l'Antipatico

sabato 21 agosto 2010

i peones (dimenticati) della politica


Non c'è un leader politico, di questi tempi, che non abbia l'aria sempre un pò offesa o corrucciata. E i motivi sono molteplici (a parte l'attuale rodimento del chiccherone del Berlusca per l'affronto finiano). Sia perchè viene calunniato, sia perchè viene scavalcato, vuoi perchè lo prendono per il culo e gli mancano di rispetto. Ma l'offesa suprema per un politico (almeno credo) è quando lo trascurano e non gli fanno nemmeno l'elemosina di un pettegolezzo o anche soltanto di una fotografia rubata con il teleobiettivo e magari spiattellata in copertina sul settimanale patinato di Alfonso Signorini (altro leccaculo superprotetto del Caimano). E dire che quasi tutti i politici di questo ventunesimo secolo hanno almeno un cognato o una suocera in carriera. E che tutti (chi più, chi meno) meriterebbero di finire in quel posto tanto gridato da Giorgio Bracardi ai tempi di Alto gradimento: "IN GALERA!". Oggi i politici, tra deputati e senatori, sono circa un migliaio: pezzi da novanta a parte (quasi una quarantina) vi sono circa novecentocinquanta rappresentanti (si fa per dire...) del popolo che sono regolarmente ignorati da giornali e tv (oltre che dai cittadini e forse anche da amici e parenti). Non sto a qui a parlare di quel sottobosco di questuanti della politica, senza volto nè anima, eletti a cariche regionali, provinciali e comunali e perfino circoscrizionali o di quartiere (ci mancherebbe solo il politico di condominio...), tutti profumatamente pagati ma inesorabilmente ignorati dai riflettori della ribalta del gossip. Se nessuno, ma proprio nessuno, parla o straparla di loro (come invece a costoro piacerebbe, eccome) è perchè sarebbe tempo perso, gettato via sull'altare del nulla. Questi qui sono delle semplici scartine della politica, degli sfigati yesmen, dei rottamati peones. In pratica non sono per niente interessanti, non sono nè belli nè brutti. Sono insipidi e scialbi ingredienti del lievito politico, scartati da tutto e tutti. Arrivano sul palcoscenico della cosa pubblica senza un filo di appeal, nominati alle cariche elettive direttamente dai loro boss di partito e i colori della politica prontamente sbiadiscono. Portano sfortuna alla varietà cromatica del mondo come facevano i "Biechi Blu" di Yellow Submarine, il film animato dei Beatles. In pratica sono quelli che preparano il caffè quando i capi sono in riunione. Quelli che (tanto per fare un nome, Bianconi) rilasciano dichiarazioni imbarazzanti sul Presidente della Repubblica che tradirebbe la Costituzione e che poi si stupiscono se Napolitano diventa una furia. E' decisamente gente inetta, da snobbare. Fanno numero e contano meno di niente. E dire che per farsi notare le provano tutte. Qualcuno di loro (anche qui tanto per fare un nome, Mele) tempo fa si era spinto sulla soglia della notorietà fino a farsi beccare in una stanza d'albergo del centro di Roma con due zoccole e un pò di cocaina. Altri (immagino gli stessi che hanno colpito con anatemi i tabagisti) fumano ostentatamente grossi sigari in Transatlantico, dandosi arie da fuorilegge (ma di Al Tappone ce n'è uno solo) senza che nessuno osi multarli o sgridarli. Forse proprio perchè sono dei perfetti signor nessuno. Può darsi che a volte, immeritatamente, si siano conquistati i canonici cinque minuti di celebrità. Ma le lancette dell'orologio della vita corrono veloci e se la freccia del tempo non è un'opinione, presto questi peones miracolati dalla politica torneranno inesorabilmente nell'ombra. E' già successo, succederà ancora. E loro lo sanno. Ce l'hanno scritto in faccia l'oblio dell'indifferenza cui sono destinati. Ma loro non si danno per vinti: mugugnano quando la loro privacy viene troppo rispettata, si inalberano se nessun magistrato intercetta qualche loro conversazione telefonica o se nessun emulo di Fabrizio Corona scatta loro una bella istantanea mentre se lo fanno mettere in quel posto da qualche bel nerboruto viado. Chissà che darebbero per far accadere qualcosa del genere e subito dopo sperticarsi in legittime interviste indignate per la privacy violata (e nemmeno solo quella...). Ma come spiegava giustamente Woody Allen in un suo film (Broadway Danny Rose), il problema è che "non puoi montare due cavalli", la discrezione e l'impudenza, l'anonimato e la notorietà, "con un sedere solo". Perdipiù neanche troppo nuovo.

lunedì 16 agosto 2010

aspettando settembre...


Per chi conserva un minimo di memoria storica e politica non credo sarà difficile accostare questa estate piena di fango berlusconiano e feltriniano con la vigilia di fine anno del 2005. In quel periodo la coalizione di centrosinistra sembrava godere di un vantaggio netto (circa 10 punti percentuali) rispetto al centrodestra, in previsione delle annunciate elezioni politiche della primavera del 2006. Ma un famoso titolo a nove colonne de il Giornale dei Berlusconi brothers (diretto all'epoca dal super lecchino Maurizio Belpietro) diede inizio alla campagna melmosa e maleodorante contro l'allora segretario dei DS Piero Fassino (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=9I2W4) colpevole di aver proferito al telefono (con Giovanni Consorte, l'allora presidente di Unipol) la oramai storica frase: "Allora abbiamo una banca?!" che rappresenta un must da far ricicciare ogni qualvolta il barometro politico segna tempesta per le falangi berlusconiane. E alla bisogna ci pensano sempre i pluridecorati Feltri e Belpietro. Dopo la pubblicazione di quella prima pagina del giornalino di via Negri i vertici dei DS subirono un fuoco incrociato (sia "amico" che nemico) di roventi polemiche con la inevitabile conseguenza che i sondaggi di metà gennaio 2006 registrarono il partito guidato da Fassino sotto la soglia del 20% e la costituenda Unione (pur essendo ancora in testa) si era avvicinata a cifre il cui margine di errore poteva anche contemplare un eventuale pareggio con lo schieramento berlusconiano oltre ad una risicatissima vittoria (come poi puntualmente avvenne). E tutto ciò grazie ad una frase intercettata e prontamente consegnata, sotto forma di CD, la vigilia di Natale all'interno della mega residenza di Arcore nelle mani dei fratelli Berlusconi. Una frase opportunamente e maliziosamente mondata e fatta rimbalzare nel circuito dei media italiani. Una frase scevra di elementi di reato ma che lasciava supporre che fra i vertici del principale partito della sinistra e i vertici della compagnia assicurativa del movimento cooperativo vi fosse una commistione di interessi (mentre oggi i berluscones nemmeno si scandalizzano per le porcate finanziarie di Verdini all'interno del Credito Cooperativo Fiorentino, lasciandolo tranquillamente al suo posto di coordinatore nazionale del PdL...CHE SCHIFO!!). Quell'episodio della telefonata di Fassino bastò per incrinare la credibilità del segretario dei DS presso una vasta area dell'opinione pubblica e per rimettere in discussione una vittoria elettorale che molti davano per scontata. Tutto questo avveniva meno di cinque anni orsono, ma in termini politici sembrano ere geologiche fa. Nel frattempo in questi anni abbiamo visto di tutto, ma soprattutto abbiamo visto l'uso quasi scientifico e oltremodo mirato di dossier, di intercettazioni, di rivelazioni di particolari pruriginosi sulla vita passata e presente di uomini politici e delle istituzioni: una sorta di nuova arma letale volta a rompere o a mantenere determinati equilibri politici, agendo direttamente sull'opinione pubblica. Possiamo dire quindi che la dimensione privata irrompe nella politica e che la guerra dei dossieraggi-killer si fa casa per casa, piazza per piazza. Oggi è il turno di Gianfranco Fini e secondo me toccherà aspettare la metà di settembre (alla riapertura dell'attività politica) per capire quanti e quali segni la vicenda della casa di Montecarlo lascerà sulla sua popolarità e sugli equilibri complessivi del centrodestra. Prima del ciclone melmoso di nome Feltri il presidente della Camera dei Deputati godeva di una sedimentazione minoritaria ma piuttosto robusta all'interno del PdL: non meno di un quarto dei consensi (e forse più) di quel partito. Ma soprattutto godeva di uno spettro personale di credibilità all'interno del Paese molto elevato, di natura trasversale e ben superiore a quella del presidente del Consiglio. Ma al di là della cacciata dal PdL, della richiesta di dimissioni e delle varie letture giornalistiche su ipotetici terzi poli con Casini e/o con altri, è fuor di dubbio che Fini era in una posizione di forza assoluta e apparentemente non attaccabile. Invece adesso (nonostante la storia della cucina) non è più così. Bisognerà quindi aspettare l'autunno per conoscere le sue azioni ma soprattutto per sapere le reazioni dell'opinione pubblica italiana. Finirà come andò a finire per Fassino o prevarrà un giudizio più pacatamente politico? Chissà. Fatto sta che, pensandoci un pò, mi viene da rimpiangere quei tempi andati (quelli della vecchia DC) quando naturalmente i dossier e le intercettazioni esistevano eccome, ma venivano usati con rigorosa parsimonia e quasi sempre tra le quattro mura della casa scudocrociata. Invece ora i panni sporchi si lavano davanti a tutti e nel gran casino che ne deriva spesso si confondono quelli veramente sporchi (e su questo Berlusconi ha da insegnare per secoli) con quelli che hanno appena una macchiolina. Anche se di merda sempre si tratta...

sabato 7 agosto 2010

la voce del padrone (corruttore e corrotto)


Come si direbbe in aulico lessico giurisprudenziale "con più azioni del medesimo disegno criminoso" la cricca berlusconiana ha cercato di soffocare definitivamente la libera voce del dissenso della stampa quotidiana (e settimanale) invisa a tutto ciò che orbita intorno al satellite accentratore di Arcore. Prima con il taglio dei contributi pubblici, prima ancora con le assurde richieste milionarie (in euro) di risarcimento contro l'Unità e la Repubblica, poi con la demonizzazione della stampa di opposizione che non fa capo ai gruppi economici dominanti, in particolare quella che si rifà al movimento dei lavoratori e che ha ancora il coraggio di denominarsi comunista, come Liberazione e il manifesto. E poi con la legge bavaglio, la negazione completa del diritto all’informazione con l’obiettivo di mettere sotto controllo un potere autonomo come la magistratura, che sta portando alla luce oscuri maneggi di nuove cricche e confraternite. Infine, sotto i colpi di una crisi che rende esplicita la cialtronesca inconcludenza e anche la feroce impronta classista di questo governo, formato da nani e ballerine anche un pò troiette, che adotta l’imposizione del silenzio a chi dissente, pena l’espulsione da un partito chiamato Popolo della Libertà. Una sequenza che fa di Berlusconi, al di là delle sue inclinazioni personali spesso grottesche, un prototipo dell’autocrate moderno nell’età della globalizzazione e della privatizzazione universale, un’incarnazione pressoché perfetta del potere fondato sul dominio del denaro e sul controllo del sistema dei media. Il Pifferaio di Arcore fa davvero fatica ad ammettere (come dichiarò tempo fa Carlo De Benedetti) che «un imprenditore è per sua natura un autocrate» e «non ha il DNA adatto a partecipare al gioco democratico». Nella società che si vuole fondata sulla cultura d’impresa e sul business, la politica diventa un’attività altamente improduttiva, salvo per chi la esercita a beneficio del capitale e pro domo sua come il Caimano insegna. Ed è per questo che viene sistematicamente denigrata e messa alla gogna con un duplice scopo: cancellarla come mezzo di trasformazione della società al servizio delle classi subalterne, e ridurla al rango di funzione tecnica a disposizione del capitale, in uno spazio opaco in cui inevitabilmente cresce il losco intreccio con gli affari, che a sua volta alimenta l’opera di distruzione della politica medesima. Quando i partiti non sono più la nomenclatura delle diverse classi, come argomentava Gramsci, ma la nomenclatura di un unico ceto dominante, cambia il carattere del conflitto, la modalità della sua rappresentazione, il significato stesso delle parole, e cambia sotto la pressione di veri e propri apparati ideologici volti alla sterilizzazione culturale e politica di grandi masse. Perciò c’è bisogno, nell’interesse stesso della democrazia, di un punto di vista autonomo e alternativo. E di tante voci del dissenso, soprattutto attraverso i quotidiani di cui parlavo all'inizio di questo post (non dimenticando il Fatto Quotidiano) che devono rappresentare una sorta di sentinelle della libertà, proprio a difesa di quella libertà che la voce del padrone di Arcore (corrotto e corruttore) vuole sistematicamente mettere a tacere. Ma che, purtroppo per lui, non potrà avere successo.