l'Antipatico

mercoledì 6 maggio 2009

sicurezza blindata & presidi spioni


Ancora una volta una legge partorita dalle menti contorte (e a volte filorazziali) di esponenti della Lega Nord finisce per scatenare lo scontro politico e parlamentare che non può che inquinare sempre di più il rapporto tra maggioranza e opposizione. Il faticoso cammino parlamentare del disegno di legge sulla sicurezza preoccupa più di un membro del governo, a cominciare dal ministro dell’Interno, rivelandosi alquanto tortuoso e irritante. A Montecitorio, soprattutto per le parti riguardanti la disciplina dell’immigrazione straniera in Italia, il testo è stato letto, riletto e sottoposto a lenti d’ingrandimento utilmente rafforzate: basti pensare a quelle usate in prima persona dallo stesso presidente della Camera, ma anche a quelle proposte a più riprese ai deputati di maggioranza e di opposizione da un gruppo di realtà associative e di volontariato (tipo ACLI, CARITAS e Comunità di S. Egidio). Grazie anche a ciò, il ddl ha subìto correzioni importanti, tali da evitare che nello sforzo di perseguire più sicurezza si commettessero almeno un paio di strafalcioni giuridici e d’ingiustizie civili. L’opportuna caduta di norme ed emendamenti sui cosiddetti medici-spia e presidi-spia va salutata, insomma, con soddisfazione. Nel merito, è la conferma che sanità e istruzione non possono essere ridotte a terreno per operazioni di pubblica sicurezza. E, quanto al metodo, è la dimostrazione di come anche su tematiche improvvidamente trasformate in questioni-bandiera sia possibile ragionare e cambiare parere. Ora però si profila un altro rischio: che riflessioni e messe a punto finiscano di colpo e che il testo venga congelato così com’è dalla richiesta di una piccola serie di voti di fiducia. Il ministro Maroni teme, e lo dice senza giri di parole, imboscate. E chiaramente pensa ai non pochi alleati perplessi, e a loro volta preoccupati, da un’operazione legislativa dalla più che certa paternità leghista, ma dagli esiti incerti. Domani se ne saprà di più. Posso però dire sin d’ora che quest’irrigidimento (e quest’accelerazione dell’iter) resta sicuramente un grave errore. In grado di rivaleggiare con quello che si potrebbe considerare il peccato d’origine del ddl. Un sistema di norme che tende a proporre allo straniero immigrato in Italia una sorta di percorso a ostacoli da superare per restare in questo Paese piuttosto che regole chiare verso un’integrazione da ricercare per convenienza e per convinzione. Di quale altra logica, infatti, è frutto l’allungamento da 6 mesi a 2 anni del tempo necessario a chi sposa un italiano o un’italiana per richiedere la nostra cittadinanza? Se il punto sono i matrimoni di comodo, non è questo il modo per contrastarli. Così come non si capisce perché, per poter sposare una cittadina indiana o sudafricana o venezuelana, un cittadino italiano dovrebbe esibire il permesso di soggiorno della futura signora. Di questo passo s’incentiverà una nuova forma di luna di miele: quella che comincia prima delle nozze, da celebrarsi rigorosamente fuori dall’Italia. E senza escludere la possibilità del raggiro: non è poi tanto azzardato immaginare vacanze pagate sull’altro lato del Mediterraneo in cambio di matrimoni combinati e a tempo. E poi, siamo sicuri che il reato di clandestinità possa essere la base di un sistema di regole che riduca al minimo l’incresciosa e spesso drammatica vita di tanti semi-cittadini che hanno un po’ di diritti (in quanto esseri umani) e un po’ non ne hanno (in quanto irregolari)? Siamo sicuri che quel reato e una sequela di balzelli annuali aggiuntivi (tra 80 e 200 euro) diventeranno il muro in grado di arginare il fiume d’umanità che si riverserà sul Vecchio Continente nel prossimo mezzo secolo? In Italia, nel 2060, i neo-italiani provenienti da altre parti del mondo saranno circa il 20% della popolazione. Italiani di origini non autoctone, eppure qui radicati, eppure qui desiderosi di stare, eppure (sperabilmente) capaci di dare un sapore nuovo e buono allo straordinario impasto sociale del Bel Paese. È concepibile immaginare quella società, la nostra società, tenuta insieme per sospetto e con fatica, da un reticolato di muri e muretti da vigilare e da saltare? È mai possibile che non si lavori (già qui e ora) affinchè sia chiaro a tutti che legalità significa accoglienza e non ostilità, e che non c’è accoglienza se si incentiva l’isolamento di gruppi e di persone e se si ostacolano le solidarietà familiari? Queste domande sono la risposta a chi si chiede perché è giusto che il cammino parlamentare del disegno di legge sulla sicurezza continui per la sua via naturale, senza forzature e senza blindature. Con la fatica e i ripensamenti necessari. C’è una questione di fiducia più grande, che riguarda il futuro di tutti noi. E va affrontata.

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