l'Antipatico

sabato 1 agosto 2009

dalla lettera del beato Vittorio (Feltri) ai suoi fedeli


Questa è proprio una chicca imperdibile. Ripropongo passo passo, a beneficio di quei lettori (e sono tanti) che non l'hanno potuto leggere, la commovente e straziante lettera d'addio, vergata da Vittorio Feltri a quello sparuto manipolo di fedeli lettori di Libero, nella quale annuncia al mondo addolorato la sua decisione di abbandonare la guida editoriale di uno dei più autorevoli quotidiani d'Italia (non crediate di leggere tra le righe un accenno del mio sarcasmo, please) per passare, anzi per ripassare, a dirigere la bibbia di casa Berlusconi, ovvero il Giornale. Proseguendo nella sua accorta politica di svecchiamento dei ranghi giornalistici, il Cavaliere richiama al capezzale del suo giornale preferito il più giovane (66 anni, ma tanto beve acqua Lilia...) dei direttori di quotidiani sulla piazza, trombando l'oramai vecchio Mario Giordano (43 anni, lui si vede che beve qualcos'altro...) a cui ha destinato un posto prestigioso, si fa per dire, alle news di Canale 5. La bellezza di questa lettera d'addio di feltri sta, a mio parere, nella paraculaggine adottata per dare il contentino ai suoi lettori: praticamente dire le stronzate di prammatica facendo credere di aver detto solo la verità. E' un pò come il direttore del quotidiano appena insediato che scrive il suo primo editoriale promettendo, garantendo, blandendo, argomentando. Tutte amenità, ripetute e corrette, con cui Feltri ha sempre contraddistinto la sua lunga carriera (mi si perdoni l'eufemismo). Ora leggetevi la sua lettera d'addio, miei cari lettori, e preparate i fazzoletti (per asciugare le lacrime provocate dalle risate ovviamente). "Cari lettori, non nascondo imbarazzo nello scrivere questo pezzo, ma lo devo scrivere; e lo faccio secondo il mio stile diretto e sbrigativo: sto per lasciare la direzione di Libero, che insieme con un drappello di temerari ho fondato nel lontano luglio del 2000. L’impresa sembrava disperata e lo era. Aprire un giornale mentre cominciava la crisi della carta stampata, e senza un soldo, poteva costarci un ricovero coatto in una struttura psichiatrica. Non rievoco le vicissitudini dei primi tempi, quando Libero vendeva poco (40 mila copie), la pubblicità non c’era e contavamo soltanto sulla buona volontà e la paura di fallire, carburanti eccezionali almeno a giudicare dai risultati ottenuti.
La svolta avvenne nell’autunno del 2001, dopo il crollo delle Torri Gemelle a New York. La proprietà della testata passò alla famiglia Angelucci e grazie al loro entusiastico e generoso sostegno riuscimmo in pochi anni a crescere (gradualmente) fino a diventare ciò che ora siamo: un grande quotidiano di opinione, riferimento per chi non sia stato inghiottito dal conformismo di sinistra. So che vi domanderete: ma se Libero va bene, come tu affermi con tanta sicurezza, ci vuoi spiegare perché gli volti le spalle? Rispondo. Me ne vado proprio per questo: non sono tipo da abbandonare la nave in difficoltà, sotto la tempesta; preferisco scendere nel momento in cui il mare è calmo e l’equipaggio e i passeggeri brindano sereni, guardano al presente e al futuro sorridendo. È un vezzo? Forse sì e vi chiedo perdono, e di comprendermi: compiuta la missione, tocca ad altri andare avanti. Come vedete non ho recriminazioni né rivendicazioni da fare. Ho un gran desiderio di cambiare, cambiare aria. Comunque non mi ritiro in pensione. Dal 24 agosto prossimo, dirigerò il Giornale. Torno a casa, la casa che ereditai da Montanelli, dove mi auguro di rendermi utile come accadde la prima volta che vi entrai. Ringrazio i lettori per avermi sempre seguito, oso dire con affetto che penso di aver ricambiato se non meritato. Ringrazio, se mi è permesso, i miei giornalisti e tutti coloro che hanno collaborato al successo di Libero, in primis la famiglia Angelucci della quale rimango a disposizione affinché gestisca con calma la successione. Vado, non scappo, sia chiaro. La vita continua e i giornali pure".

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