l'Antipatico

sabato 6 giugno 2009

sindrome da contestazione


Se c'è una cosa che fa letteralmente imbufalire il Pifferaio di Arcore questa cosa ha un nome: contestazione. Che siano fischi, pernacchie o modi di dire, il solo pensiero che qualcuno possa in qualche modo contestarlo fa andare fuori di testa il premier italiano. E per rinfrescare la memoria collettiva basta andare nei corridoi del Palazzo di Giustizia di Milano per poter ancora sentire riecheggiare la stentorea voce di Piero Ricca affermare "fatti processare buffone!" rivolto chiaramente al presidente del Consiglio o tornare a Piazza Navona a Roma per trovare ancaora sull'asfalto i segni di quando un coraggioso contestatore gli tirò addosso un bel cavalletto usato per la macchina fotografica. A distanza di tempo e ancora oggi la paura della contestazione (isolata o di massa) fa impallidire il Pifferaio e lo rende estremamente nervoso. Alla fine si arriva ai grandi numeri. I due ragazzi che a Napoli urlano a Silvio: «Non venire più in Abruzzo, ci rovini!». Identificati. Tra i cittadini che a Firenze hanno fischiato il premier: 15 identificati. Qualcuno fischia fuori dalle tendopoli abruzzesi. Identificato. Senza contare le situazioni in cui le contestazioni non arrivano nemmeno al trafiletto, e tocca addirittura al contestato darne conto. Le agenzie battono: «A Bari i contestatori erano uno sparuto gruppetto» e le virgolette sono di esponenti del Popolo della Libertà, cioè si dà il commento (sprezzante) ma non la notizia. E sul corteo de L'Aquila, nemmeno una riga, silenzio obbligatorio. Ad ogni apparizione pubblica del capo del Governo, insomma, media plaudenti, silenzio di tomba sui fischi e le contestazioni, gran lavoro delle autorità di polizia per identificare i «sediziosi», setacciare il pubblico per gli incontri del premier, dove non si entra se non si è provati sostenitori, e decidere, nel caso, a quale articolo del codice penale ricorrere. I video finiscono su Youtube, girano in rete, la contestazione negata dall'informazione e nascosta dai dipendenti del contestato diventa semiclandestina, una specie di samizdad negato al grande pubblico che di quelle grida sediziose non sa e non deve sapere. Andrea Camilleri l'ha chiamata la «sindrome del Raphael», ricordando le monetine lanciate a Craxi qualche lustro fa: nascondere ogni dissenso è imperativo categorico. Contestatori, fischi, «urla sediziose», tutto va negato e cancellato dai media, come nelle antiche e divertenti veline del regime, che si tratti della vita privata del premier («Ricordarsi che le fotografie del Duce non vanno pubblicate se non sono state autorizzate» - 1936) o della crisi economica («Non toccare l'argomento delle cosiddette code davanti ai negozi» - 1940). E questo si sa. La cosa più preoccupante, invece è il passaggio successivo: appurato che si può cancellare la realtà dai media; allo stesso modo si pensa di poterla cancellare dalle piazze, usare un questore, un vicequestore, un pubblico ufficiale come fosse un qualunque caporedattore dei tg di famiglia, insomma, un dipendente. «Identificatelo e portatelo via». Detto e fatto. Signorsì, signore. E allora a questo punto rimane una cosa da fare: contestiamolo tutti insieme il Pifferaio di Arcore. Oggi e domani abbiamo una gran bella occasione per farlo fuori. O almeno per provarci...

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