interventismo & propaganda
Questa tragedia in terra d'Abruzzo ha fatto scattare ancora una volta la molla speciale che distingue il popolo italiano: quella della vera unità nazionale, senza confini e senza distinzioni etniche, geografiche o politiche. L’unità nazionale raggiunta in questi giorni è un bene prezioso. È indispensabile che, in un momento di difficoltà estrema, coloro che sono in prima linea (volontari, soccorritori, amministratori) abbiano nella politica un punto di riferimento certo, non controverso, non macchiato da sospetti o dilaniato da polemiche. È un fatto di dignità, ma anche di affidabilità, di fluidità delle decisioni: in definitiva di efficienza dell’intervento pubblico. La scossa forte di ieri sera delle 19 e 42 (avvertita anche a Roma, anche a Montecitorio) è un monito: ci siamo ancora in mezzo, uscire da questo dramma non sarà né breve né piacevole. Uno stato di tregua politica, soprattutto se si instaura alla vigilia di una campagna elettorale, necessita però di due requisiti: la trasparenza su come stanno andando le cose e la rinuncia alla minima tentazione di strumentalizzare ciò che accade. Per quanto riguarda il primo punto, è giusto mettere in evidenza la relativa rapidità dei soccorsi, anche di fronte alla comprensibile esasperazione di tante persone colpite. Se però ci sono delle zone grigie dell’intervento, dei luoghi o degli aspetti critici, anche questo deve essere riconosciuto, per poter affrontare i problemi nel modo migliore e senza infingimenti. Qui citiamo solo due interrogativi: la forza militare è stata impiegata al suo massimo? E qual è la condizione effettiva, uomini e mezzi, del corpo dei vigili del fuoco? Anche l’invito rivolto ieri dal Pifferaio di Arcore alle famiglie aquilane non lascia perplessi solo per la solita colorita fraseologia («andate al mare, paghiamo noi, portatevi le creme»), ma ancor di più perché allude, dandolo per scontato, a una precisa modalità di seconda fase: l’allontanamento delle popolazioni dai luoghi colpiti. Può darsi che per qualcuno sia la cosa inevitabile da fare, ma non c’è dubbio che questa decisione debba essere elaborata, condivisa, motivata, specificando tempi e modi del ritorno alla normalità. E lasciando perdere espressioni gergali come new town, con gente che è orgogliosa di vivere nella propria bella old town e pretende di continuare a farlo in sicurezza. Poi c’è il rischio delle strumentalizzazioni. Qui il discorso si fa ancora più difficile e delicato, perché nell’attività dei politici è sempre molto labile la distinzione fra gesti compiuti nell’interesse collettivo e operazioni dettate dal calcolo di parte. Quando poi c’è di mezzo il Pifferaio, la distinzione diventa al limite dell’impossibile. Avendo alle spalle casi drammatici e vergognosi di latitanze governative da situazioni d’emergenza, non si può che dire che la presenza all’Aquila del presidente del consiglio sia un fatto criticabile. Anzi. Se non è di intralcio agli interventi (e ieri non lo è stato, per fortuna...) la visibilità del capo del governo può funzionare da rassicurazione verso le vittime e da stimolo, perfino in funzione di controllo, verso la macchina dei soccorsi. Poi, certo, è difficile chiedere al Berlusca di non essere Berlusca. Dunque vanno prese per quello che sono sia le battute sugli sfollati al mare (a patto che la questione sia trattata seriamente a parte, e col concorso dei rappresentanti locali della popolazione) che la specifica «paghiamo noi», dove per noi si intende lo Stato italiano, anche se il Pifferaio fa intendere le proprie tasche. Vista la piena fiducia che il presidente del consiglio ripone nel commissario Bertolaso, rimane il dubbio sulla effettiva utilità, da oggi in poi, di una quotidiana presenza del Caimano fra gli sfollati oltre che davanti alle telecamere delle troupes inviate in Abruzzo. È chiaro che il premier gioca il bis dell’emergenza rifiuti a Napoli, che fu un mix di sacrosanto interventismo e di operazione propagandistica. In un caso tragico come l’attuale c’è una soglia oltrepassata la quale la doverosa e meritoria vicinanza alle popolazioni colpite si trasforma in passerella fastidiosa, eccessiva, in definitiva sospetta in un momento pre-elettorale. Che la scivolata sia sempre dietro l’angolo s’è visto del resto ieri alla Camera, dove si discuteva del pacchetto sicurezza e dove il ministro Maroni (e una parte della destra) ha vistosamente cercato di approfittare dell’emergenza abruzzese per neutralizzare l’opposizione alle misure più assurde di quel provvedimento. Anche Maroni ha la sua campagna elettorale e le sue operazioni di immagine da sfruttare. Ma anche nel suo caso c’è in ballo la credibilità di una istituzione in un momento critico, qualcosa di più grande di quattro voti da raccattare nelle valli padane. Dopo una tragedia di queste proporzioni, la gestione dell’emergenza e la ricostruzione sono operazioni di grande complessità. Vengono coinvolti tanti livelli, nazionali e locali, tanti Enti, tanti soggetti pubblici e privati, tanto volontariato. La competenza, la passione, le risorse economiche, lo spirito di sacrificio e di solidarietà vengono messi a disposizione di un obiettivo comune, più alto di qualsiasi interesse politico. Il giorno che tutto ciò venisse sviato, distorto, tradito, il boomerang per chi si fosse reso colpevole di un simile atto sarebbe terribile. E doloroso.
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