l'Antipatico

martedì 22 febbraio 2011

parliamo d'altro (ogni tanto...)


Prendo spunto da un commento alquanto piccato di un anonimo (o anonima) lettore (o lettrice) di questo blog (pubblicato in calce al mio precedente post dedicato all'intervento di ROSSAURA) per scrivere, diversamente dal solito, di un argomento che mi sta particolarmente a cuore: quello inerente la scuola italiana, i precari, gli insegnanti sempre più insoddisfatti, la continua scollatura tra docenti e discenti. E lo faccio prendendo spunto da una lettera, pubblicata pochi giorni fa su Repubblica.it, scritta da una quarantenne insegnante precaria che riporto in edizione integrale. Prima però vorrei dire una cosa, a carattere espressamente personale. Ho frequentato anch'io il liceo classico (la scuola in cui insegna la precaria di cui sopra), seppur soltanto per il primo anno. La mia purtroppo scomparsa professoressa di Italiano, Latino e Greco mi diceva sempre che se avessi continuato in quel genere di studi, avrei potuto raccogliere interessanti frutti nel campo lavorativo e comunque mi sarei trovato sempre bene nella vita. Debbo purtroppo smentire l'assunto, seppur ottimistico, della mia indimenticata prof: oggi, superata la soglia dei 50 anni, mi ritrovo con la cultura di base datami dagli studi classici e con la professionalità dei successivi studi a carattere turistici, ma con la posizione di operatore di call center e con una remunerazione che nemmeno la precaria di cui sopra potrebbe invidiare. Dico ciò perchè gli studi classici che ho fatto, la conoscenza del latino e del greco, la forma mentis regalatami dalle traduzioni dei vari Orazio, Cicerone e compagnia bella, non hanno certamente portato il sottoscritto ai vertici aziendali o di partito, men che meno alla direzione di una società operante in contact center. Ergo, meglio specializzarsi in studi professionali a carattere turistico e lavorare come accompagnatore o agente di viaggio, magari fino a che ce n'è la possibilità. Catilina e Demostene lasciamoli ai tempi che furono, quando nè l'inflazione nè l'euro potevano intaccare i sesterzi o le dracme di turno. Ed ora buona lettura con l'intervento dell'insegnante precaria. E buona riflessione (a chi ne avrà voglia...).
Diciassette febbraio, giovedì, primo pomeriggio. Appena tornata da scuola. Mi chiedo spesso se ai giorni nostri valga o no la pena di insegnare la letteratura e, nel mio caso, il latino. Per me come docente, in quanto precaria e in quanto docente di lettere, la risposta è no. Alla luce della mia esperienza personale posso dire che il latino, la letteratura e la filosofia non servono a nulla. Togliete queste materie dalla scuola, eviterete di far perdere tempo a quei pochi che passano i loro pomeriggi a spaccarsi la schiena su versioni, poesie e filosofi anzichè fare altro di più divertente. Io non me la sento più di dire ai miei studenti di sacrificare ore di studio per il latino. L'ho fatto io, non fatelo voi ragazzi. Altrimenti farete la mia fine. Vi ritrovereste con un pugno d'aria, di parole che ormai oggi non hanno più senso per nessuno. Pro patria mori... cantava il poeta. Ma chi vuole oggi, non dico morire, ma anche solo sacrificarsi per la patria? E cosa significa patria oggi? Io per prima sorrido di fronte a questo concetto astratto e lontano. E fallace, soprattutto. Ingannatore. Io non ho nessuna voglia di sacrificarmi per la terra dei padri, questa terra che mi ha preso in giro, che continua a prendermi in giro giorno dopo giorno, visto che un lavoro stabile non me lo sa dare, e nemmeno uno stipendio che gratifichi i sacrifici che ho fatto da ragazza studiando. Tutti i giorni questa patria si burla di me, del mio lavorare per 1.250 euro al mese (se sono fortunata e ho la supplenza a tempo pieno, cosa che non accade sempre). E già, devo pure evitare di lamentarmi troppo, perchè io sono tra i fortunati precari del Nord che almeno una supplenzina qua e là la beccano, magari a metà novembre, ma tanto con la disoccupazione si campa, precari a non far niente alla soglia dei 40 anni. Pro patria mori...bisogna esseri fessi... E io sento invece di morire dentro di me ogni giorno di più, di non crederci ogni giorno di più, ogni mattina quando entro a scuola non vedo l'ora di uscirne e di fare altro, perchè non sopporto più di dover prendere in giro me stessa e gli studenti. Non dovete imparare a usare il cervello, perchè vivrete male, sempre critici verso tutto, poco furbi, poco scaltri, poco sfrontati, sempre onesti, sempre fessi e sempre più soli. Come mi sento io. Onesta e fessa, e sola. Debole, sempre senza soldi, sensibile alle belle parole e alle romanticherie. E poi stanca. Stanca di tutto. Stanca di questa maledetta terra dei padri, che quando sono lontana mi manca terribilmente con tutti i suoi difetti. Arrabbiarsi non serve. Io personalmente non guardo nemmeno più il telegiornale. La politica italiana mi fa, nel migliore dei casi, sorridere. Cosa volete che insegni ai ragazzi? Ditemelo, io non lo so più. OLGA RAVELLI (insegnante precaria in un liceo dell'hinterland milanese)

2 Commenti:

  • Carissimo,vedo che è un pochino di tempo che non scrivi.Mi auguro che tutto ti vada bene,anche le novità.Io comunque sono sempre presente e ti comprendo benissimo se scrivi di meno.Un caro saluto da Mauro.

    Di Anonymous Anonimo, Alle 11 marzo, 2011 17:54  

  • In effetti, caro MAURO, ultimamente non ho avuto eccessive sollecitazioni nello scrivere sui miei due blog. Questo è dovuto sia per il minor tempo a disposizione (come puoi ben immaginare una bella storia d'amore comporta un impegno non certo di poco conto) sia per la ripetitività delle argomentazioni che ruotano attorno al leit motiv dei miei precedenti scritti, ovvero il Pifferaio di Arcore. Credo che se non cambieranno le cose difficilmente tornerò a scrivere (come ha fatto del resto lo stesso DAVIDE...). Non disperare, comunque. Un affettuoso abbraccio.

    Di Blogger nomadus, Alle 13 marzo, 2011 18:43  

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