il vero giornalismo informativo

Una scena che ultimamente si vede molto spesso nella capitale spagnola. Di primo mattino, sui marciapiedi della Gran Via (il cuore commerciale di Madrid) un uomo di mezza età si accosta a un cestino della spazzatura, si guarda attorno, fa mezzo giro su se stesso e poi lesto infila la mano nel cestino e ne trae qualcosa, forse una confezione di latte condensato, che fa rapidamente sparire sotto la falda del soprabito. Nei suoi occhi smarriti s’indovina una vergogna maldominata, come un malanno di nuovo conio, venuto all’improvviso a cambiarti la vita. La scena, riflessa nel cristallo scintillante di una elegante boutique e che sembra un’istantanea di Cartier-Bresson, stringe il cuore. E questa non è che una delle tante istantanee scattate negli ultimi mesi nella terra iberica. Come ad esempio nel refettorio di calle Eduardo Dato o nella mensa delle Figlie della Carità di San Vincenzo. Le file cominciano già dal marciapiede, fra una bottega di profumi e un negozio di telefoni cellulari. Ci sono molti immigrati, forse più della metà. Ma c’è una buona percentuale di spagnoli, donne soprattutto, che chiedono alle suore prevalentemente un aiuto alimentare. Si capisce benissimo che il bisogno alimentare è solo la punta di un iceberg che sta alle fondamenta della società iberica e ora che la crisi morde alla gola il miracolo economico zapateriano, il disagio sociale è molto più vasto. Talmente vasto che il tono acidulo delle smentite ufficiali non fa che rafforzarne la mole. Ci sono almeno 8 milioni di poveri, anche se il governo lo nega. Ma la cosa che sorprende è che in una nazione di 45 milioni di individui, che ha un tasso di disoccupazione del 20% (che fra i giovani raggiunge il 40%) e che ha un quinto della popolazione senza lavoro, non ci sono convulsioni sociali, nè eclatanti manifestazioni di piazza. Com’è possibile che tutto si riduca alla mesta indolenza con cui un esercito di padri di famiglia, di ex ferrovieri, di ex impiegati di banca, di trentenni licenziati dalle agenzie di pubblicità, di elettricisti senza clienti, di rappresentanti di commercio senza più una ditta alle spalle, fa la fila davanti alle agenzie di collocamento o agli sportelli della Caritas? Proprio qui, nel Paese che tra il 1980 e il 1992 aveva triplicato il proprio Pil e che solo un anno fa annunciava con una iattanza da romanzo picaresco il sorpasso sul reddito pro capite italiano? Proprio qui, dove si è verificato l’urto migratorio più consistente d’Europa con il 10% di immigrati, ma dove la pax zapateriana aveva abilmente diluito e governato i potenziali conflitti sociali?
Apparentemente i conti non tornano. La realtà si confonde con l’immaginazione e, come nel visionario teatro di Calderon de la Barca, verrebbe da dire che per gli spagnoli davvero la vida es un sueno . Ma davvero un sussidio mensile di 420 euro e il miraggio di un trabajo temporal in mancanza di un posto fisso possono far sognare? Certamente no. La ragione sta nel doppio volto dell’economia spagnola. Sotto la crosta dei dati ufficiali si muove un magma sommerso che non ha niente da invidiare a quello italiano. E se guardiamo indietro nel tempo, ci accorgiamo che questi 8 milioni di poveri esistevano già prima del grande balzo economico. Sono rimasti gli stessi durante gli anni di euforia e ci sono tuttora, con qualche migliaio di unità in più e 4 mila posti di lavoro che vanno in fumo ogni giorno, ora che il sueño di Zapatero scricchiola. Quello che nessuno sa dire con certezza è dove sia finita tutta la ricchezza prodotta da anni di vacche grasse, di Pil in espansione a livelli cinesi, di bolle immobiliari, di spavalda reconquista dell’America Latina da parte di colossi finanziari come il Santander e la BBVA. Alla fine quel che conta è che (per quel concerne i poveri e i nuovi poveri) si sopravvive con una miscela di sussidi, di lavoro nero e di solidarietà familiare. Tre gambe che, a dispetto dei parametri di Maastricht e delle preoccupazioni dell’Ocse e del Fondo monetario internazionale, finora hanno tenuto in piedi l’economia nazionale. E a dar retta a certe cifre c’è da crederci: pare che in Spagna vi siano almeno 1 milione e trecentomila aziende totalmente sconosciute all’erario, che danno lavoro a qualcosa come 14 milioni di lavoratori. Tutti rigorosamente in nero, a dispetto del Pil nazionale che da sette trimestri è in calo e che nell’ultima tornata è andato sotto del 3,6%. Del resto basta una controprova elementare: se davvero il 20% degli spagnoli fosse senza lavoro ci sarebbero milioni di richieste di sussidi. Invece il numero di domande ufficiali è infinitamente più basso. Invece a pagare il conto più salato sono gli immigrati, in gran parte irregolari, che se ne tornano nel proprio Paese. E che dire dei giovani, confinati fra le mura di famiglia, protetti da un ingannevole benessere che tuttavia non permette loro di scorgere un futuro degno di questo nome al di là delle pareti di casa? Ancora un'ultima istantanea: nella bella piazza che si apre alla Puerta del Sol, due uomini stanno rimboccandosi il sacco a pelo nel quale passeranno la notte. Su un pezzo di cartone hanno scritto: "Puedes ayudarme por favor? No tengo casa, no tengo trabajo". Qualche metro più in là, fra il cicaleggio gaio degli impiegati che escono dagli uffici all’ora cara a Garcia Lorca, un altro neopovero scrive: "Te regalo mi poesias". Per un euro ti scrive sette o otto versi, per cinque euro un sonetto intero. Non è propriamente un regalo, ma come non capire il pudore di chi si vergogna a chiedere la carità?