l'Antipatico

sabato 23 maggio 2009

prove tecniche di regime


Mi accorgo ogni giorno che passa quanto determinati segnali scaturiti da dichiarazioni, polemiche e quant'altro riferibile alle malefatte del Pifferaio, alla fine siano campanelli di allarme per la vita stessa della nostra tanto bistrattata democrazia. Non credo di esagerare se dico e scrivo che l'aria che tira (da tutte le direzioni) non mi piace affatto. Non so se sia ancora un prologo inquietante ad una manifestazione futura di regime, di dolce dittatura come qualcuno l'ha già ribattezzata, ma è certo che se non si cambia registro le cose si metteranno davvero male. Per tutti. Concordo con la lucida disamina che il mio amico e collaboratore DAVIDE ha intelligentemente esposto nel post scritto prima di questo: la cultura costituzionale del nostro Paese è sotto attacco. Oramai non possiamo più far finta di non vedere che si tratta di un aggressione che mira direttamente alle fondamenta del nostro vivere civile. Non è solo la naturale tendenza dei potenti a sfuggire alle regole del diritto e ai limiti che la divisione dei poteri loro impone. Si tratta di qualcosa di diverso e di più sottilmente distruttivo. E' una visione del mondo che tenta di affermarsi in Italia e per far questo deve sconfiggere il sistema istituzionale definito in Costituzione. Chiarissimi sono anche i modelli a confronto: da un lato (sotto assedio) quello proprio delle democrazie costituzionali occidentali. Dall'altro (promosso, idealizzato e immedesimato organicamente dal Pifferaio di Arcore) quello industriale con la cultura del fare che di democratico non può avere nulla, poiché non pensa che a produrre risultati, non certo a governare il demos. Lo scontro tra culture si è materializzato nel modo più plastico ed evidente. In nessun Paese democratico si sarebbe potuto immaginare di potere udire un esponente politico pronunciare la seguente frase: «Avete un governo che per la prima volta è retto da un imprenditore e da una squadra di ministri che sembrano membri di un Cda per la loro efficienza. Dobbiamo però fare i conti con una legislazione da ammodernare perchè il premier non ha praticamente nessun potere e dovremo arrivare a un disegno di legge d'iniziativa popolare perchè non si può chiedere ai capponi e ai tacchini di anticipare il Natale». A mio modesto avviso c'è tutto il conflitto in atto in questa frase del Pifferaio, che esprime il vanto per un governo che anziché rispondere al Parlamento si arroga il diritto di fare, perseguendo interessi di natura imprenditoriale e rivendicando una legittimazione esclusivamente di natura populista. Ma ciò che appare terribilmente inquietante è l'indicazione del nemico: l'organo della rappresentanza popolare, da abbattere poiché ostacola l'affermarsi del nuovo sovrano-imprenditore. Il nemico è dunque la democrazia per come c'è stata tramandata dal costituzionalismo moderno. Troppo spesso si sono sottovalutate le affermazioni allegre e poco meditate del Caimano, le cui battute sono diventate una sua personale strategia politica, facendo della smentita un'arte di governo. In questo caso non è così. L'attacco alla democrazia costituzionale esprime il più profondo senso del berlusconismo. Lo dimostra la conseguenza che egli stesso trae dall'analisi di un Parlamento da accapponare. Il Pifferaio di Arcore rivendica a sè tutti i poteri che la Costituzione affida al Parlamento. Per far vincere la cultura dell'impresa e per poter definitivamente sconfiggere la democrazia costituzionale. Credo sia venuto il tempo di dichiarare l'emergenza. Ci fu un tempo (http://it.wikipedia.org/wiki/Gloriosa_rivoluzione_inglese) in cui di fronte alle pretese eversive del sovrano un Parlamento seppe reagire, scelse un nuovo governante e affermò la democrazia costituzionale: correva l'anno 1689. Quella rivoluzione fu gloriosa. A noi che rimane? Almeno la speranza, credo...

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