non basta la visita a favore di telecamera
Quando ieri ho visto in tv le immagini della protesta del popolo aquilano terremotato, che protestava civilmente sotto le finestre di Palazzo Chigi e di Montecitorio, mi si è stretto il cuore e ho ripensato a quanta propaganda condita dalle solite belle parole sia stata fatta dalla squadra di governo del nostro ineffabile e infallibile presidente del Consiglio. Un premier che fa dire al suo portavoce quanto sia stato clamoroso il successo della visita al cospetto del presidente americano e che addirittura il colloquio ha avuto la durata record di due ore, invece dei sessanta miniti previsti dal protocollo. Ecco, questi sì che sono i successi politici di cui vantarsi, non certamente dare ascolto alle lamentele dei sindaci di quei paesi terremotati che non avranno un euro per la ricostruzione perchè non rientrano in quei parametri disegnati dalla fervida mente ragionieristica del capo della Protezione Civile. E allora che cosa ti combina adesso il premier dopo la rumorosa contestazione di ieri? Ti organizza l'ennesimo viaggetto in Abruzzo per far vedere, a favore di telecamera (meglio ancora se targata Mediaset), che lui è sempre presente e attento al richiamo di dolore degli abruzzesi e che mai e poi mai potrebbe far mancare loro il suo preziosissimo e disinteressato aiuto. Certo, bisogna ammetterlo: per chi, all’Aquila e nell’Aquilano, ha vissuto due mesi e mezzo fa il terremoto questa visita odierna del Pifferaio di Arcore contribuisce in maniera essenziale all'elaborazione del lutto. Ma a parte le facili battute bisogna seriamente dire che dopo lo choc, dopo la presa d’atto d’essere sopravvissuti, dopo la conta delle perdite, dei danni e di quanto tutta la vita sia cambiata per il popolo abruzzese, questo è il tempo in cui in ogni essere umano si attiva un’inconscia regressione alla fase precedente: tutto è stato un sogno, un incubo, anzi, dissoltosi con le luci del giorno. Ma le luci del giorno non portano via la visione (al massimo portano la prestante figura del premier...). Illuminano una città e un’intera area dell’Abruzzo distrutte, disabitate, devastate e l’involontaria regressione al prima si ferma brutalmente al dopo, mozzando il respiro: non è stato un sogno. Questo è parte di ciò che il contesto mediatico non trasmette. Non per sua colpa, per forza di cose: i media devono presidiare l’informazione, percorrere la spirale di aggiornamento del dato, rincorrere la copertura della notizia e il lutto non fa notizia. Così, lo stesso doveroso avvicendarsi all’Aquila delle più alte cariche istituzionali dello Stato, l’imminente G8 che vi si terrà, la presenza saltuaria della politica (e del Pifferaio) hanno determinato un fungo di mediatizzazione sempre più astratto e sollevato dalla sottostante tragedia. Bisogna allora riscendere un attimo nei cuori, praticare un fall out in ciò che gli aquilani vorrebbero sentire e non sentono, probabilmente, da nessuno. Ciò che gli aquilani vorrebbero sentire ha invece a che fare con dimensioni senza tempo, perché senza tempo sono la vulnerabilità dell’essere umano e l’inesausta domanda che accompagna la sua vicenda terrena, vale a dire la presenza del male nel mondo e il suo senso, nucleo incandescente di ogni teologia. Ciò che gli aquilani vorrebbero sentire si colloca proprio nell’alveo delle tre virtù teologali: fede che ce la faranno; speranza di tornare un giorno, in qualche forma, nella loro devastata e bellissima città; carità, soprattutto, nel senso di charis, cioè di presenza, amorosa e partecipe, degli altri alla loro tragedia, avvertita nettamente con la mobilitazione spontanea che questa tragedia ha prodotto e che, in mezzo a tanta negatività, ha posto in luce una valenza commovente della comunità italiana e internazionale. Bisogna proseguire su questa strada. Anche senza le visite a favore di telecamera.
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page