quando la protesta diventa spettacolo (non gradito)
Hanno iniziato quelli della INNSE salendo per protesta sul carrogru. Hanno continuato i vigilantes a Roma arrampicati sull'ultimo anello del Colosseo. E poi ancora altri emuli della protesta spettacolarizzata, quella che fa accendere le telecamere anche a ferragosto mentre gli altri se ne stanno a pancia all'aria sulla sabbia o si tirano gavettoni d'acqua. Ma poi succede che qualcuno (guarda caso del Popolo della Libertà) pensa sia giunto il momento di spegnere tutto, sia le telecamere che gli ardori delle proteste. Questo qualcuno si chiama Giuliano Cazzola, ex dirigente della CGIL e ora responsabile lavoro del PdL, che riesuma la ricetta del black out e la applica agli operai che salgono sui tetti, digiunano, si barricano dentro le fabbriche per evitare che vengano chiuse. C'è un solo modo, dice Cazzola, per fermare «la deriva della spettacolarizzazione» delle lotte operaie e per far cessare «questa spirale ingovernabile»: spegnere le telecamere. Purtroppo per gli operai, il sistema mediatico, senza aspettare l'input di Cazzola, i riflettori li sta già spegnendo. L'INNSE aveva bucato la prima pagina persino del Corriere della Sera: i cinque gruisti, portati in trionfo dai compagni di lavoro, erano riusciti a togliere le tute blu dall'angolo degli eterni perdenti. I succedanei, che cercano di imitarli, si guadagnano al massimo qualche breve lancio in cronaca. E' la legge spietata del giornalismo: l'inflazione, la ripetizione, uccidono la notizia. Ciò nonostante, la lista delle lotte eclatanti si allunga: sette operai sul tetto della Lasme di Melfi, sei lavoratori chiusi in un reparto della Novico di Ascoli Piceno, scalata mordi e fuggi sul Maschio Angioino di un gruppo di operai del termovalorizzatore di Acerra. Perché lo fanno? Indubbiamente per attirare l'attenzione sui loro problemi. E per questo vengono rimproverati. Cosa davvero bizzarra: in un mondo e in un'epoca in cui tutto è spettacolo, gli operai dovrebbero essere gli unici a non pretendere i loro cinque minuti d'illuminazione catodica. Un moralismo fuori luogo, soprattutto se viene da un governo televisivo per eccellenza. Un moralismo interessato, di un governo che percepisce le lotte agostane come un anticipo del peggio che verrà in autunno. E per questo vuole silenziarle. Purtroppo il fastidio e l'incomprensione per le lotte spettacolari allignano anche a sinistra e in alcuni settori del sindacato. La ragione è semplice: mettono in piazza la debolezza e un certo menefreghismo della sinistra e del sindacato. Ma di questa debolezza e di questo menefreghismo gli ultimi a cui bisogna dare la colpa sono proprio gli operai. Loro fanno di necessità virtù. In un'azienda dove si è in cassa integrazione da un anno, l'unico sciopero possibile è quello della fame. In una fabbrica che un avventuriero sta rottamando, non resta che salire su un carroponte e restarci finché non si fa avanti un padrone decente. A tutti piacerebbe che il conflitto scorresse nei suoi binari tradizionali: scioperi per danneggiare la produzione e non la propria salute, picchetti per non far uscire le merci, tavoli di trattativa. Sono passaggi che le lotte eclatanti di quest'ultimo periodo hanno già esperito e consumato, carte che non si possono più giocare. E allora si è costretti a inventarsi, insieme al sindacato e non contro di esso, qualcosa d'altro. Sperando che funzioni. Cazzola permettendo.
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