l'Antipatico

domenica 3 maggio 2009

La distruzione dei miraggi


Mi pare doveroso aprire questo post, dopo l’opportuna citazione di Nomadus: la terribile situazione ecnomica spagnola purtroppo per me non è nessuna sorpresa, anche se si può catalogare effettivamente come una delusione. Per me, come per migliaia di altre persone che sono emigrate in questo Paese per migliorare la propria condizione, attratti dal dinamismo di un’economia che per anni non ha smesso di crescere e di generare posti di lavoro e benessere. Per non parlare del popolo spagnolo, che assiste allo sgretolamento del benessere creato in questi anni e al configurarsi di uno scenario a tinte molto fosche, dai contorni confusi e caratterizzato da un’incertezza sconsolante. La crisi economica mondiale sta colpendo molto duramente questo modello, balzano agli occhi di tutti i dati pessimi della disoccupazione, di gran lunga i peggiori dell’eurozona e forse anche a livello mondiale. Cosa è successo? Cosa si sta sviluppando? Cosa succederà? Di certo non sono un economista, ma le dinamiche che hanno portato a questo stato di cose, in linea di massima sono comprensibili a chi abbia un minimo di spirito critico e di conoscenze storiche. La Spagna è uscita alla fine degli anni 70 da quarant’anni di dittatura che ne avevano fossilizzato in gran parte la crescita economica, insieme ovviamente a quella culturale e sociale. Con l’avvento della democrazia, attraverso gli anni della Transizione, si è innnescato un processo di crescita accelerata che, benchè facendo i conti con un’arretratezza concentrata nel settore agricolo e delle infrastrutture, ha portato a un rapido miglioramento generale, paragonabile al nostro boom economico degli anni 60. Insieme al forte impulso del turismo, la decade che va dagli anni 80 agli anni 90 ha portato piano piano la Spagna a un ruolo sempre piu’ importante nello scacchiere europeo, costruendo benessere che via via ha attratto quantità crescenti di immigrati, in gran parte dal naturale “bacino di utenza” del Sudamerica. Insieme al miglioramento delle infrastrutture si è venuta verificando una “escalation” della costruzione, che via via ha assunto una dimensione speculativa molto grande. Si è spinto sul pedale del mattone per arricchire il Paese, gonfiando le cifre dell’economia, ma assai più spesso quelle dei costruttori e degli immobiliaristi. Qualcosa di simile, appunto, al nostro boom edilizio di 40 anni fa, ma inserito in un’ottica attuale, con tutte le conseguenze del caso. Una delle quali è stata l’afflusso massiccio di immigrati, direttamente impiegati nella costruzione delle centinaia di migliaia di villette, blocchi di appartamenti di dubbio gusto e di precario inserimento nel territorio. Il progressivo indebolimento del settore industriale, specialmente insediato nel nord del Paese, non ha fatto altro che rendere piu’ drammatico il momento attuale: l’arrivo della crisi finanziaria ha fatto esplodere di colpo la bolla speculativa; il crollo del finanziamento delle banche ha portato all’interruzione di migliaia di progetti avviati e al congelamento di contratti in finalizzazione o in progetto, provocando il crack di alcune grandi immobiliari e di grandi imprese edili, oltre alla paralisi di tante piccole medie imprese. Ma il vero problema sopraggiunge guardando alla forza lavoro che sosteneva tutto questo sistema: in primis gli operai, tra cui l’esercito di immigrati richiesti subito come forza lavoro economica e poi regolarizzati dal primo governo di Zapatero, che ora riscuotono il sussidio di disoccupazione previsto dallo Stato per chi viene licenziato per fine contratto o per licenziamento. E poi tutto l’indotto: tecnici, studi di progettazione, pubblicitari e via dicendo. Il fatto che l’economia spagnola fosse basata in modo sproporzionato sulla costruzione è il fattore primario di questi dati sconcertanti di disoccupazione. Non c’è, allo stato attuale delle cose, un settore “riserva” che possa assorbire una massa cosí grande di lavoratori, e le misure adottate dal governo appaiono onestamente troppo blande e provvisorie per garantire un effettivo miglioramento a medio lungo termine, e cito a questo proposito il famigerato “plan E”, ovvero una quantità di circa 80 milioni di euro varati principalmente per lanciare progetti di opere pubbliche che vengono promossi dai municipi, e che sanno davvero troppo del “mettere una pezza” momentanea per dare ossigeno alla fetta piu’ ingente di lavoratori disoccupati. Una volta finiti questi cantieri, cosa sará migliorato a livello strutturale? Ho avuto modo di assistere a una conferenza su ricerca e sviluppo come motore per uscire dalla crisi, dove parlava tra gli altri Paul Krugman, il premio nobel per l’economia, grande critico di Bush e della politica fallimentare dell’amministrazione USA degli ultimi anni. Questo signore descriveva senza troppi scrupoli la grave situazione in America, in Europa e specialmente in Spagna, analizzando la difficoltà speciale che avrà questo Paese per uscire da questa situazione di stallo e deterioramento. Secondo lui, la via migliore è quella di investire su un modello profondamente diverso, quello dell’innovazione, della ricerca, col fine di estrapolare nuove tecnologie e nuovi modelli di sviluppo, come ad esempio le fonti di energie rinnovabili, la creazione di tecnologie per un’industria “pulita”, la ricerca nelle biotecnologie, di brevetti rivoluzionari. Mi sembra senza ombra di dubbio la via giusta. Specialmente quando ormai è lampante che tappezzare il territorio di villette infimamente costruite, palazzoni orrendi, centri commerciali e porcherie di ogni tipo e dimensione non ha pagato, nè potrà essere nel futuro un modello vincente. A questo punto è doveroso dire che le basi per questa inversione di tendenza ci sono: la Spagna è il primo produttore di energia solare in Europa e il secondo nel mondo di energia eolica, per esempio. Ci sono ditte spagnole che producono tecnologia leader in questo settore, e la dimensione degli investimenti è in netta crescita. È quindi questione di direttive centrali, di vedere che strada prenderà il governo: se insisterà ciecamente nel resuscitare un morto, o rimettere in piedi per quanto possibile l’edilizia quando i segnali miglioreranno, però senza darle il timone del comando, ma invece investire fortissimamente in settori che possono crescere e generare ricchezza per il futuro. Un aspetto che mi ha assai colpito di questa crisi sono le cifre, ovviamente drammatiche e sconsolanti, ma specialmente se confrontate con la nostra Patria: un 18% di tasso di disoccupazione galoppante, contro un modesto 7% dell'ex-Belpaese.... Io vivo qua in Spagna, e senza ora soffermarmi sulle magagne interne della politica, rimango davvero stupito. Come è possibile? Dati alla mano, il nostro Stivale dovrebbe essere davvero quella roccia che descrivono Tremonti e il Pifferaio, dove ora addirittura la crisi sembra retrocedere! Finito, si riparte già!! Siccome non sono un economista ma un semplice architetto disoccupato, espongo i fattori che secondo me influenzano terribilmente questo aspetto. In Italia c’è una percentuale agghiacciante di gente che lavora con contratti spazzatura, i famosi CO.PRO, contratti a progetto, che non garantiscono neppure la copertura sanitaria, e mettono in mano ai datori di lavoro la facoltà di vita e di morte sul lavoratore. Molti di questi contratti vengono rinnovati per due, tre mesi. Quindi, nel periodo di attività, il lavoratore viene contabilizzato come attivo, o peggio viene conteggiato come nuovo lavoratore ogni volta che il suo contratto-ghigliottina viene rinnovato. Anche qua molta gente (me compreso) lavora o lavorava con contratto a termine, però la differenza è che questo tipo di contratto dà al lavoratore gli stessi identici diritti di un lavoratore a tempo indeterminato, e quando finisce (o viene licenziato, e le modalità spesso sono lungi dall’essere legali), ha diritto al sussidio come tutti gli altri, oltre ad aver versato gli stessi contributi per la pensione. Inoltre, ho ormai sperimentato che in Spagna è difficilissimo lavorare in nero: anche per lavori stagionali o di brevissima durata si viene sempre inseriti nel sistema di previdenza sociale e in quello sanitario, e si pagano le tasse. C’è un forte controllo e pochissimi osano sfidarlo, pena dure multe. Il paragone italiano lo lascio al lettore, riguardo al lavoro nero. Basterebbero questi due dati, forse, per capire che sebbene il volume di daterioramento del lavoro in Spagna è di certo maggiore e piu’ grave che in Italia e in molti altri Paesi, è assolutamente sufficiente per capire che le cifre che ci vendono il Pifferaio e i suoi scagnozzi puzzano di bruciato in maniera sconcertante. La manipolazione in stile orwelliano dell’informazione di cui già ho parlato (e della quale Nomadus tratteggia sapientemente i contorni nel post sulla crisi che non c’è piu’), è la chiave di volta del mio paragone. Nessuno sa con esattezza come stanno realmente le cose, da noi. L’attenzione dello svogliato e indolente cittadino viene abilmente dirottata su ricostruzioni, miracoli italiani, e tette e culi da mandare in Europa. Il disorientato e disattento cittadino tipico rimane un pò imbambolato, e alla fine se la beve. Chi davvero sta male e non ce la fa ad arrivare a fine mese fa quello che sempre ha fatto: bestemmia e si arrangia, o perlomeno ci prova. La Spagna va male, va molto male e io sono seriamente preoccupato per il futuro. Personalmente cerco di diversificare la mia formazione: in questi mesi, coperti dal sussidio che ricevo (e che in Patria, lavoratore a progetto, non avrei mai potuto avere), mi sono iscritto a un master in energie rinnovabli, sperando di poter ottenere un nuovo lavoro in un settore che è previsto in crescita, che deve crescere e in cui credo. Ma voglio spezzare una lancia per un Paese piu’ onesto, dove se le cose vanno male nessuno dice il contrario, nè i giornalisti, nè il governo (che pure ha peccato di grande ingenuità e ha cercato per troppo tempo di smorzare la portata della crisi), nè i datori di lavoro. Dove si ha il coraggio di prendere il toro per le corna e fare i conti con quello che c’è. Dove chi governa si prende le responsabilità della situazione e viene messo alla prova, giudicato per quello che effettivamente fa, e che non cerca invece di mascherare con trucchi da illusionista gli elettori e i cittadini in generale. Anche se il Pifferaio mi racconta che tutto va bene e che è stato solo un brutto sogno, io rimango nella barca coi buchi piu’ grossi, nella speranza che lottando si possa fare qualcosa di buono per uscire dall’impasse. Perchè se ce la si fa, il futuro si costruirà su basi solide, e non sul sempiterno castello di bugie.

2 Commenti:

  • Ancora una volta, carissimo DAVIDE, hai colto nel segno. Non so se sei un giornalista che si diletta in architettura o un architetto che sta per dare un esame da giornalista. Fatto sta che il tuo post l'ho letto tutto d'un fiato, come un romanzo avvincente che ti prende dalla prima all'ultima pagina. Non so più quali parole spendere per te, per farti i miei più sinceri complimenti. E grazie ancora una volta per aver accettato di collaborare con il mio blog. Ne sono sempre più onorato. Un abbraccio e un affettuoso saluto.

    Di Blogger nomadus, Alle 03 maggio, 2009 10:47  

  • concordo con l'amico qui sopra. post che si legge d'un fiato, ottime argomentazioni e perfetta analisi della situzione (italiana, quella spagnola non la conosco)
    complimenti e auguri per il tuo futuro lavorativo (tra l'altro sono anch'io un acceso sostenitore delle energie rinnovabili)

    Di Blogger jjleto, Alle 07 maggio, 2009 13:29  

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