l'Antipatico

venerdì 23 aprile 2010

psicodramma (annunciato) in casa PdL


Quando il cavaliere qualche tempo fa, davanti alla platea della Confindustria di Parma, gettava acqua sui primi accenni di roventi polemiche sui contrasti con Fini quasi nessuno (nemmeno il più incallito berlusconiano) credeva nell'opera di spegnimento; un pò tutti sapevano oramai che l'incendio era stato appiccato e nessun pompiere poteva opporvisi. E così è stato. La discussione, se così può essere definita, che si è svolta ieri all'Auditorium di via della Conciliazione (mai nome toponomastico è stato più indicato, seppur vanamente) nel corso della direzione del Popolo della Libertà tra il presidente della Camera Gianfranco Fini e il premier di Arcore, sembra appartenere più al genere dello psicodramma che a quello del confronto politico. L'ex leader di Alleanza Nazionale ha svolto un ragionamento ricco di evocazioni circa i problemi di metodo, di rivendicazioni e di autonomia intellettuale; ha comunque riconosciuto che l’esito elettorale del PdL è stato felice, persino attribuendo personalmente a Berlusconi la difficile vittoria nel Lazio. Quando però è passato a enunciare i temi politici di dissenso, elencando una serie di questioni rilevanti tra cui, in primis, la crescente subalternità del Popolo della Libertà alla Lega di Bossi soprattutto nelle regioni settentrionali, ha innescato un meccanismo di rigetto e di travaso di bile nelle interiora del Pifferaio di Arcore. Bisogna però osservare che il punto principale, dal punto di vista politico, è stato quello dell’opportunità di cercare una vasta maggioranza parlamentare per varare una grande riforma delle istituzioni statali: ma guarda caso (neanche a farlo apposta) questo tema era già stato tolto dal tavolo della discussione dal solerte Berlusconi che, nell’introduzione, aveva persino scavalcato Fini, escludendo la possibilità di riformare la Costituzione nella sua struttura fondamentale senza l’accordo delle opposizioni. Il lato paradossale della situazione, a mio modo di vedere, sta proprio nel fatto che mentre le distanze politiche di merito tra i due contendenti si sono ridotte, a ben vedere, a dimensioni tutt’altro che laceranti, i loro rapporti sono diventati ancora più aspri. Lo si è capito quando Berlusconi si è detto compiaciuto della marcia indietro di Fini, provocando una reazione stizzita da parte del suo interlocutore, sfociata poi in una serie di recriminazioni reciproche che hanno reso plastica la sensazione di incomunicabilità e di reciproca incomprensione. Non è chiaro quali saranno le conseguenze concrete di questo stato di cose. Berlusconi non sopporta che le critiche politiche di Fini vengano amplificate dalla sua carica istituzionale, che a suo parere le renderebbe improprie, ma non ha modo di impedire che il controcanto di Gianfranco prosegua dalla poltrona più alta di Montecitorio. Fini, per parte sua, rivendica uno spazio per l’espressione di un dissenso permanente all’interno delle strutture dirigenti del partito, ma non ha la forza (si ritrova solo una dozzina di fedelissimi al suo fianco) per imporre modifiche alla prassi e allo statuto del PdL. Situazione da separati in casa con pratiche divorziste in pieno sviluppo. Quel che è certo è che la prima fase della vita del partito del predellino, ingessata in un rapporto predeterminato tra dirigenti provenienti dalle formazioni confluite, è terminata. E che dall’avvio dei congressi territoriali si determineranno i rapporti di forza interni, in base al consenso raccolto da quelle che (si voglia o no) appaiono come correnti legate ai due leader contrapposti. Il Popolo della Libertà si trova ad affrontare un problema classico nella vita dei partiti, quello di una democrazia interna nella quale si tende ad esprimere liberamente la pluralità delle posizioni. Un evento inevitabile in un partito che aspira a esercitare la funzione di raccolta dell’ampia ma variegata area dei moderati, cercando di evitare che l’esasperazione di un dissenso permanente assuma caratteri spettacolari tali da offuscare il carattere unitario e l’efficacia dell’azione politica e di governo. Se questa dialettica si esprimerà in un clima di partecipazione diffusa e aperta al confronto, uscendo dalla contrapposizione personale all’interno di un ceto politico ristretto, probabilmente potrà agire positivamente, come strumento per il chiarimento delle scelte politiche e per la selezione e il ricambio della classe dirigente. Se invece resterà confinato in un ambito più elitario si rischia di perpetuare una conflittualità legata alla competizione per la leadership, peraltro non attuale, che difficilmente può giungere a una sintesi o a una soluzione utile al Pdl e all’equilibrio del sistema bipolare, tenuto conto della tempra padronale di cui è fornito il Pifferaio di Arcore. Per quel che riguarda, invece, le prospettive del processo di riforma istituzionale, queste sono legate oggi più di ieri alle scelte che faranno le formazioni di opposizione, in particolar modo al PD di Bersani, alle quali l’esplosione del dissenso interno al PdL offre una possibilità di incidere in modo più determinante, aumentando la loro responsabilità e ponendo anche a loro il problema di adottare scelte non semplici. Attendiamo fiduciosi l'evolversi della situazione.

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