tragedie annunciate (e mai evitate)
La notizia sconvolgente del suicidio dell'operaio bergamasco (http://www.dirittiglobali.it/articolo.php?id_news=18449) mi ha fatto riflettere su quanto sia ineluttabile a volte, per quelle persone straziate dalla sensazione di impotenza dopo aver perso un posto di lavoro, decidere di farla finita piuttosto che continuare a sperare invano. Sergio non si è spento silenziosamente. Il suo è stato un grido acutissimo, in faccia a una violenza insopportabile: quella dell'essere privato dell'unica fonte di dignità e di sopravvivenza, il lavoro. Ora vi sarà chi, prima di consegnare all'oblìo questa tragedia, spiegherà che non si può mai sapere quali siano le ragioni reali di atti come questo e che è riduttivo attribuirne le cause alla perdita del posto. Chi disinvoltamente utilizza il proprio cervello in questo modo ha di solito le chiappe bene e non ha la più pallida idea di cosa significhi (materialmente e socialmente) essere privati dei mezzi di sostentamento per sé e per la propria famiglia, con la tragica conseguenza di essere spogliati della propria identità, della speranza stessa in una via di uscita. La morte di Sergio ci parla lugubramente della sua solitudine disperata, del suo calvario che riflette una condizione collettiva condivisa in sorte da tante persone. E della sciagurata irresponsabilità con cui chi comanda continua a sottovalutare, a nascondere, la gravità della crisi, esimendosi da qualsiasi iniziativa di contrasto. Macabri episodi come questo bucano l'impersonale asetticità delle percentuali, delle statistiche con le quali si prova a dar conto di ciò che accade. E che raccontano che c'è un pezzo di società che va in rovina. A che punto siamo arrivati? Ci rendiamo conto delle abnormi proporzioni che questa crisi sta assumendo nel nostro Paese? Quella patetica coppia formata da Berlusconi & Tremonti ha qualcosa da dire in merito? Guardate che non c'è solo la disoccupazione conclamata. C'è anche (soprattutto) quella precaria non censita. Poi c'è quella mascherata dalla cassa integrazione, quella propedeutica della collocazione in mobilità e della non reintegrazione nel posto di lavoro. Poi c'è quella che non risulta perché, ufficialmente, chi lavora due giorni la settimana, o una settimana al mese, è conteggiato fra i lavoratori in attività, anche se fa la fame. Inoltre, dentro la crisi, anche le aziende che si ristrutturano mutano pelle: all'espulsione dei lavoratori con maggiore anzianità e mediamente più protetti subentra l'ingresso dei forzati della precarietà. Un esercito di lavoratori interinali, a progetto, somministrati, occasionali, privi di tutele e di diritti. In fondo alla catena c'è l'ultimo anello, quello del lavoro servile, schiavistico, appannaggio degli immigrati. Ecco, il gesto di estremo autolesionismo di Sergio dissolve l'effetto ipnotico di una rappresentazione mediatica della realtà che più fasulla non potrebbe essere e che dovrebbe invece sbatterci duramente in faccia una tragedia che forse qualcuno con le chiappe al caldo avrebbe potuto evitare.
4 Commenti:
È proprio una bella analisi, la tua, sulla galassia del disastro sociale in Italia, legato principalmente al fenomeno della disoccupazione galoppante dovuta -tra l'altro- all'attuale crisi. Una crisi che sta assumendo ormai contorni terribili, se io sono seriamente preoccupato e spsso in preda a momenti di vera depressione, che cerco di contrastare subitamente, non posso non pensare a chi, assai più malmesso di me deve pensare alla sopravvivenza non solo sua, ma della famiglia, dei figli. Se io, alle brutte, posso sempre contare sui miei, pensionati che mai nella loro vita sono passati (e meno male) per una situazione così assurda e incognita, tantissima gente questa chance non ce l'ha. Se perde il lavoro e non noe trova di nuovo è sulla strada, si può arrivare tristemente a gesti estremi di questo tipo. Il governo esulta per far apporvare schifezze come il legittimo impedimento, studia leggi per silenziare i boss e altre merdate di questo tipo, ma realmente non gliene frega niente di tutti questi cittadini disperati. Né agli infami del governo né agli impresentablili dell'opposizione. Stavo meditando seriamente sulla possibilità di tornare in Italia, se nei prossimi mesi mi vedrò stretto alle corde. Ma pensandoci bene credo che farò di tutto, per non tornare. D'altronde si tratterebbe solamente di tornare sotto il tetto materno per non dover spendere i soldi dell'affitto e del cibo, in mancanza di una fonte di ingresso. Ma questo non risolverebbe niente, e sarebbe un fallimento personale che mi getterebbe senza dubbio in una brutta depressione. Dovrei rimestare nella stessa situazione da cui sono fuggito tre anni e mezzo fa per arrabattarmi un lavoro che non esiste, in un contesto assai più logoro. Allora, tanto per tanto, mi abbasserò a fare un lavoro umile, qualsiasi, se non ci sarà alternativa, ma preferisco farlo qua, che dover abbassarmi a mendicare un posto qualsiasi in un paese dove l'agenda del governo è sempre, e solo puntata a risolvere le beghe giudiziarie di un delinquente che è a capo del governo. Con la speranza, ovviamente, che le cose nel frattempo migliorino (in Europa dico, in Italia impossibile), e che si riesca a ripartire. Anche se continuo a pensare che siamo in questa situazione perchè è il modello che stiamo seguendo, in Occidente intero, che è sbagliato e non funziona. Che se alcuni paesi sono messi meglio di altri è solo perchè storicamente la loro economia è più strutturata ma l'idea di fondo è sbagliata ovunque, stiamo tutti sperando di uscire da questa crisi, ma se non cambiamo il modo di pensare, di produrre, di vivere, anche se ne usciamo sarà solo per andare a finire in un'altra peggiore tuttavia. Comunque, per il momento, non ci resta che essere forti e cercare di andare avanti, in qualche modo.
Di Davide, Alle 03 febbraio, 2010 22:19
Questo tuo commento, carissimo DAVIDE, è molto èiù bello ed efficace di un qualsiasi articolo di giornale scritto da qualunque pur apprezzabile firma. La rabbia, lo sconforto e la sfiducia nell'attuale classe politica italiana che traspaiono in modo netto dalle tue parole sono il campanello d'allarme (per non dire una sorta di campana a morte) che dovrebbe far riflettere chiunque s'imbatta in questo nostro blog. Già una volta ebbi occasione di scriverti (in risposta a un tuo commento) che sarei disposto a fare il vice spazzino in terra iberica se la situazione qui dovesse precipatare. Trovo quindi ineccepibile e legittimo il tuo pensiero sul fatto che forse è meglio che tu resti in Spagna (a svolgere il più umile dei mestieri) piuttosto che rientrare in Italia per ammettere (seppur inconsciamente) una sconfitta personale e sociale, oltre che lavorativa. Tieni duro, mio caro amico: la tua giovane età, il tuo intelletto, la tua forza di volontà sono indubbiamente elementi che giocano a tuo favore in un'ipotetica sfida alla tua attuale situazione iberica. Hai sempre dimostrato, con i tuoi articoli e i tuoi commenti, di avere grandissime capacità cognitive e di analisi, di lucidità intellettiva unita a una severa e inevitabile critica sociale su quanto accade oggi in Italia e in Europa. Continua così, come giustamente dici tu: bisogna essere forti e andare avanti. In qualunque modo. Io ti sono vicino, per quel poco che conta. Ma lo faccio con sincerità e affetto. Un forte abbraccio.
Di nomadus, Alle 04 febbraio, 2010 10:37
Grazie dell'appoggio, mio caro amico!! Bisogna essere ottimisti al di là delle difficoltà di questo periodaccio!! Oggi, in concomitanza con il mio compleanno, mi sono arrivate un paio di chiamate per fare dei colloqui e sembra che qualcosina si stia muovendo...quindi avanti tutta e allegria!!un grande abbraccio
Davide
Di Davide, Alle 04 febbraio, 2010 12:12
Come già fatto su FB ti rinnovo i miei auguri di cuore per il tuo trentaquattresimo compleanno (beato te...), sperando che questa giornata sia l'inizio di un nuovo corso (lavorativo e personale) per la tua vita. Daje tutta! Un forte abbraccio.
Di nomadus, Alle 04 febbraio, 2010 16:37
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