come cambiò il destino politico (e televisivo) dell'Italia
A volte la memoria storica di questo nostro beneamato Paese è un pò fallace. Per fortuna che c'è qualche giornalista, come Andrea Fabozzi de il manifesto, dalla risoluta e spiccata formazione mentale non ancora intorpidita, che ci viene in soccorso e ci ricorda come andarono i fatti 25 anni fa, quando il Pifferaio di Arcore, allora intimo amico di Bettino Craxi, riuscì grazie all'aiuto decisivo del defunto leader socialista a cambiare le regole della comunicazione televisiva e un pò anche quelle del vivere quotidiano. Per rinfrescarsi la memoria è d'uopo dare un'occhiata al seguente filmato (http://www.youtube.com/watch?v=ihAb-ARVRn0). Da quel mese di ottobre del 1984 tante cose sono cambiate (purtoppo in negativo) nel nostro Paese; la metastasi berlusconiana ancora oggi sta provocando irrimediabili effetti nefasti su tutti noi e la cura risolutiva ancora non si riesce ad intravederla. Spero vivamente che qualcuno dei tre candidati del PD, dopo il fatidico 25 ottobre, riesca a capire e a commercializzare l'antidoto contro il veleno letale del premier. Almeno si riuscirà a salvare qualcosa di ancora salvabile, finchè si è in tempo. Ora vi lascio all'articolo rievocativo di Andrea Fabozzi scritto ieri sul quotidiano diretto da Valentino Parlato. La mattina del 16 ottobre 1984 cambiò la storia della televisione italiana. E anche il destino politico del Paese. Tre pretori spedirono la polizia postale (si chiamava Escopost) a interrompere le trasmissioni televisive di Canale 5, Rete 4 e Italia 1, a Roma, Torino e Pescara. Niente Puffi. E niente Dallas, Dinasty, Maurizio Costanzo Show e Superflash per due milioni di spettatori, quelli di Lazio, Piemonte e Abruzzo, su 13 milioni che le televisioni private di Silvio Berlusconi raccoglievano ogni giorno. Fuori dalla legge. Perché trasmettere lo stesso programma in contemporanea su tutto il territorio nazionale (la «interconnessione») era vietato. Con i ponti radio e il sistema delle videocassette accese in contemporanea, il Cavaliere aveva aggirato il divieto stabilito dall'articolo 195 del codice postale: così dissero i pretori Eugenio Bettiol (Roma), Giuseppe Casalbore (Torino) e Nicola Trifuoggi (Pescara). Quattro giorni più tardi, dopo aver ricevuto Berlusconi a Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio Bettino Craxi emanò un decreto, che il presidente della Repubblica Pertini velocemente firmò, per rimettere le cose a posto. Trasmissioni prorogate per un anno. Da allora in poi nessuno più fermò l'avanzata del Cavaliere che, esattamente dieci anni dopo, passò dalla tv alla politica. Il blocco dei tre pretori fu il suo momento più difficile. Ne uscì, e ringraziò Craxi con una lettera che è spuntata fuori due anni fa dall'archivio personale dell'ex leader socialista depositato al Senato. «Caro Bettino, grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti». Questa lettera straordinaria di Berlusconi a Craxi è stata pubblicata per la prima volta da Sebastiano Messina su Repubblica nel 2007. Non ha bisogno di commenti: «Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio». Le protezioni del governo Craxi, l'assalto ai giudici e l'appello alla «volontà del popolo» furono evidentemente coincidenti e accettati totalmente dai suoi telespettatori: in quei pochi giorni di venticinque anni fa c'era già la storia di oggi. Compresa l'abilità di Berlusconi. I pretori, infatti, non avevano oscurato le tv private ma solo vietato la trasmissione in simultanea degli spettacoli. Fu il Cavaliere a decidere il black-out. Per drammatizzare. Cominciarono le telefonate al centralino di Palazzo Chigi. Scattò la protesta dei volti noti tv. Maurizio Costanzo organizzò puntate straordinarie del suo show dal teatro Giulio Cesare, Corrado si lamentò, Guglielmo Zucconi su Rete 4 fece parlare i «teleutenti». La concessionaria della pubblicità di Berlusconi, Publitalia 80, diffuse i primi sondaggi: il 91% degli italiani era contro i pretori. L'Avanti di Craxi sperimentò la prosa che lo renderà celebre negli anni di Tangentopoli: «Nel vuoto di potere si sono inseriti altri poteri non democraticamente responsabili ... pretori notoriamente aderenti a gruppi dell'estrema sinistra ... un metodo illiberale». Anche il Pci si preoccupò. Il responsabile comunicazione di massa del partito era un non ancora quarantenne Walter Veltroni: «Non ci si deve rallegrare che emittenti televisive vengano oscurate e non si può non ragionare sulle conseguenze che questo può avere sullo stato di aziende, piccole e grandi, e sull'occupazione. Ci sono poi anche le abitudini degli utenti consolidate in anni di offerta televisiva che non possono essere ignorate». Le ragioni di tanta prudenza si capiranno poi, quando il primo «decreto Berlusconi» fu fatto cadere alla Camera e Craxi ne preparò subito un altro che conteneva anche la riforma del vertice Rai. Nuove regole per la nomina del Cda di viale Mazzini, del presidente e dei direttori delle testate radiofoniche e televisive. Nell'accordo, tenuto a battesimo dal direttore generale della Rai Biagio Agnes, la direzione del nuovo Tg3 fu assegnata ai comunisti. Ad opporsi restarono i parlamentari della sinistra indipendente e alcuni democristiani di sinistra. Il Pci mantenne il voto contrario, ma rinunciò all'ostruzionismo che avrebbe certamente fermato un decreto presentato tardi per la conversione. E invece il voto finale arrivò il 4 febbraio 1985 alle undici di sera, un'ora prima della scadenza del decreto. Decisiva la partecipazione al voto dei senatori missini. Il giorno dopo un'edizione straordinaria della Gazzetta Ufficiale certificava la prima grande vittoria di Silvio Berlusconi.
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