l'Antipatico

mercoledì 7 ottobre 2009

a proposito di libertà di stampa


Sono trascorsi pochi giorni dalla manifestazione indetta dalla FNSI a Roma per la libertà di stampa e di informazione e mi piacerebbe far conoscere, a quei pochi lettori che frequentano questo blog, qualche mia sommessa opinione a tal riguardo. Premetto che per ragioni personali non ho potuto partecipare ma ho seguito la diretta su Repubblica TV (http://tv.repubblica.it/copertina/verita-e-potere-in-piazza-per-la-liberta-di-stampa/38052?video=&pagefrom=1) e sono rimasto favorevolmente colpito dalla partecipazione, come numero e come intensità, delle persone. Però ho notato che le polemiche che ne sono seguite (alla manifestazione a alla sua motivazione di fondo) sono state alquanto aspre, pregiudiziali e irragionevoli e non aiutavano a capire di che cosa si stesse discutendo, quali fossero i valori in campo e quali, eventualmente, le decisioni da prendere. A mio modo di vedere molti addetti ai lavori (forse per far piacere al Pifferaio di Arcore) hanno fondamentalmente strumentalizzato i veri obiettivi e il fulcro centrale della manifestazione stessa, alzando un polverone per tenere sempre più lontani i lettori (e i cittadini) dalla difesa della libertà di stampa come reale valore, principio e fondamento della nostra democrazia. A ciò bisogna aggiungere anche il rovescio della medaglia: il problema è stato mal posto. Non è a rischio nel nostro Paese (secondo me) la libertà di stampa, di opinione, di critica e di cronaca. Non lo è mai stata, nemmeno nei momenti meno incoraggianti della nostra vita pubblica. Il sistema dei mass media è talmente articolato e diffuso nelle venti regioni (quotidiani, periodici, radiotelevisioni, riviste specializzate, blog, etc...) che parlare di compressione della libertà di stampa equivale a inventarsi il problema che non c’è. L’articolo 21 della Costituzione resta la garanzia piena e primaria per tutti. Ai cittadini la quantità delle informazioni, su tutti gli aspetti della nostra vita, non manca certamente. Il problema va posto in altri termini e riguarda la responsabilità e la moralità della stampa. Notizie e opinioni debbono camminare insieme, ma senza discostarsi dal compito fondamentale del giornalismo come patrimonio della collettività. Se un giornale smette di essere quello per cui è nato e strada facendo diventa di fatto un partito non può che prendersela con se stesso. Alludo chiaramente a Libero e a il Giornale che di certo hanno stravolto l'iniziale progetto editoriale, uniformandosi negli anni al volere (e al potere) di Berlusconi. Perciò è inutile, e sommamente rischioso, mistificare: fingere di essere un giornale quando, invece, si è diventati un partito. E anche quando, al colmo dell’ipocrisia e della doppiezza, si ritenesse di essersi comportati esclusivamente come giornale, occorre essere pronti a pagarne tutte le conseguenze. Invece di sbertucciare e minimizzare l'evento (come hanno fatto Feltri, Belpietro e Fede nella sua immonda diretta di sabato pomeriggio) sarebbe molto più utile e deontologicamente corretto ragionare sulla responsabilità e sulla moralità della stessa stampa e di certa informazione televisiva (oltre a Fede cito Minzolini) e su come vengono usati e per quali cause, gli strumenti della comunicazione di massa. Qui verrebbero fuori compiti e obblighi per tutti i soggetti della comunicazione: gli editori che, nella maggioranza dei casi, si servono dei loro giornali per obiettivi che con la correttezza della informazione hanno ben poco a che fare; certi giornalisti che, in mancanza di una solida formazione professionale, rischiano su molti argomenti di essere mediamente meno preparati dei lettori, dei radio ascoltatori, dei telespettatori e dei blogger; molti cittadini che non sempre hanno una vigile coscienza critica e che, con la loro passività, decretano il successo (di audience e di mercato) per trasmissioni qualitativamente scadenti o per giornali francamente illeggibili. E poi ci vorrebbe un maggiore senso di responsabilità, per sfuggire alle insidie della strumentalizzazione, anche dalle stesse strutture associative dei giornalisti: a cominciare dalla Federazione della Stampa che, rappresentando soltanto il 24 per cento dei giornalisti italiani, versa in una grave crisi di rappresentatività e che dovrebbe pensare di più alla tutela e alla vicinanza nei confronti di quei tanti precari che, nelle redazioni di molti giornali, risultano essere dei perfetti ectoplasmi, abbandonati a loro stessi, con contratti (quando ce ne sono) da fame e con la considerazione (delle firme più conosciute) praticamente vicina allo zero.

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