l'insostenibile leggerezza della crisi
Se uno dovesse dare retta alle parole del presidente del Consiglio saremmo tutti usciti da un bel pezzo dalla crisi economica. Lui dice che a partire da Obama, e proseguendo con i più grandi organismi economici internazionali, tutti si dicono ottimisti sul decorso positivo della crisi globale che poco più di un anno fa ha messo in ginocchio l'economia planetaria. Ancora oggi il miracoloso Silvio, mentre consegnava le nuovissime case ai terremotati (oramai ex) abruzzesi, si riempiva la bocca con dichiarazioni di infervorato ottimismo che quasi viene voglia di credergli (http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/berlusconi-varie-2/premier-29set/premier-29set.html). Poi uno guarda al proprio portafoglio, dà un'occhiata all'estratto conto e si ricrede. La crisi non è affatto finita, anzi. Chiedetelo all’INPS. La relazione del presidente e commissario straordinario dell’Istituto di previdenza, Antonio Mastrapasqua, diffusa ieri, è roba da far accapponare la pelle. Tra l’inizio di agosto 2008 e la fine di luglio 2009, le domande di disoccupazione liquidate dall’INPS sono state quasi un milione (per la precisione 984.286), con un incremento del 52,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un evidente effetto diretto della crisi economica mondiale, ma c’è dell’altro. Le ore autorizzate di cassa integrazione dal primo settembre 2008 al 31 agosto 2009 hanno superato quota 615,5 milioni (sempre per la precisione 615.554.896) realizzando un aumento complessivo del 222,3%, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente. Come si può ben arguire, i dati relativi a disoccupazione e cassa integrazione evidenziano un fenomeno sotto gli occhi di tutti: tante aziende in crisi e molte che hanno chiuso le porte e non le riapriranno più, almeno in Italia, perché qualche furbetto ha approfittato della situazione per chiudere gli impianti in casa nostra e riaprirli dove costo del lavoro e minor tutela sindacale dei lavoratori garantiscono maggiori profitti. Minor ricchezza complessiva ha poi significato minori consumi, con la relativa perdita di circa diecimila esercizi commerciali nei primi sei mesi del 2009, a totale danno della piccola distribuzione, spina dorsale di ogni economia sana. A questo punto è evidente che la crisi non è dietro le spalle (come dice il Pifferaio di Arcore), anzi forse il peggio deve ancora arrivare, ma è ancora più evidente che la cura finora utilizzata è errata. Lo Stato deve riprendere il controllo delle grandi aziende strategiche e realizzare nuove grandi opere riavviando così l’economia ed assorbendo nuova forza lavoro. Lo Stato deve poi mettere pesantemente mano al sistema bancario, vero cancro del sistema economico attuale, e non a chiacchiere come è solito fare il commercialista di fiducia del Pifferaio, vale a dire Tremonti. Bisogna vietare qualsiasi commistione tra banche e sistema industriale, che deve accedere solo ad un sistema creditizio controllato dallo Stato; bisogna poi obbligare le banche ad aprire il piccolo credito verso le piccole e piccolissime aziende, anche quelle artigiane, facendo così ripartire in avanti tutto il sistema dal basso. Non servono comunque gli esperti per comprendere che la crisi sta ancora manifestando tutti i suoi effetti negativi: qualsiasi italiano che frequenta mercati e supermercati sta notando come da qualche tempo c’è qualcosa di diverso tra gli scaffali. Tanta gente si sta rivolgendo verso prodotti di basso costo, magari non di marca e questo spiega pure il perché di una controtendenza positiva dei discount, non solo nei quartieri popolari, ma anche negli storici quartieri borghesi delle grandi città. E se nella società dell’immagine e dell’apparire la gente si rivolge a prodotti anonimi vuol dire che la crisi è prorio vera. Anche se san Silvio dice il contrario. Ma questa non è una grande novità.
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