ma è davvero una partita persa?
La campagna elettorale aperta in pompa magna dal cavaliere nel week end scorso mi induce a fare una riflessione, che poi è la stessa che dà il titolo a questo primo post del mese di aprile. Dalle prime battute della virtuale campagna elettorale appena iniziata una cosa già si è capita: che alla fine i riflettori si punteranno tutti sull’inedito big match fra Popolo della Libertà e Partito Democratico. A prima vista sembrerebbe un’ovvietà ma non è così. Per la ragione che fino a qualche giorno fa lo scenario politico pareva più mosso, con un PD dato in caduta libera e altri soggetti pronti a spolparne i resti: Di Pietro, Vendola, Ferrero. Con la Lega fortissima, l’UDC sugli scudi e magari il ritorno di fiamma di qualche lista nera anti PdL. Intendiamoci, sono cose con cui fare i conti. Però poi sono accadute due cose: la compiuta ristrutturazione della destra con la nascita del Popolo della Libertà e il rialzarsi del PD dopo il knock out della Sardegna e le successiva crisi del vertice. È senz’altro inutile domandarsi se la sensazione di un Partito Democratico tornato di nuovo in campo corrisponda alla realtà: questo lo sapremo solo con i risultati elettorali in mano. Però già si può dire con sufficiente certezza che la leadership di Dario Franceschini si è affermata in poco tempo, nel partito e anche nell’opinione pubblica: e la cosa è molto importante, essendo noto che la vitalità e la forza di un partito dipendono in misura enorme dalla forza e dalla vitalità del suo leader. Anche per questo il segretario del PD si vuole caratterizzare come l’antagonista numero uno del ifferaio di Arcore: fino allo scontro personale, alla scelta della sfida, all’uso dell’aggettivazione pesante e persino cattiva (il «vecchio dentro») e pure un po’ irridente («Oggi meglio lasciarlo stare, non vorrei che si agitasse troppo»). Un picchiare duro sulla figura di un capo del governo additato o come incapace (vedi alla voce crisi) o potenzialmente pericoloso (vedi i riferimenti alle «cose inimmaginabili» se il caimano vincesse alle europee) e comunque incline alla «vergogna» (vedi la feroce critica alla sua candidatura). È chiaro che l’antiberlusconismo di Franceschini va spiegato con l’ansia di recuperare i consensi dei delusi nei confronti di un PD giudicato blando, se non addirittura incapace di fare opposizione, ed è certo che solo in questo modo i democrats potranno presentarsi all’elettorato dicendo: l’argine al dilagante berlusconismo siamo noi e soprattutto noi. La domanda, piuttosto, è se l’antiberlusconismo del leader del PD non si nutra anche di quegli ingredienti che per esempio fecero robusta la leadership di Romano Prodi e che rimandano alla stagione preveltroniana dell’ulivismo. Può benissimo darsi che l’idea si riveli giusta e il calcolo esatto. Può benissimo darsi che un’Italia tendenzialmente bipartitica abbia bisogno di un propellente di questo tipo. E può benissimo darsi che questo tipo di antiberlusconismo del PD non finirà l’8 giugno. Nell’attesa, personalmente, non posso fare altro che incrociare le dita.
2 Commenti:
Si devo dire che per quello che si vede, Franceschini mi pare stia facendo le mosse giuste, anche perché non è immaginabile altra opposizione al Pifferaio...Il buonismo di Veltroni non ha pagato e nn avrebbe mai funzionato, visto l'elemento. Con quel tipo di gente bisogna andarci giú duro. Senza sconti. Speriamo
Di Davide, Alle 02 aprile, 2009 18:00
Caro DAVIDE, è sempre un piacere leggere i tuoi commenti, indipendentemente dalla lunghezza e dalla tematica trattata. Tramite SHINYSTAT mi accorgo quando dalla Spagna un utente che utilizza Firefox 3x come browser e Windows Vista come OS entra (a volte anche in orari antelucani, la movida lo permette...) e mi legge. E sono felicissimo di questo, perchè sapere che un nuovo amico continua a seguire e a commentare i miei post non fa che inorgoglirmi. E mi mette di buon umore per tutta la giornata. Anche se era nata storta....Un affettuoso saluto da nomadus.
Di nomadus, Alle 02 aprile, 2009 18:13
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