il vero volto del Paese
Spero di non annoiare il lettore di questo blog ma in questa domenica di aprile (la penultima del mese) ho voglia di tornare a fare qualche riflessione sul post-terremoto, su come l'Italia ha reagito (emotivamente e praticamente) ad un dramma che nessuno vorrebbe mai vivere nella propria vita. Mi sono chiesto oggi: è questa la vera Italia che non ti aspetti? No, mi sono risposto. È proprio l’Italia che conosco, che amo visceralmente, che ti sorprende e ti ammalia quando pensi di conoscerla oramai da tempo, perché la gente è migliore di quanto realmente non si riesca a descriverla e di quanto la politica riesca a rappresentarla. La gara della solidarietà consola davanti alla desolazione e alla morte, ma è anche un antidoto alla tragedia. La gente d’Abruzzo non è sola, e questo fa bene a chi ha perso tutto nell’ora più drammatica della vita.
È una speranza per questo Paese, per la sua gente. È su di essa che bisogna investire. Sulle sue famiglie, sui suoi bambini, sui suoi anziani, sulla memoria di altri riscatti, dal dopoguerra alle tragedie nazionali. Non è il Paese depresso e chiuso in se stesso. È quello che sa reagire alla terra che scuote le case e alla crisi che rende cupo il futuro. È il Paese che dona, che mette in piedi cooperative sociali e tiene allenate organizzazioni di volontariato che si rivelano preziose nel terremoto e nella quotidiana lotta contro la povertà. La solidarietà non si improvvisa. È conficcata nel cuore della gente, anche se a volte qualcuno cerca di renderla cattiva, organizzando fazioni e partigianerie, sollecitando divisioni in un Paese che, invece, ha sempre anelato l'unità nazionale. Il terremoto rende tutti uguali, ragionava nei giorni scorsi il vescovo dell’Aquila, monsignor Giuseppe Molinari. Vale per la gente d’Abruzzo, vale per l’Italia intera.
Dal terremoto in Abruzzo potrebbe ripartire il riscatto di tante paure e divisioni che, nei mesi scorsi, hanno spaccato la politica e inquietato il Paese. Davanti alla tragedia nessuno s’è arreso o tirato indietro. Spettacolo sorprendente di unità e coesione nazionale, che ha fatto emergere valori condivisi, e riallacciato il filo spezzato nella società. Patrimonio straordinario da non disperdere, soprattutto in un mondo in cui nulla ormai si fa per niente. Dopo questa prova di forzata coesione e di inevitabile buon governo la gente non capirebbe il ritorno al teatrino politico delle tensioni banali e inutili, che per ragioni di bottega sperpera 400 milioni di euro non votando nello stesso giorno per le amministrative e il referendum; o il ritorno all'Italia dei furbi e dei mascalzoni che speculano impunemente sulle costruzioni, mettendo a rischio migliaia di vite umane. Meno male che nella piana dell’Aquila è andata in scena la solidarietà del Paese. Anzi, l’impeto s’è dovuto frenare, per evitare confusione e intasamenti. C’è un Paese poco descritto dai giornali, la cui esistenza emerge solo di fronte alle grandi tragedie. Ma nulla s’improvvisa, nemmeno la bontà. In questo Paese c’è un tessuto sociale, di cura, di vicinato, di amore, che resiste allo sfilacciamento di chi si applica a inventare continue divisioni, tensioni e conflitti. Non è l’Italia buonista, termine ambiguo che serve a qualcuno e irrita altri. È l’Italia buona, perché è un Paese serio e responsabile. Nonostante la sua Tv, i suoi giornali, gli intrighi di Palazzo e di potere politico ed economico. Forse, la crisi ha contribuito alla vicinanza maggiore con chi soffre, ha spezzato confini, ha aumentato la generosità. Ma, forse, giova anche l’esempio della gente d’Abruzzo, che non ha aspettato le ruspe per scavare, né le tende blu della protezione civile per gli accampamenti. Chi è uscito indenne dalla scossa ha tratto in salvo il vicino, gli studenti universitari hanno tirato fuori i vecchi dagli ospizi. Non si sono visti eroi in Abruzzo, non lo sono nemmeno i vigili del fuoco che si sono infilati tra le macerie pericolanti per salvare le vite. È solo andata in scena la normalità della gente, che non vuole più tornare agli antichi vizi del Paese.
È una speranza per questo Paese, per la sua gente. È su di essa che bisogna investire. Sulle sue famiglie, sui suoi bambini, sui suoi anziani, sulla memoria di altri riscatti, dal dopoguerra alle tragedie nazionali. Non è il Paese depresso e chiuso in se stesso. È quello che sa reagire alla terra che scuote le case e alla crisi che rende cupo il futuro. È il Paese che dona, che mette in piedi cooperative sociali e tiene allenate organizzazioni di volontariato che si rivelano preziose nel terremoto e nella quotidiana lotta contro la povertà. La solidarietà non si improvvisa. È conficcata nel cuore della gente, anche se a volte qualcuno cerca di renderla cattiva, organizzando fazioni e partigianerie, sollecitando divisioni in un Paese che, invece, ha sempre anelato l'unità nazionale. Il terremoto rende tutti uguali, ragionava nei giorni scorsi il vescovo dell’Aquila, monsignor Giuseppe Molinari. Vale per la gente d’Abruzzo, vale per l’Italia intera.
Dal terremoto in Abruzzo potrebbe ripartire il riscatto di tante paure e divisioni che, nei mesi scorsi, hanno spaccato la politica e inquietato il Paese. Davanti alla tragedia nessuno s’è arreso o tirato indietro. Spettacolo sorprendente di unità e coesione nazionale, che ha fatto emergere valori condivisi, e riallacciato il filo spezzato nella società. Patrimonio straordinario da non disperdere, soprattutto in un mondo in cui nulla ormai si fa per niente. Dopo questa prova di forzata coesione e di inevitabile buon governo la gente non capirebbe il ritorno al teatrino politico delle tensioni banali e inutili, che per ragioni di bottega sperpera 400 milioni di euro non votando nello stesso giorno per le amministrative e il referendum; o il ritorno all'Italia dei furbi e dei mascalzoni che speculano impunemente sulle costruzioni, mettendo a rischio migliaia di vite umane. Meno male che nella piana dell’Aquila è andata in scena la solidarietà del Paese. Anzi, l’impeto s’è dovuto frenare, per evitare confusione e intasamenti. C’è un Paese poco descritto dai giornali, la cui esistenza emerge solo di fronte alle grandi tragedie. Ma nulla s’improvvisa, nemmeno la bontà. In questo Paese c’è un tessuto sociale, di cura, di vicinato, di amore, che resiste allo sfilacciamento di chi si applica a inventare continue divisioni, tensioni e conflitti. Non è l’Italia buonista, termine ambiguo che serve a qualcuno e irrita altri. È l’Italia buona, perché è un Paese serio e responsabile. Nonostante la sua Tv, i suoi giornali, gli intrighi di Palazzo e di potere politico ed economico. Forse, la crisi ha contribuito alla vicinanza maggiore con chi soffre, ha spezzato confini, ha aumentato la generosità. Ma, forse, giova anche l’esempio della gente d’Abruzzo, che non ha aspettato le ruspe per scavare, né le tende blu della protezione civile per gli accampamenti. Chi è uscito indenne dalla scossa ha tratto in salvo il vicino, gli studenti universitari hanno tirato fuori i vecchi dagli ospizi. Non si sono visti eroi in Abruzzo, non lo sono nemmeno i vigili del fuoco che si sono infilati tra le macerie pericolanti per salvare le vite. È solo andata in scena la normalità della gente, che non vuole più tornare agli antichi vizi del Paese.
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page