l'Antipatico

sabato 18 aprile 2009

la battaglia (da non perdere) sul referendum


A volte su certe questioni bisogna schierarsi apertamente, senza indugi e senza inganni. Chi scrive ha sempre espresso chiaramente delle opinioni (condivisibili o meno) sulle tematiche politiche e sociali, in particolar modo su questo blog. Ora non posso esimermi dal fare un post sul delicato argomento del referendum. arma democratica che la maggioranza dei berlusconiani (ma soprattutto i leghisti con Bossi in testa) teme e non poco. Che poi tra le comunità degli elettori e degli eletti non corra propriamente buon sangue non è certo un’opinione granché originale né sporadica. Del resto, è un fenomeno presente nelle democrazie in genere, vale a dire nei sistemi nei quali gli stati d’animo si possono esprimere. Un po’ meno ovvia e scontata è un’altra considerazione, relativa a quale della due comunità ami (o meglio, sopporti) maggiormente l’altra. Personalmente credo che sia meglio, al riguardo, non basarsi sulle apparenze e sulle dichiarazioni (che sarebbero fuorvianti) ma attenersi strettamente ai comportamenti, agli atti. Il corpo elettorale, di buono o cattivo grado (magari brontolando intorno ai privilegi presunti, spesso ingigantiti, e comunque gravi solo per l’abbinamento con la modesta qualità e l’insussistente autonomia del personale politico) il suo dovere lo ha sempre fatto, fin troppo disciplinatamente. Dall’altro lato, dal lato della politica, al di là delle tante promesse, è in atto un’opera di escavazione ininterrotta, quasi sfacciata, degli elementi che formano la sovranità popolare, nobile formula costituzionale in via di estinzione. L’escavazione è ormai pressoché ultimata in ordine alle due funzioni di maggior contenuto costituzionale: la selezione della rappresentanza parlamentare, con chiari progetti di estensione alle altre rappresentanze, per le prossime elezioni europee e amministrative; e l’ultimo grado di giudizio sulla legislazione, attraverso il referendum abrogativo. Mi occupo proprio di quest’ultimo, perché della prima si è parlato un bel po’, e non resta che attendere che se ne accorgano, dell’espropriazione, gli elettori, i diretti interessati, che sembra osservino una questione che riguardi i partiti, e i rapporti tra gli stessi. Tralasciando, per problemi di spazio e di tempo, due altri istituti di democrazia cosiddetta diretta: le proposte di legge di iniziativa popolare, sorellastre sfortunate del referendum, e le sconosciute petizioni. Voglio parlare di referendum abrogativo in generale, non segnatamente di quello appena calendarizzato, cominciando con il constatare che anche qui si pratica sempre più un inganno che gli elettori non sembrano avvertire come esercitato su di loro. Senza farla lunga (e se la mia formazione scolastica non m'inganna), il referendum abrogativo è collocato, nella Costituzione, nella sezione dedicata alla formazione delle leggi. Siamo quindi dentro il procedimento legislativo, che si allunga fino a vedere un ultimo grado nel giudizio popolare, definitivo e decisivo, quando lo vogliano un bel po’ di elettori. Non, quindi, un gruppo di scalmanati, pannelliani o segniani che siano, animati da furore antiparlamentare, quindi qualunquisti o chissà cos’altro. No, nulla di tutto ciò: ma un bel po’ (e ce ne vuole, per sicurezza, quasi un milioncino) di cittadini che sanno che la Costituzione assegna al corpo elettorale un ruolo di chiusura della funzione legislativa, quello di decidere della sorte di una legge. C’è a mio modesto avviso, in questa semplice e inoppugnabile lettura dell’articolo 75 della nostra Costituzione, qualcosa che stride leggermente (ma mica tanto) con le pulsioni antipopolari che animano quasi tutte le diverse fasi del procedimento, fino al paradosso dell’invito all’astensione, cioè alla rinuncia all’esercizio di un diritto-dovere che è una vera funzione costituzionale. Non si può pretendere, da chi fatica a ritrovarsi nella lettera della Costituzione, che si risalga ai lavori che quella Costituzione hanno plasmato, per assorbire lo spirito dei diversi istituti. Ma è anche difficile accettare acquiescenti che la cautela della fissazione di un quorum di partecipanti (diretta a stabilire il reale coinvolgimento del corpo elettorale) sia manipolata fino a diventare procurato disinteresse, spesso per via della disinformazione e della mancata conoscenza, nella competizione tra le forze politiche. La breve storia dei referendum è una storia anche di soprusi, con la capziosa estensione della tassativa elencazione costituzionale degli oggetti da escludere; con violazioni dei deliberati referendari anche plateali (ministeri abrogati e immediatamente rianimati, finanziamenti alla politica beffardamente mantenuti contro il volere schiacciante della stragrande maggioranza degli elettori, quorum negati per negligenza nella manutenzione delle liste degli aventi diritto) e tanto d’altro, nello stesso senso. Senza che nessuno abbia titolo, nemmeno i comitati referendari, pomposamente definiti potere dello Stato fino al giorno del voto, ma osservatori muti e spogliati dal giorno successivo, a opporsi con il ricorso alla Corte Costituzionale, negato, alle scorribande ripristinatrici del Parlamento. Un bel paradosso: il Parlamento contro i cittadini. In Italia si può. Nel valutare se esiste una disaffezione dei cittadini nei confronti del referendum abrogativo, nell’interpretare in questo senso la calante partecipazione, è corretto calcolare, oltre all’istigazione politica a disertare le urne, da quel fatidico invito balneare del 1991 e del 1993, la consapevolezza dell’improduttività del risultato, quello vittorioso. Nel merito di questo referendum, appaiono non prive di sostanza le diffuse critiche al meccanismo ultrapremiante per la lista più votata. Nell’angolo, però, seminascosto e quasi ignorato, c’è un altro, piccolo quesito, che mi ricorda, per l’apparente esilità, quello sulla preferenza unica del 1991. Un quesito sul quale gli stessi promotori erano incerti se insistere o meno, dopo la falciata della Corte Costituzionale, e che fu il detonatore di quelli del 1993. Il quesito di oggi riguarda il divieto della candidature multiple, un malvezzo, quasi un raggiro nei confronti degli elettori, padre naturale, probabilmente, della lista bloccata. Suggerisco, sommessamente, di darci un’occhiata prima di scartarlo. Almeno finchè si è in tempo...

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