l'Antipatico

sabato 25 ottobre 2008

prova d'appello per il popolo veltroniano


Il sabato romano di fine ottobre accoglie il popolo veltroniano carico di speranza, di bandiere e di sogni barricati nei cassetti. Sogni che accompagnano soprattutto la volontà di chi non vuol soggiacere alla melliflua e latente "dittatura dolce" del caimano travestito da capo del governo. Sogni che ancora permettono al popolo veltroniano (ma anche agli altri che si riconoscono in ideali democratici e riformisti) di sperare in un cambiamento politico, sociale ed economico non troppo lontano nel tempo e nella realizzazione, con l'intima convinzione che la manifestazione odierna in corso al Circo Massimo di Roma possa dare l'avvio a quella girandola di sensazioni e previsioni per un futuro migliore, più equo, più libero, più umano, più aderente alle aspettative della gente di sinistra che crede ancora in certi valori. Valori calpestati dall'arroganza e dalla protervia del clan berlusconiano, così tenacemente abbarbicato al potere ed ai suoi scellerati simboli. L'onda lunga (non anomala) della contestazione studentesca dei giorni scorsi contro il disastro fatto donna (registrato all'anagrafe sotto il cupo nome di Maria Stella Gelmini) che sta cercando, con uno scandaloso decreto legge, di violentare e depauperare l'istruzione e il mondo universitario e della ricerca, trova oggi terreno fertile e alveo naturale nella variopinta e rumorosamente allegra manifestazione del PD e dei suoi alleati: un modo come un altro per far sentire insieme un'univoca voce di dissenso, di democratica protesta e di vigorosa opposizione contro le cose che non vanno, contro la situazione surrettiziamente da oasi felice (come maldestramente cerca di presentarla il principe delle televendite politiche) costruita ad arte dalle truppe berlusconiane, che cercano in tutti i modi di attuare la stolta e patetica arte dello struzzo, ignorando la realtà dei fatti, eludendo la drammaticità della situazione economica in atto, fregandosene delle effettive e sacrosante esigenze del popolo italiano. E' proprio in virtù della delicatezza dei temi economici e sociali in discussione in questo frangente, pieno di incognite e di preoccupate previsioni per il futuro, che si deve dare alla manifestazione odierna la chiave di lettura unitaria e scevra di inutili polemiche: un momento utile al popolo veltroniano per rinserrare le fila, per contarsi di nuovo a poco più di un anno dalle primarie del 14 ottobre scorso, quando tre milioni e mezzo di cittadini delegarono Walter Veltroni alla guida del nuovo Partito Democratico, affidandogli un carico di speranze e di relative incombenze che hanno come fine l'auspicato cambiamento, il preventivabile cambio di rotta per arrivare alla prossima primavera con la consapevolezza che il voto alle Europee e alle Amministrative dovranno segnare il punto di non ritorno dell'era nefasta del caimano. Oggi è in atto una grande, imperdibile, irrinunciabile prova d'appello per tutto il movimento della sinistra, non solo per il popolo veltroniano. Cerchiamo di sfruttarla nel modo migliore possibile. Anche perche' stavolta non si potrà sperare in una ipotetica ed eventuale Cassazione della politica...

sabato 18 ottobre 2008

all'inseguimento dello sterco del diavolo


Comunque la si rigiri, comunque la si guardi, l'attuale situazione congiunturale economica ci porta inevitabilmente a sprofondare in una sensazione avviluppante di depressione, di sfiducia, di continua insicurezza. Non bastano certo le parole fintamente incoraggianti del presidente del Consiglio che invita a comprare le azioni "amiche" a farci sentire più tranquilli; non servono certo le dichiarazioni del ministro delle Finanze che invano cerca di dissuaderci dalla paura della recessione che si sta impadronendo ogni giorno di più della nostra vita. No, tutto ciò non basta. E allora ognuno di noi, chi più chi meno, è alla ricerca spasmodica dello strumento che magicamente potrebbe in un colpo solo liberarci da tutte le nostre fobìe e incubi catastrofici: il denaro, tanto denaro, una valanga infinita di denaro da cui farci sommergere quasi fino ad annegare, per poi riemergere felici e sicuri di non aver più problemi di sorta per tutta la vita. Le code di queste ultime due settimane nelle ricevitorie per tentare la fortuna al Superenalotto (questa sera in palio il jackpot da quasi 92 milioni di euro) ci fanno capire la disperata sensazione di rincorsa al sogno che ogni italiano ha dentro di sè. Una voglia irrefrenabile ed incontrollabile di sfida alla Fortuna, quella fortuna che abbiamo invocato chissà quante volte ma che mai ci ha dato ascolto in precedenza. E così milioni e milioni di italiani si mettono pazientemente in coda per stringere tra le mani quei magici tagliandi pieni di numeri, sperando che tra quelli vi siano i fantastici 6, quelli che ci schiuderebbero le porte del paradiso, dell'Eden della bella vita, fatta di lussuosissime case e di quadri d'autore, di Ferrari e champagne, di belle donne e yacht da sceicco. Ognuno di noi spera in cuor suo che stasera non diventi supermilionario (in euro) il proprio vicino di casa, la propria collega d'ufficio, il vecchio amico d'infanzia: sarebbe uno smacco troppo umiliante vedersi soffiare sotto il naso la fortuna da chi nella vita abbiamo frequentato quotidianamente invidiandogli magari la casetta di campagna o la Punto nuova fiammante mentre noi siamo costretti a girare in metropolitana ed alloggiare in una casa dell'ATER con l'ascensore che non funziona. Ma poi la cronaca ci viene in soccorso, in aiuto, e ci fa leggere la notizia che c'è qualcuno in Italia che non per ritrovarsi plurimilionario, non per pasteggiare a ostriche e Veuve Clicquot, ma semplicemente per poter tornare nella sua casa di campagna e vivere dignitosamente mette in vendita un rene e il midollo osseo (http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsId=87221) sperando di ricavare quel poco che gli permetta di soddisfare la sua più che umana esigenza. Senza inseguire (come fanno molti altri) disperatamente e affannosamente lo sterco del diavolo.

domenica 12 ottobre 2008

la strategia (da avanspettacolo) del cavaliere


Se la vera statura di uno statista si misura sulla base delle scelte politiche e sociali, degli indirizzi dati per lo sviluppo economico e industriale del proprio Paese, sul coinvolgimento dei partiti dell'opposizione alla gestione degli affari di Stato, bene: allora la misurazione attuale della "statura" del Pifferaio di Arcore (come lo ha magnificamente etichettato Tpi-back, leggasi http://tpi-back.blogspot.com/2008/09/feltri-il-pifferaio-magico-di-arcore.html) è da ritenersi ai livelli minimi di guardia, tenuto conto della tara del rialzo normalmente usato.
Prendete per esempio la comparsata al Bagaglino subito dopo il Consiglio dei Ministri salva depositi dei risparmiatori, salva banche e salva imprese: tutti aspettavano Berlusconi a Porta a Porta, dal fedele scudiero-zerbino con neo incorporato e lui invece è andato a teatro: lo ha fatto perché lì, al Bagaglino e non altrove, sapeva di trovare la sua gente, il suo elettorato, che è composto da persone normali, famiglie della piccola e media borghesia, che si erano prese una serata di divertimento e che il premier in persona ha voluto rassicurare. Vedere il cavaliere all'interno del Bagaglino è come vedere uno squalo nel suo habitat naturale, che si muove felice e sicuro, certo di non incorrere in pericoli di sorta o peggio ancora in qualche treppiedi dietro la nuca. "Non perderete i vostri soldi", ha detto ai signori e alle signore mature mentre sfoggiava il suo classico sorriso da ceramica. E alle ragazzine ha dato il solito consiglio: sposatevi uno ricco! Anche questa è tutto fuorchè una battuta, se l’altra domenica sera in tv una ragazzina lo ha indicato come presidente della Repubblica, e pure come presidente del Consiglio: come dire, è capo del governo perché è il capo di tutti noi. Ovviamente non mancano, nella corte stretta e in quella allargata, nella cosiddetta classe dirigente azzurra che sta negli enti locali e in Parlamento (per non parlare dei direttori e dei manager, si fa per dire, che lavorano in Rai), quelli che sono convinti che il loro chiacchiericcio quotidiano o il loro rumoreggiare di fondo rappresentino e valgano, per il premier, magnifici e onorifici suggerimenti per una linea politica. Infatti Berlusconi li fa chiacchierare e rumoreggiare e poi se li fuma tutti al momento delle scelte che contano. Ed è soprattutto (e non a caso) nel cambiamento del suo rapporto con i sondaggisti che Silvio Berlusconi mostra quanto sia profondamente cambiato: se con Gianni Pilo e poi con Luigi Crespi ammetteva e tollerava (con Crespi soprattutto) invasioni di campo che a nessun’altro erano consentite, con la seria e brava Alessandra Ghisleri, capo di Euromedia Research, il rapporto è radicalmente cambiato. La Ghisleri, che ha mosso i primi passi da ricercatrice proprio con Crespi, rileva e analizza con onestà e serietà l’andamento dell’opinione pubblica e non si impiccia di altro. E' Berlusconi che decide quello che farà, anche sulla base dei sondaggi. Per qualcuno è peronismo televisivo, per qualcun altro è regime catodico e per chi è già sbronzo a mezzogiorno, è peggio ancora, stile Centroamerica. In realtà è solo marketing applicato alla politica: un marketing che permette a Berlusconi di orientare le vendite (il gradimento) del prodotto (il governo di cui è a capo) al meglio: non a caso di nomine alla Rai e alla Corte Costituzionale non si occupa, mentre il suo competitor Veltroni ne fa i due maggiori cavalli di battaglia dell’opposizione. La Rai, cioè la lottizzazione dei posti migliori per gli amici del cuore li lascia agli altri. Lui già ha le sue incombenze catodiche e suadenti nel far credere (tramite le sue tv) al popolo che tutto va bene madama la marchesa: quattro grasse risate al Bagaglino e possiamo tornare ebbri di felicità a casa, ma senza fretta. Stavolta non c'è il Biscione che ci aspetta. C'è il Pifferaio di Arcore.

venerdì 10 ottobre 2008

una scelta (politica e d'amore) coraggiosa


Ha fatto molto discutere e riflettere la notizia riguardante il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, che ha annunciato di non volersi ricandidare il prossimo anno alla guida della città emiliana. Discutere in primo luogo perchè non è proprio usuale e frequente vedere un politico, un primo cittadino, un ex sindacalista lasciare spontaneamente una poltrona, un posto di comando per dedicarsi alla propria famiglia (ed in particolar modo all'ultimo figlio nato appena un anno fa) che vive a Genova e che quindi risulta giornalmente mancante nella presenza e negli affetti. Molti osservatori (animati da faziosità e pregiudizio) hanno dato una lettura politica e personale dell'evento inficiandola con una buona dose di qualunquismo e di strisciante dietrologismo. Altri, per fortuna, hanno elogiato lo spirito decisionista e la buona dose di coraggio che sono stati alla base della presumibile sofferta scelta (anche di coerenza) fatta da Cofferati. Al riguardo abbiamo apprezzato oltremodo l'editoriale di stamani firmato dal direttore de l'Unità, la sempre brava e inappuntabile Concita De Gregorio. Il titolo la dice lunga, "La scelta di un uomo", sulle considerazioni che l'ex notista di politica de la Repubblica ha dedicato nel suo lungo articolo all'uscita imprevista e rispettabilissima dell'ex segretario generale della CGIL. Avremmo gradito altre espressioni di gratitudine e di rispetto nei confronti di Cofferati da parte di altri giornalisti (o presunti tali) che non hanno perso invece l'occasione per far fuoriuscire dalle loro penne avvelenate le solite stille di curaro e di pregiudiziali politiche (di parte) atte a sminuire (o comunque ad ombrare) la figura, per certi versi scomoda, di Cofferati. Sappiamo comunque che la riconoscenza (e il riconoscimento del valore di un avversario) non è del mondo giornalistico; prendiamo atto che la macchina politica esaspera e tritura senza pietà qualsivoglia aspetto dell'umana comprensione e valutazione dell'opera di un uomo; consideriamo altresì che l'aspetto personale e familiare di un uomo politico il più delle volte viene surclassato dalle dicerie e dalle invidie dei competitori che galleggiano nelle fetide acque dello stagno della cosiddetta arte della politica, ma questa volta il gesto intriso di coraggio, di saggezza e di umana priorità di Cofferati nel preferire la sua famiglia alla cosa pubblica ci ha fatto riflettere sull'ennesima occasione sprecata dal presidente del Consiglio italiano di seguirne l'illuminante esempio: a 72 anni suonati crediamo che fare il nonno (o il padre) sia la migliore espressione di intelligente e non egocentrica modalità di fare del bene agli altri. Non solo a se stessi.

domenica 5 ottobre 2008

aguzzare l'ingegno (contro Brunetta)




Molteplici segnali indicativi di qualcosa di nuovo nel mondo delle Pubblica Amministrazione li abbiamo senza dubbio avuti dall'entrata a Palazzo Vidoni del ministro bonsai Renato Brunetta. E' cambiato il modo di operare nella mastodontica macchina dello Stato. E' cambiato anche il rapporto tra lo Stato datore di lavoro e i suoi dipendenti. Non c'è più quell'isola felice (per gli statali) del mancato controllo sulla effettiva qualità e soprattutto sulla reale quantità di lavoro. Non c'è più, nei ministeri, quel continuo "struscio" interno nei corridoi e nei bar che replicavano pari pari quello che si faceva di pomeriggio nelle vie del centro storico di Roma. Il girarsi freneticamente i pollici delle dita era un lontano ricordo. L'effetto Brunetta aveva dunque terremotato tutta una serie di vecchie e care resipiscenze lavorative ereditate nei decenni da parenti e raccomandanti. Ma proprio l'ingegno, tipicamente italiano, del trovare una soluzione a questo stato di cose ha avuto in questi ultimi tempi il suo naturale e sospirato (sempre per gli statali) allocamento. Il contributo più evidente che sancisce questo atipico scontro titanico tra il ministro bonsai e milioni di lavoratori (esposti alla sindrome del fannullismo) è costituito da un documento, scritto dalle rappresentanze sindacali di base, fatto girare quasi clandestinamente tra i lavoratori del pubblico impiego. Titolo: "Far finta di essere sani", sottotitolo: "Antivirus da usare in caso di assenze per malattia e permessi personali". Si tratta di un vero e proprio manuale di sopravvivenza al giro di vite imposto dal ministro della Pubblica Amministrazione e dell'Innovazione con il decreto legge 112, poi convertito in legge n.133 del 6 agosto 2008, al grido di "lotta ai fannulloni". Nel manuale c'è scritto: "Questo opuscolo è una forma di lotta: conoscendo le leggi impariamo ad applicarle tutte, cominciando da quelle a nostro favore". Ovvero a districarsi tra le norme vigenti in materia di assenze per malattia e permessi personali. Se in un qualsiasi manuale di sopravvivenza delle giovani marmotte (quale bambino non l'ha letto) ti insegnano ad accendere un improbabile fuoco con la paglia o con uno specchietto, in quello delle rappresentanze sindacali di base ti insegnano la strategia per irretire il nemico, applicando alla lettera le sue stesse regole. Per esempio, visto che la legge Brunetta prevede che "chi è ammalato ne deve dare comunicazione alla struttura o ufficio di appartenenza tempestivamente e comunque all'inizio dell'orario di lavoro", gli esperti dell'ufficio anti-Brunetta consigliano di "fare la telefonata (o mandare l'e-mail o il fax) all'ufficio competente o al dirigente dell'ufficio e non ai capi ufficio o alle posizioni organizzative". La seconda mossa prevede di comunicare al telefono (o scrivere nel certificato del medico di base) il domicilio dove si è tenuti a risiedere, ricordando che dal momento della telefonata scatta anche il rispetto delle fasce orarie. Alla voce "uscite durante gli orari di obbligo ad essere a domicilio" si sfiora il sarcasmo. La legge Brunetta avverte che "le fasce orarie valgono 7 giorni su 7, dalle 8 alle 13 e dalle 14 ale 20. Si può uscire per motivi documentati quali visite mediche, prestazioni e altro e per giustificati motivi". Il manuale di sopravvivenza sottolinea, con una vena di humor sottile very british, "Come vedete, durante gli arresti domiciliari c'è la possibilità di uscire". E sul "reato" di evasione c'è l'immunità, perchè "se voi avete comunicato le uscite e in quel frangente avete la visita fiscale, NON siete passibili di provvedimenti disciplinari nè di revoca del trattamento di malattia. Il medico che è passato lascerà al vostro domicilio una cartolina in cui comunica di essere passato, invitandovi a mettersi in contatto con lui per un ulteriore appuntamento". Altro passaggio del manuale: "Per le malattie prese al lavoro si può evitare la riduzione dello stipendio: basta farsi rilasciare (dai medici del reparto, da uno convenzionato, dal dirigente scolastico) una dichiarazione che comprovi la presenza del contagio nella struttura e consegnarlo al proprio ufficio del personale". Che cosa deve fare un lavoratore del pubblico impiego se vive da solo, se non ha un familiare accanto a sè quando il medico fiscale suona, se ha i figli piccoli da andare a prendere a scuola o se c'è una faccenda che non può proprio essere rimandata? Niente paura, il manuale anti-Brunetta viene in aiuto spiegando che "comunque va rivendicato e praticato il diritto di poter svolgere, nei limiti imposti dalla malattia, una vita normale". Che fare, dunque? Basta "telefonare prima di uscire all'ufficio del personale dell'Ente, specificando motivi e il tempo presunto dell'assenza, annotando l'ora e il minuto della chiamata, perchè è sempre l'Azienda che deve chiedere la documentazione necessaria". In buona sostanza, come in una vecchia pubblicità, una telefonata ti salva la vita. Nel caso del pubblico impiego ti salva il lavoro perchè "ricordate, è obbligatorio telefonare se non si vuole incorrere in sanzioni economiche e disciplinari. Vanno bene anche e-mail e fax, ma la telefonata VA FATTA". E la conclusione del manuale di sopravvivenza è un pò lo specchio deformante della vendetta immaginata dai pubblici impiegati: "Pensate, negli Enti di grandi dimensioni, gli uffici saranno travolti da un fiume di telefonate". E magari milioni di statali attenderanno sulla riva del fiume il passaggio del cadavere del loro nemico...Che incubo per il ministro bonsai!

giovedì 2 ottobre 2008

Maroni & La Russa, separati in casa (del governo)




A ben guardarli sembrano più una strana coppia da palcoscenico di Zelig che due eminenti esponenti del governo con incarichi delicati ed importanti. Una coppia incline alla litigiosità e al continuo dispetto l'uno nei confronti dell'altro. Un modo di punzecchiarsi che travalica la normale schermaglia dialettica del politichese ed approda sulle prime pagine dei giornali con tanto di smentite e recalcitranti conferme alquanto imbarazzate dei rispettivi uffici stampa. Per non parlare del presidente del Consiglio che è costretto ad intervenire come un arbitro sul ring per dividere i due animosi e insofferenti pugili. I due strani contendenti, Roberto Maroni e Ignazio La Russa, assomigliano a due suocere che vogliono metter becco negli affari delle rispettive nuore pur sapendo che in entrambi i casi apporteranno più danno che soluzione dei problemi. E così la questione dell'invio dei soldati nel casertano per contrastare la Camorra genera scintille di primogenitura su chi deve avere la parola definitiva sulle scelte e sulle modalità operative. A Maroni e alla Lega, che sempre di più si vogliono caratterizzare come il ministro e il partito dell'ordine, si contrappone la figura inquietante e sbraitante di La Russa e degli altri "colonnelli" di AN, che mal digeriscono la voglia di protagonismo dell'esponente del Carroccio. Il titolare del Viminale vuole mettere la propria bandiera sulla sicurezza e non sopporta intrusioni di campo, sconfinamenti o altro da parte di chicchessia del PdL. Il silenzio del premier sull'affondo ai Casalesi, di fronte alla pioggia di dichiarazioni che avevano coinvolto tutti (dal presidente della Repubblica in giù), è stato fin troppo eloquente. Ma il vero derby, per la Lega, è con quelli di AN. Destra e Lega hanno elettorati contigui, sono come due vasi di voti comunicanti: sale uno e scende l'altro e viceversa. Non è un caso che la Lega abbia voluto il Viminale, sistemandoci il successore dichiarato di Bossi, e AN per contrappeso abbia preteso la Difesa, piazzando in quella posizione colui che regge il partito al posto di Fini. Ebbene, proprio nel giorno dopo la mega operazione, in cui magna pars l'hanno avuta i militari con i Carabinieri, Ignazio La Russa ha un appuntamento non marginale: va a Caserta per salutare i paracadutisti della Folgore che si preparano ad andare a riprendersi le strade della Domitiana. E saluta quelli che chiamerà «fantastici ragazzi» un po' in anticipo rispetto alla piena operatività dei militari. Sembra un'ennesima corsa a chi mette prima il cappello sul comparto, tanto che La Russa precisa subito: «Nessuna corsa con Maroni». Sarà. Ma non basta. Così, a metà mattinata, arriva - anche qui non a caso - una nota del capogruppo del PdL Fabrizio Cicchitto: «Il ministro Maroni ha reso noto tutti gli elementi di una durissima operazione contro la camorra. Quanto prima entreranno in campo altri militari sulla base delle indicazioni del ministro della Difesa. Per parte sua il ministro Alfano ha preso una serie di iniziative legislative contro la mafia». Come dire: ricordatevi che per battere i clan deve esserci un'azione congiunta di più dicasteri, e poi non dimenticatevi che non ci sono solo Maroni e La Russa ma anche Alfano. Non solo. Dalla Difesa il ministro di AN prova a rassicurare il collega: «Ringrazio pubblicamente e sinceramente Maroni per aver deciso, assieme a noi, di offrire una forza capace di affrontare l'emergenza». Ma da Roma, durante la registrazione del programma «Matrix», Maroni spara di nuovo contro il ministro della Difesa, anche senza citarlo: «Sui militari decido io». Di fronte all'ennesima diatriba, Berlusconi decide di intervenire. E così, proprio all'inizio della conferenza stampa che si tiene a metà pomeriggio a Napoli per l'emergenza rifiuti, dice chiaramente: «Con questa operazione abbiamo dato un colpo, credo definitivo, alla camorra di Caserta, il governo continuerà a far valere la presenza dello Stato e la sua forza». Quindi ringrazia per ben due volte tutte le forze dell'ordine. E ringrazia pure la magistratura (fatto alquanto inusuale) raccontando di aver incontrato anche il gip Capuano dell'inchiesta contro la camorra. Spiega di aver fiducia nel sottosegretario Cosentino e nel deputato Cesaro, citati nelle inchieste. Rassicura tutti. E sottolinea che il metodo da seguire è quello utilizzato per l'emergenza rifiuti: fare, fare, fare. E non litigare, litigare, litigare...