l'Antipatico

domenica 31 ottobre 2010

bisogna sfiduciare mister B.


Ha perfettamente ragione Eugenio Scalfari quando, nel suo consueto editoriale domenicale su la Repubblica, invita, in nome e per conto di "...quegli italiani normali e normalmente raziocinanti, il cui numero sta fortunatamente aumentando...", gli uomini politici che vanno da Bersani a Fini, da Casini a Di Pietro, a "...presentare una mozione di sfiducia nei confronti di Berlusconi, per porre fine al bunga bunga politico, costituzionale ed istituzionale..." in modo tale da staccare la spina ad una situazione che "...in qualunque altro Paese dell'Occidente democratico sarebbe terminata da un pezzo per decisione dello stesso interessato e del gruppo dirigente che lo attornia..." e che ha determinato una paralisi sociale e politica degna della miglior Repubblica delle banane. Parole legittime e condivisibili quelle del fondatore del maggior quotidiano italiano ma che, purtroppo, sembrano vergate sulla sabbia alla vigilia di una imminente tromba d'aria (e qui mi verrebbe facile l'accostamento con il verbo trombare, tanto caro al nostro presidente del Consiglio, ma evito e soprassiedo). La situazione nel nostro Paese, come tante volte ho sottolineato nei miei post, indurrebbe al sorriso e alla battuta da avanspettacolo se solo non ci accorgessimo che invece è veramente tragica, quasi irreparabile. Qui da noi le cose vanno in un modo ben diverso da come dovrebbero andare. E' tutto cristallizzato e impantanato, melmosamente avvinghiato a un parossistico avvitamento perverso tra colui che comanda (Berlusconi) e i suoi fedeli accoliti, uomini e donne indistintamente, i quali sanno e sono consapevoli del vincolo ricattatorio che li lega in modo inscindibile. Ognuno di loro sa ed è consapevole che il Capo ha le sue "carte" (segreti innominabili) su di loro e loro ne hanno (probabilmente in numero maggiore) sul loro Capo. Una sorta di pericoloso intreccio a spirale che nega il libero esercizio della regolare attività politica e sociale di un Paese sviluppato e normalmente evoluto. E' arrivato il fatale momento di sciogliere questi lacci e lacciuoli che ne determinano l'impasse. Non possiamo ulteriormente tollerare il pubblico ludibrio internazionale per colpa di un uomo ultra settantenne gravemente ammalato (e non soltanto di gnocca), che organizza festini a luci rosse solo per rilassarsi a causa dei suoi molteplici e faticosi impegni di uomo di governo, oltre agli stravizi dovuti ai forsennati bunga bunga cui sottopone le sue ancelle preferite. Diamoci un taglio. Definitivo. Magari anche alle parti basse (irrimediabilmente pendule) del premier.

mercoledì 20 ottobre 2010

il Lodo Berlusconi (altro che Alfano)


Dobbiamo imparare a chiamare le cose con il loro nome: quello che ieri è stato approvato, alla Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica, è l'emendamento al Lodo Berlusconi, impropriamente definito Lodo Alfano costituzionale. Questo Lodo Berlusconi è, a mio modesto avviso, un provvedimento necessario, inderogabile, oserei dire salvavita. Infatti serve a salvare il Pifferaio di Arcore da condanne certe, garantite, inconfutabili, e non certo perchè i giudici sono comunisti o politicizzati, ma semplicemente perchè l'andamento di quei processi (unito all'accumularsi delle prove e alle condanne dei correi) non lasciano più alcuna plausibile incertezza al riguardo. E' di lui, e solo di lui che stiamo parlando (di Berlusconi, ovviamente), e ha ragione da vendere il Presidente della Repubblica quando, con la sobria misura che gli è propria, si tira fuori dalla faccenda. Lasciamolo proprio fuori, il Capo dello Stato, da questa brutta e vergognosa storia. Evitiamo di farne una sorta di foglia di fico. Qui stiamo parlando esattamente e solamente (ed è bene che io lo sottolinei e lo ribadisca) di una legge salva-Berlusconi, la quale permetterà al cittadino Silvio Berlusconi (per quanti reati gli si possano contestare) di non essere processato, come normalmente si fa con tutti gli altri comuni mortali. E, si badi bene, non lo si potrà processare non solo per ciò che ha commesso nell'esercizio delle sue funzioni, ma nemmeno (anzi, soprattutto) per i suoi tanti reati comuni. Il Lodo Berlusconi è una sorta di nuovo diritto costituzionale che cancella norme e prassi da tempo consolidate e da tutti accettate, meno che da lui. Un diritto, se così possiamo continuare a definirlo, che è fuori e contro la Costituzione. Ma quello che conta, in fondo, è che lui possa continuare a governare il nostro Paese in totale tranquillità, senza essere disturbato, senza quelle seccature dei giudici che reiteratamente gli mandano a dire di presentarsi in Tribunale. Ma lui risponde picche, anzi dice che probabilmente nei prossimi anni sarà impegnato ancora di più, visto e considerato che traslocherà armi e bagagli al Quirinale (e il Lodo Berlusconi a due posti, approvato ieri, continuerà a proteggerlo in saecula saeculorum). Questo sì che si chiama esser sereni nello svolgimento delle proprie funzioni. A ben vedere il voto di ieri in Commissione ha messo fine a molti equivoci, il primo dei quali è che Fini e i suoi si sono rivelati per quello che effettivamente sono: un'opposizione al monarca di Arcore fatta a parole, non certo con i fatti. Una specie di sòla. Tradotto per i non romani, una fregatura. Come si dice, predicare bene e razzolare male. Finchè si scherza si scherza, ma quando è in gioco il Lodo Berlusconi si torna ognuno nella propria casella (quasi come in un ipotetico gioco dell'oca). Meno male che almeno Bersani è sembrato non proprio entusiasta di questo strano gioco, affermando anzi che su questo punto farà, se occorrono, le barricate. E lo credo bene, perchè l'eguaglianza dei cittadini e il rispetto della Costituzione sono principi non commerciabili, che valgono assai di più di qualunque furbesco tatticismo parlamentare o di rivisitazione di antichi e fanciulleschi giochi di società. Adesso sono proprio curioso di vedere chi voterà questo Lodo Berlusconi e con quale faccia si presenterà un domani di fronte al giudizio degli italiani. Ma poi mi sovviene che la stragrande maggioranza dei politici di casa nostra ha la faccia come il culo. E che quindi il problema non sussiste.

sabato 16 ottobre 2010

facebook ai tempi della Polverini


Si diceva una volta che i ministeriali (almeno quelli in organico a.B., ovvero avanti Brunetta) erano lavoratori privilegiati, di quelli che percepivano lo stipendio il 27 del mese senza far nulla, a parte timbrare il cartellino la mattina alle 8 e 30. Dopo il ciclone antifannulloni, voluto fortemente dal ministro bonsai, le cose sembravano migliorare o, almeno, non peggiorare ulteriormente. Ma forse era solo una pia illusione. A quanto pare, stando almeno a quello che succede alla Regione Lazio (sotto il regno della zarina Renata), si ha l'impressione che il tempo impiegato per la produttività sia totalmente assorbito dalla navigazione in Rete, in particolar modo dagli accessi a Facebook (70%), a Messenger (20%) e a Youtube (10%). Questo almeno è stato il risultato di un'inchiesta interna ordinata dalla Governatrice, la quale ha fatto diramare (tramite il segretario generale Salvatore Ronghi) una circolare che inibisce ai dipendenti della Regione Lazio (nessuno escluso) l'accesso ai siti Internet che non hanno nulla a che vedere con le quotidiane mansioni da svolgere. Sembrerebbe una sorta di punizione, per gli operosi e diligenti lavoratori dislocati alla Pisana e sulla Colombo; in realtà lo spirito aziendale che ha animato la Polverini è stato più semplicemente (almeno secondo le sue dichiarazioni) quello di "evitare sprechi e utilizzare meglio le risorse". In verità a me pare che questa iniziativa sia utile, più o meno, a nascondere sotto il tappeto la polvere accumulata in decenni di assenteismo e di inoperatività, tipico delle aziende carrozzone sempre pronte ad accogliere, a braccia aperte, parenti e amici e conoscenti dei vari politici alla guida di questo o di quel governo. E' un'antica favola che dura nel tempo, quella del posto fisso, dello stipendio sicuro, della tredicesima e della quattordicesima, dei regali e dei premi presenza: neanche il Lupo Cattivo con le sembianze di Renato Brunetta è riuscito a cambiare il racconto della favoletta e credo che nemmeno la Renata Polverini potrà riuscire nel pur lodevole intento di cambiamento dello status quo. Eppure questa iniziativa anti facebook e anti messenger ha generato ugualmente scandalizzate reazioni e sguaiati lamenti ad opera dei dipendenti regionali, i quali (forse) non hanno ancora capito che il problema sta a monte (e non mi riferisco di certo al monte Fumaiolo da dove nasce il bistrattato biondo Tevere tanto caro ai romani). Vogliamo inibire l'accesso a Internet ai dipendenti della Regione Lazio? D'accordo, ma prima andiamo a verificare le ragioni per le quali la stragrande maggioranza dei lavoratori degli uffici pubblici ne fanno uno smodato uso. Escludendo il legittimo bisogno di informazione e apprendimento ad opera dei dipendenti spesso frustrati dalle ripetitive giornate (non)lavorative, l'impressione che si ricava dalla frequentazione (come utente o come semplice visitatore) delle sacre stanze della Regione Lazio è quella di una non proprio fervente ed alacre attività lavorativa. Già l'anomalo sovraffollamento dei due bar interni rivela inequivocabilmente come i dipendenti patiscano i numerosi e quasi ininterrotti tempi morti. E gli stessi e silenziosi enormi corridoi della Regione Lazio non danno certo l'idea di un alveare lavorativo brulicante di indaffarati funzionari e diligenti quadri intermedi: testimoni attendibili riferiscono che non ci sono telefoni incandescenti che squillano, non si hanno notizie di computers sull'orlo dello schianto operativo e nemmeno di un frenetico correre da un ufficio all'altro. Se queste informazioni (al netto della malignità e della superficialità tipica degli invidiosi) fossero vere, mi sentirei di consigliare alla Polverini di cominciare ad applicare, ai suoi dipendenti, dei seri parametri di produttività, oltre che di meritocrazia. Credo che, così facendo, la Governatrice avrà la possibilità di accorgersi che quegli stessi dipendenti (oggi privati di facebook) che le si erano stretti intorno in modo affettuoso e sincero il primo giorno del suo insediamento dopo l'elezione a Presidente, adesso recano su di loro le stigmate delle Amministrazioni che si sono via via succedute nei quinquenni precedenti, quasi come in un processo di stratificazione geologica. E forse la Polverini si accorgerà pure (ma credo che lo sappia già da tempo) che per ogni Amministrazione, passata e presente (e anche futura), l'organico dei dipendenti regionali veniva integrato e vitaminizzato da contrattisti, collaboratori, consulenti e direttori i quali, con un'anomala puntualità, sparivano misteriosamente alla fine delle legislature. Non prima di aver incassato laute liquidazioni. E allora, gentile Governatrice, cerchiamo di esser seri. Perchè dobbiamo impedire l'accesso a Internet e a Facebook a questi solerti lavoratori della Regione Lazio i quali si vedranno costretti a impiegare diversamente i fatidici tempi morti nella sfiancante opera di lettura di giornali e riviste se non impegnati in omeriche battaglie navali o in attività di bricolage, quando non addirittura ad esercitarsi in improbabili lavori di maglia e di uncinetto? Restituisca l'uso di Internet e vedrà che la produttività magicamente ritornerà. In caso contrario questo suo divieto avrà un pò il triste sapore delle grida di manzoniana memoria, mostrando solo la faccia dura di un potere politico che, invece, quando si tratta di assunzioni e di clientelismo, diventa tenero tenero (oserei dire burroso) e accomodante, a fronte della vischiosa opacità di strutture (pubbliche e private) ormai intoccabili e senza gravi conseguenze occupazionali. Una sorta di decisionismo made in Berlusconi, un fare dal forte sapore casereccio che diventa un impalpabile velo per cercare di coprire l'incapacità e l'impossibilità di gestire l'efficienza di un apparato amministrativo che fa acqua da tutte le parti.

venerdì 8 ottobre 2010

quella che non gliela dava...


In una famosa dichiarazione di qualche tempo fa disse che a Berlusconi non gliela faceva nemmeno vedere, altro che dargliela (http://www.indebitati.it/attualita-e-politica/io-non-gliela-do/) e l'aveva ribadito anche sul suo sito (http://www.danielasantanche.com/2008/04/09/santanche-berlusconi-e-ossessionato-tanto-non-gliela-do/) provocando nel contempo un senso d'ilarità in chi non le credeva e un senso di sgomento in Berlusconi che aveva creduto alle sue parole. Molto umilmente ne parlai anch'io con un post sull'altro mio blog (http://tpi-back.blogspot.com/2008/07/la-santanch-non-la-d-pi.html). Certo è che, a distanza di due anni e mezzo e monitorando le frequentazioni della Santadechè (come spassosamente l'ha ribattezzata Roberto D'Agostino su Dagospia), possiamo quasi certificare che alla fine gliel'ha data. Non tanto per la nomina a sottosegretario di Stato presso il Ministero per l'attuazione del programma, quanto per la considerazione politica e per lo spazio inusuale che ultimamente il presidente del Consiglio le sta manifestamente concedendo. Da non sottovalutare il fatto che la Daniela Garnero in Santanchè (ha divorziato nel 1995 dal famoso chirurgo plastico Paolo Santanchè ma ha ottenuto dall'ex marito il permesso di mantenere l'altisonante cognome) è riuscita, con una piccola società (la Visibilia Pubblicità), ad accaparrarsi, anche grazie all'aiuto economico degli Angelucci (proprietari di Libero e del Riformista), la raccolta pubblicitaria del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro e di quello diretto da Antonio Polito oltre alle testate free-press Metro e DNews. Ma il colpo grosso (e qui non ci può essere che lo zampino del premier) l'ha fatto soffiando alla corazzata Publikompass (una delle più importanti concessionarie di pubblicità in Italia) l'esclusiva della raccolta pubblicitaria per conto de il Giornale dei Berlusconi Brothers. Insomma, l'ex concorrente televisiva del game show W le donne (in onda negli anni 80 sulle frequenze della neonata Rete4) è arrivata oggi, alle soglie dei 50 anni, a calcare i palcoscenici politici e televisivi più importanti e più seguiti della penisola e grazie anche alla sua miracolata ed esplosiva silhouette da mancata coniglietta di Playboy (miracoli del bisturi) ha catturato l'attenzione ormonale del presidente del Consiglio che da un pò di tempo pende letteralmente dalle sue labbra. Non c'è un comunicato o un'iniziativa politica che il premier non sottoponga (ovviamente sentito il suo consigliori Gianni Letta) alla Daniela che non gliela dava. E' lei, si mormora nei retrobottega di Palazzo, la vera musa ispiratrice dell'attacco mediatico contro Gianfranco Fini. Fu lei che qualche tempo fa mise in giro (abilmente ripreso sulla prima pagina del solito Giornale del Fango di Feltri) la notizia che l'ex moglie di Berlusconi aveva l'amante, aitante e prestante (una guardia del corpo, della serie: ofelèe fa el tò mestè). Ma quello che sconcerta è l'appeal che la cuneese è riuscita ad esercitare negli ultimi tempi sui legionari alquanto arrapati (e quasi tutto con l'ipertrofia prostatica) del Popolo della Libertà, a cominciare da Ignazio La Russa, noto viveur nonchè sventrapapere a tradimento. A parte tutte le battute, la Daniela Santanchè resta una sorta di mistero vivente di come una donna di bassa caratura (intellettuale e personale) possa raggiungere i piani alti della politica permettendosi il lusso di andare in tv da Santoro (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-c4f470a2-975e-4929-a94e-8979017c3674-annozero.html?p=0, guardare al minuto 81 della trasmissione) per dare del "mafioso" all'esterrefatto Luigi De Magistris che, provocato dalla Daniela che non la dava, ha risposto che rinunciava alla querela perchè non aveva tempo da perdere con una così. Il che è tutto dire.

sabato 2 ottobre 2010

l'ostentazione dell'impunità


Non chiedetemi, cari (pochi) lettori, di soprassedere sulle ultime esternazioni del Pifferaio di Arcore e di scrivere magari della situazione della scuola o del precariato, dell'indigenza di molti ex abbienti o della malasanità italiana. No, non me lo chiedete. Sarei costretto a dirvi: miei cari (e sempre pochi) lettori, tutta questa situazione è stata generata da un solo unico abietto individuo, che risponde al nome di Silvio Berlusconi. Questo ripugnante e spregevole ominicchio continua a insozzare sempre di più il nome dell'Italia e degli italiani, perseguendo il suo unico e volgare scopo: salvarsi le chiappe dalla magistratura. E così, tra una barzelletta e una bestemmia, una telefonatina ai suoi sgherri impegnati in centinaia di feste chiamate impropriamente "Viva l'Italia" e un rapporto orale con la ministra di turno, il presidente (abusivo) del Consiglio si ripropone nei soliti insulti ai magistrati (http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/berlusconi-magistrati-sinistra-ragazze-pdl-571531/). Anzi, per essere più precisi, diciamo che gli insulti li rivolge in particolar modo a quei magistrati che a vario titolo sono preposti ai processi che lo vedono indagato o imputato o comunque coinvolto. Le espressioni linguistiche usate sono: "associazione a delinquere giudiziaria ", "complotto di magistrati per sovvertire l'esito elettorale", "persecuzione ordita dai giudici di sinistra" e via delirando, fino ad arrivare alla demenziale proposta di istituire una commissione d'inchiesta per individuare non meglio precisati abusi e sopraffazioni, nefandezze e prepotenze (praticamente è il premier che sta parlando di se stesso davanti allo specchio). Ma il fatto nuovo, questa volta, è che l'indignazione (scusate se mi sta scappando una grassa risata) di Berlusconi si accompagna non già ad una solita e ripetitiva protesta di innocenza ma alla imbarazzante contestazione di una interpretazione giuridica che ha impedito (a proposito del processo Mills) di dichiarare prescritta la corruzione. C'è da rimanere letteralmente basiti ed increduli! In un Paese normale (ma credo anche nelle Antille o a Barbados) dichiarazioni di questo tipo renderebbero inevitabili e consequenziali le dimissioni di un premier nel giro di 24 ore. Nel nostro Paese, invece, vengono considerate innocue battute da Bagaglino o da serata d'animazione in un villaggio turistico. Questo perchè il nostro Paese è governato ormai nel nome della volgarità e della corruzione, del bieco affarismo e dei plurimi rapporti anali. E qui viene fuori la certificata insofferenza per le regole e la spudorata ostentazione dell'impunità da parte del Caimano il quale, delegittimando la magistratura, mina alla radice il sistema costituzionale del nostro Paese che ha, come capisaldi, la separazione dei poteri e l'eguaglianza di tutti di fronte alla Legge. E' pacifico che uno Stato di diritto esiga una giurisdizione che intervenga a riparare i torti subìti e a tutelare il singolo cittadino, nonchè ad assolvere in mancanza di prove (quando l'opinione comune vorrebbe magari la condanna) o a condannare in presenza di prove quando la medesima opinione vorrebbe l'assoluzione. E' altrettanto scontato che i giudici vengano criticati quando si sottraggono a questo principio, ma non di certo se le loro decisioni non fanno comodo a questo o a quel potente di turno, a prescindere dalla propria collocazione politica. Infatti, a mio giudizio, ciò che deve guidare le decisioni di un togato è semplicemente la Giustizia e non certamente l'utilità (che è invece il tipico metro di valutazione usato ed abusato nel mondo della politica). Credo sia un principio elementare il cui accantonamento può aprire la strada a scenari bui e pericolosi, come quelli descritti nell'antica Roma dell'Impero decadente, quando Commodo attuava le leggi in modo venale ed arbitrario, permettendo a un criminale benestante non solo di ottenere l'annullamento di una giusta sentenza di condanna ma anche di infliggere, all'accusatore e ai suoi testimoni e addirittura al giudice, la punizione che più gli piaceva. Sembra proprio che Berlusconi sia riuscito nell'impresa di riportare indietro l'orologio della Storia di circa duemila anni.