la festa del lavoro (che non c'è più)
Ha ancora un senso dedicare il 1° maggio alla cosiddetta Festa del lavoro in un millennio che vede sempre più scomparire lavoro e lavoratori, inghiottiti inesorabilmente dai tentacoli di quel mostro chiamato recessione, crisi economica globale, povertà totale? Io credo che sia anacronistico continuare a festeggiare una data simbolo che non va più di pari passo con la realtà storica e sociale del nostro Paese (e del mondo intero). Quante incognite, quanti dolori, quante responsabilità gravano su questo 1° maggio 2009, uno dei più difficili della moderna storia del lavoro. Si è soliti dire: festa del lavoro, e il termine festa appare sproporzionato di fronte alle difficoltà dell’oggi, se non di cattivo gusto. Eppure, non dimentichiamolo, la festa dei lavoratori nasce in ricordo di una tragedia (la strage di Portella della Ginestra). Proprio per affermare che drammi come quello che ha dato origine alla giornata non debbono più accadere, la ricorrenza del 1° maggio diventa, ben presto, espressione di riscatto, di voglia di vivere, di conquista di condizioni migliori di vita. Valori positivi e programmatici. Giustizia, libertà, solidarietà, cittadinanza e pace, sono le grandi parole d’ordine di ogni 1°maggio. Più che concetti, sono ideali, speranze, opportunità da condividere con gli amici, con i compagni di lavoro e di credo politico, con tutti coloro che li assumono come riferimenti universali. Ecco che così prende corpo la festa. Ed ecco, così, spiegata anche la grande forza simbolica del 1°maggio, accresciuta dalla rara caratteristica che il 1°maggio è una festa globale: una delle poche ricorrenze che viene celebrata lo stesso giorno in molti paesi ed ha ovunque lo stesso significato, nella buona e nella cattiva sorte. Inutile nascondercelo, le difficoltà sono enormi quest’anno. La gravità della crisi tiene banco da mesi nelle cronache e la via di uscita non è a portata di mano. Da qualche anno, giustamente, si è avviata una riflessione sul cambiamento profondo, antropologico, del lavoro, della sua organizzazione, del suo senso. Ora, all’improvviso, dobbiamo discutere del lavoro che non c’è! Il lavoro perduto e il lavoro cambiato si fondono in un’unica prospettiva strategica, in una sfida che la crisi rende più acuta. Ma la crisi, almeno, sta rendendo tutto più chiaro: a cominciare dal fatto che la colpevole speculazione finanziaria non spiega tutto. Spiega di più la iniqua distribuzione del reddito che ha fatto del finanziamento al debito per le famiglie una trappola micidiale. Spiega di più la follia di una gestione economica dello sviluppo che, mentre esaltava la globalizzazione (dunque l’interdipendenza), aumentava le disuguaglianze. Nel mondo ci sono un miliardo di persone prive di acqua e dell’essenziale, ma sono ben di più quelle che sono fuori dai circuti del benessere. Il tema che la crisi ci pone è, dunque, il modello di sviluppo e le sue regole. Il capitalismo è cambiato e oggi ha bisogno di vivere una nuova stagione nella quale si avanzi verso un nuovo equilibrio capace di creare e diffondere benessere, rifuggendo dai fallimentari rigurgiti liberisti. Il coraggio di guardare in faccia la crisi significa il coraggio di guardarvi oltre. Non perché ne siamo fuori, ma perché ne usciremo solo immaginando e costruendo un nuovo mondo. Tocca alle forze progressiste e riformiste, che devono fare definitivamente i conti con la modernità. Tocca ai sindacati, che debbono ritrovare le ragioni della comune missione, Tocca agli imprenditori, che debbono dimostrare che è possibile tenere insieme competitività e giustizia sociale. Tocca a ciascuno di noi, in definitiva, la responsabilità, il compito di indicare la strada, di ridare fiato ad una speranza. Rendere visibile questo orizzonte è il senso più genuino di questo difficile 1°maggio. E che siano i giovani, innanzi tutto, i protagonisti ai quali far pervenire questo messaggio di futuro. Che resti, dunque, anche nelle ansie di questi momenti, la magìa del 1°maggio. La magìa di un giorno di festa.
2 Commenti:
Buongiorno.Sono d'accordo sul capoverso dove dici che le forze riformiste e progressiste devono impegnarsi per una trasformazione equa della società.Purtroppo le varie suddivisioni non aiutano.Ad ogni modo questa è l'unica strada.Mauro.Un carissimo saluto.
Di Anonimo, Alle 02 maggio, 2009 12:37
Grazie del tuo intervento, carissimo MAURO, come al solito sintetico ed intelligente oltre che pertinente. Non vorrei ripetermi ma la situazione, soprattutto dal punto di vista del lavoro, è veramente allarmante. E non vedo all'orizzonte volontà e capacità nel soluzionare il problema. Spero proprio di sbagliarmi. Un affettuoso saluto.
Di nomadus, Alle 02 maggio, 2009 16:14
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