numero di domande ufficiali è infinitamente più basso. Invece a pagare il conto più salato sono gli immigrati, in gran parte irregolari, che se ne tornano nel proprio Paese. E che dire dei giovani, confinati fra le mura di famiglia, protetti da un ingannevole benessere che tuttavia non permette loro di scorgere un futuro degno di questo nome al di là delle pareti di casa? Ancora un'ultima istantanea: nella bella piazza che si apre alla Puerta del Sol, due uomini stanno rimboccandosi il sacco a pelo nel quale passeranno la notte. Su un pezzo di cartone hanno scritto: "Puedes ayudarme por favor? No tengo casa, no tengo trabajo". Qualche metro più in là, fra il cicaleggio gaio degli impiegati che escono dagli uffici all’ora cara a Garcia Lorca, un altro neopovero scrive: "Te regalo mi poesias". Per un euro ti scrive sette o otto versi, per cinque euro un sonetto intero. Non è propriamente un regalo, ma come non capire il pudore di chi si vergogna a chiedere la carità?
sabato 13 febbraio 2010
il ritorno dei mariuoli
mercoledì 10 febbraio 2010
la droga, un inganno senza fine
Ci sono volute le polemiche isteriche e a volte pretestuose, seguite all'outing del cantante Morgan, per riaccendere i riflettori su un tema mai abbastanza trattato a dovere e senza inutili ipocrisie, quello della droga. Il fatto, doloroso, è che non si parla mai con sufficiente responsabilità di questo scomodo e inquietante argomento. Anzi, non se ne parla più. Non si parla quasi mai del suo consumo sempre più smodato. Non se ne parla e basta, e se proprio siamo obbligati dal chiacchiericcio, lo facciamo quando qualcuno ci lascia le pelle, oppure quando un personaggio famoso (appunto il caso Morgan) o presunto tale, confessa di farne uso accampando i motivi più disparati, mentre si tratta unicamente di un consumo disperato che diventa disperante. Se ne parla per colpa di qualche vip, oppure per qualche sfigato che rimane a terra, esalando un rantolo che somiglia a un crack. Siamo bravissimi ad arrabbiarci, a scandalizzarci, quando a comportarsi così è un nostro cosiddetto eroe, ma sul problema vero dell’uso e dell'abuso, dell’accessibilità ad ogni angolo di strada, facciamo come gli struzzi, e affermiamo di non conoscerne il dramma, mentre tutti noi (adulti, genitori, educatori) potremmo scrivere un trattato sul pericolo che ne deriva e che affonda gli artigli sulla carne dei nostri figli. Drogarsi è reato, ma solo dentro una corresponsabilità collettiva. E per far comprendere che tutte le droghe fanno male, serve una comunicazione urgente e delicata, con l'inevitabile domanda: cosa dire in proposito a un giovane? Trattare la questione droga equivale a parlare di morte del cuore, della testa, della sparizione di ampie fette generazionali. È incredibile come all’abitudine del farsi, al consumo in grande quantità, dalla discoteca all’ufficio, dal fine settimana vissuto da leoni alla festa in casa, non ci mostriamo preoccupati, come se la paura fosse un misero espediente per rimuovere l’angoscia d’impotenza, attraverso la cultura d’evasione, che produce atteggiamenti nullificanti. Non è con la ricerca di parole che dovrebbero spaventare o col terrorismo dialettico che sarà possibile mettere mano all’inquietudine dei giovani, alla loro fragilità quotidiana. Occorrerebbe invece ridurre il rischio di incappare nelle morali d’accatto, che durano il tempo di una trasmissione, un incontro o una convention ben pagata. E' necessario allora dare di più e parlare di meno, fare di più per le comunità di recupero che operano sul campo da decenni con l'intento di combattere, resistere, consegnare strumenti di aiuto verso chi è imbavagliato dall’inganno di tutte le droghe. Forse è il caso di dare sembianza e storia alla morte, alle troppe morti che ci portiamo dentro, che abbiamo intorno. Forse occorre raccontare la storia personale, quella rapinata di ogni dignità a causa della roba, la storia personale di sconfitti sopravvissuti e miracolati dalle mani tese, spesso sconosciute, che ci sono venute incontro. Non è tempo di elargire ulteriori fragilità, ma di affermare che la droga non lenisce la depressione (come ha stupidamente affermato Morgan) ma rimane il maggiore distruttore di persone, di identità e che conduce dalla malattia al suicidio. E quando l’inganno è nudo, c’è la morte ad attendere al varco.
venerdì 5 febbraio 2010
una crisi senza fine
L'allarme per la situazione economica in Spagna sta raggiungendo livelli veramente preoccupanti. Il mio caro amico e coautore di questo blog, DAVIDE, più volte con i suoi commenti e con i suoi scritti ha fotografato l'attuale situazione in terra iberica che lo vede, purtroppo, vittima e protagonista suo malgrado. L'ultimo grido allarmante giunge anche dalla Caritas spagnola. C’è gente «che non può permettersi nemmeno il minimo per sopravvivere. E si tratta di persone che, fino a poco tempo fa, avevano un reddito normale». È una denuncia forte quella del segretario della Caritas spagnola Sebastian Mora. La crisi economica del Paese iberico si aggrava di mese in mese e proprio ieri la Borsa spagnola ha vissuto un tonfo storico, con un calo di 6 punti (il peggior risultato dal novembre del 2008) che registra i timori della crisi che non accenna a calare. I poveri sono ormai otto milioni, un decimo della quota europea: di questi oltre 1 milione e mezzo versa in condizioni di difficoltà estrema. Una tragedia con cui la Caritas si confronta quotidianamente, grazie soprattutto agli operatori dell’organizzazione che cercano, in qualche modo, di lenire la miseria di tanti spagnoli. Certo è che Il loro compito si sta facendo ogni giorno sempre più gravoso. La diffusione dei dati sulla disoccupazione di qualche giorno fa ha avuto l’effetto di una doccia gelata sui cittadini e sul governo di Zapatero: quattro milioni di spagnoli sono senza lavoro, quasi il 35% in più rispetto allo scorso anno. Erano dieci anni che non si registrava un livello simile. «Povertà ed emarginazione non sono un fatto naturale – ha affermato Mora – ma il risultato di relazioni economiche ingiuste». E ha concluso: «Non abbiamo imparato niente dalle recessioni del passato». Lo dimostra (continua a sottolineare Mora) l’elevata percentuale di emarginati nel Vecchio Continente. Un dato che contraddice i proclami ufficiali: Bruxelles aveva deciso di proclamare questo come «l'anno europeo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale». L’intento però, secondo Mora, si sarebbe rivelato «un fallimento». Almeno finora. Trovare un modello di sviluppo più equo che permetta di ridurre la miseria e di eliminare quella estrema entro il 2010: è questo l’obiettivo che si prefigge della Caritas spagnola. L’organizzazione cattolica si propone anche di creare una «Rete di protezione sociale» per soccorrere le 600mila famiglie in condizioni disperate, nonchè gli immigrati. L’aggravarsi di questa recessione economica sta causando seri problemi al governo socialista guidato da Zapatero. Il premier spagnolo appare sempre più in difficoltà, come mette in luce l’ultimo sondaggio, diffuso ieri dal Centro di Ricerche Sociologiche. Il Partito Popolare risulta in vantaggio di quattro punti percentuali sui socialisti. Non solo. I tre quarti degli spagnoli hanno dichiarato di avere poca o nessuna fiducia nell’attuale premier mentre la quota dei fedelissimi si è ridotta al 26,3%. Anche dalla stampa sono piovute feroci critiche al leader, accusato di «confusione» e «mancanza di rigore politico» nell’affrontare la recessione. Sotto accusa, in particolare, l’ultimo dietrofront del governo sul ricalcolo delle pensioni, dopo la levata di scudi dei sindacati e dell'opposizione. Perfino il quotidiano progressista “El Pais” ha preso le distanze dal governo, accusato di trasmettere «insicurezza» ai cittadini. Insomma, a conti fatti si preannuncia un durissimo 2010 sia per il governo di Zapatero, sia per gli spagnoli. Spero non troppo per il mio amico DAVIDE. Auguri di cuore.
martedì 2 febbraio 2010
tragedie annunciate (e mai evitate)
La notizia sconvolgente del suicidio dell'operaio bergamasco (http://www.dirittiglobali.it/articolo.php?id_news=18449) mi ha fatto riflettere su quanto sia ineluttabile a volte, per quelle persone straziate dalla sensazione di impotenza dopo aver perso un posto di lavoro, decidere di farla finita piuttosto che continuare a sperare invano. Sergio non si è spento silenziosamente. Il suo è stato un grido acutissimo, in faccia a una violenza insopportabile: quella dell'essere privato dell'unica fonte di dignità e di sopravvivenza, il lavoro. Ora vi sarà chi, prima di consegnare all'oblìo questa tragedia, spiegherà che non si può mai sapere quali siano le ragioni reali di atti come questo e che è riduttivo attribuirne le cause alla perdita del posto. Chi disinvoltamente utilizza il proprio cervello in questo modo ha di solito le chiappe bene e non ha la più pallida idea di cosa significhi (materialmente e socialmente) essere privati dei mezzi di sostentamento per sé e per la propria famiglia, con la tragica conseguenza di essere spogliati della propria identità, della speranza stessa in una via di uscita. La morte di Sergio ci parla lugubramente della sua solitudine disperata, del suo calvario che riflette una condizione collettiva condivisa in sorte da tante persone. E della sciagurata irresponsabilità con cui chi comanda continua a sottovalutare, a nascondere, la gravità della crisi, esimendosi da qualsiasi iniziativa di contrasto. Macabri episodi come questo bucano l'impersonale asetticità delle percentuali, delle statistiche con le quali si prova a dar conto di ciò che accade. E che raccontano che c'è un pezzo di società che va in rovina. A che punto siamo arrivati? Ci rendiamo conto delle abnormi proporzioni che questa crisi sta assumendo nel nostro Paese? Quella patetica coppia formata da Berlusconi & Tremonti ha qualcosa da dire in merito? Guardate che non c'è solo la disoccupazione conclamata. C'è anche (soprattutto) quella precaria non censita. Poi c'è quella mascherata dalla cassa integrazione, quella propedeutica della collocazione in mobilità e della non reintegrazione nel posto di lavoro. Poi c'è quella che non risulta perché, ufficialmente, chi lavora due giorni la settimana, o una settimana al mese, è conteggiato fra i lavoratori in attività, anche se fa la fame. Inoltre, dentro la crisi, anche le aziende che si ristrutturano mutano pelle: all'espulsione dei lavoratori con maggiore anzianità e mediamente più protetti subentra l'ingresso dei forzati della precarietà. Un esercito di lavoratori interinali, a progetto, somministrati, occasionali, privi di tutele e di diritti. In fondo alla catena c'è l'ultimo anello, quello del lavoro servile, schiavistico, appannaggio degli immigrati. Ecco, il gesto di estremo autolesionismo di Sergio dissolve l'effetto ipnotico di una rappresentazione mediatica della realtà che più fasulla non potrebbe essere e che dovrebbe invece sbatterci duramente in faccia una tragedia che forse qualcuno con le chiappe al caldo avrebbe potuto evitare.