l'efficacia di uno sciopero
Fin dai tempi del liceo siamo stati edotti, da chi era più grande e politicizzato di noi, sull'efficacia dello sciopero (meglio se selvaggio e improvviso). Si scendeva in piazza al minimo accenno di contestazione. Si occupava l'Istituto per contestare il preside o il corpo docente. In buona sostanza l'arma dello sciopero scintillava nelle nostre mani. E a distanza di decenni ci accorgiamo che ancora adesso c'è chi disquisisce sulla reale efficacia di uno sciopero, come magari quello di venerdì scorso. Sia come sia, a nostro avviso, ha ragione Guglielmo Epifani: lo sciopero deve essere un mezzo, non un fine. Per questo, a manifestazione conclusa e rendendo l’onore delle armi ai combattenti della CGIL, che hanno sfidato più i rigori del maltempo che quelli dei mercati, possiamo dire che lo sciopero generale dell'altro ieri è stato un mezzo spuntato, dunque complessivamente inutile a raggiungere il fine prefissato. Ragioniamo.
Contro chi protestava il più grande, e sempre più isolato, sindacato della sinistra? Contro Berlusconi e i suoi ministri, rei di non affrontare la crisi con il vigore necessario. Di non aver detassato le tredicesime, di aver dato poco sostegno alle famiglie. Di aver fatto poco, insomma. Protesta legittima, come ogni protesta, intendiamoci. Come direbbe Epifani, a che serve però un mezzo di questo tipo rispetto alla salita che abbiamo di fronte? Che senso ha uno sciopero anti Berlusconi quando lo tsunami viene da lontano e si diffonde ovunque? Quando basta un no del Senato americano al piano di salvataggio dei colossi USA dell’auto per far perdere altre migliaia di miliardi alle borse di tutto il mondo. Quando la General Motors si prepara alla bancarotta. Quando aziende che tre mesi fa valevano dieci oggi valgono due, a Shangai come a Pordenone?
E quando le tredicesime rischiano di riempire le falle e non le pance delle famiglie? Insomma: è come aver scelto la bicicletta per scalare il K2, come prendere a schiaffi il vigile sotto casa per fermare l’avanzata delle truppe americane in Iraq. Troppa sproporzione, troppa evidente inutilità tra il mezzo e il fine, come del resto hanno sottolineato gli altri sindacati, non certo venduti alla causa del «padrone» di Palazzo Chigi, e gran parte della sinistra più responsabile. E che in piazza ci fossero un milione e mezzo di persone o che gli ombrelli abbiano moltiplicato l’effetto ottico, poco importa: il risultato è quasi nullo.
Perché nel frattempo in Italia i contratti si firmano, gli accordi si fanno anche senza la CGIL, la crisi si affronta con i quattro soldi a disposizione, considerato l’enorme debito pubblico che abbiamo sulle spalle. E soprattutto sapendo che questa battaglia è globale. Che servono grandi interventi come quelli ipotizzati dall’Europa, o come il fiume di dollari che scorrerà a Washington. Che un Paese deve marciare più che mai unito e compatto. Ottimista. Ciò che non ha fatto la CGIL. E che speriamo faccia da domani.
Contro chi protestava il più grande, e sempre più isolato, sindacato della sinistra? Contro Berlusconi e i suoi ministri, rei di non affrontare la crisi con il vigore necessario. Di non aver detassato le tredicesime, di aver dato poco sostegno alle famiglie. Di aver fatto poco, insomma. Protesta legittima, come ogni protesta, intendiamoci. Come direbbe Epifani, a che serve però un mezzo di questo tipo rispetto alla salita che abbiamo di fronte? Che senso ha uno sciopero anti Berlusconi quando lo tsunami viene da lontano e si diffonde ovunque? Quando basta un no del Senato americano al piano di salvataggio dei colossi USA dell’auto per far perdere altre migliaia di miliardi alle borse di tutto il mondo. Quando la General Motors si prepara alla bancarotta. Quando aziende che tre mesi fa valevano dieci oggi valgono due, a Shangai come a Pordenone?
E quando le tredicesime rischiano di riempire le falle e non le pance delle famiglie? Insomma: è come aver scelto la bicicletta per scalare il K2, come prendere a schiaffi il vigile sotto casa per fermare l’avanzata delle truppe americane in Iraq. Troppa sproporzione, troppa evidente inutilità tra il mezzo e il fine, come del resto hanno sottolineato gli altri sindacati, non certo venduti alla causa del «padrone» di Palazzo Chigi, e gran parte della sinistra più responsabile. E che in piazza ci fossero un milione e mezzo di persone o che gli ombrelli abbiano moltiplicato l’effetto ottico, poco importa: il risultato è quasi nullo.
Perché nel frattempo in Italia i contratti si firmano, gli accordi si fanno anche senza la CGIL, la crisi si affronta con i quattro soldi a disposizione, considerato l’enorme debito pubblico che abbiamo sulle spalle. E soprattutto sapendo che questa battaglia è globale. Che servono grandi interventi come quelli ipotizzati dall’Europa, o come il fiume di dollari che scorrerà a Washington. Che un Paese deve marciare più che mai unito e compatto. Ottimista. Ciò che non ha fatto la CGIL. E che speriamo faccia da domani.
2 Commenti:
Hai senz'altro ragione su un punto: che a nulla serve uno sciopero vantato come strumento, ma in realtà ridotto soltanto a simbolo di lotta.
Lo sciopero deve essere uno strumento estremo, ma affilato e ad oltranza, la cui conclusione può essere decretata solo in coincidenza con la riapertura di una trattativa da posizioni di maggiore forza. Se non è questo, è solo una pantomima, come la sterile coazione a ripetere dei "venerdì di sciopero" che ritualmente allestisce la scuola o la pubblica amministrazione. Quindi il problema di Epifani e della Cgil è quello di essere rimasto in quella terra di nessuno che si trova tra la stolida connivenza di altri sindacati e la determinazione a lottare con la durezza necessaria (un problema di identità, di memoria, di cultura).
Quanto all'idea che la "battaglia sia globale" e che dunque "un Paese deve marciare più che mai unito" beh, sono due splendide mistificazioni che proprio i governi e imprese hanno interesse ad affermare per dilatare il confine dei problemi e "delocalizzare" insieme agli strumenti di produzione anche la capacità di identificazione e quindi di intervento dei lavoratori. Non lo dico io, ma la storia del 900 che nessuna logica corporativa ha mai giovato agli interessi del lavoro.
Di Redazione, Alle 15 dicembre, 2009 10:06
Ottimo e significativo il tuo commento, caro KODE. Nulla da eccepire sul tuo articolato ragionamento che sembra più partorito da una mente allenata al confronto quotidiano con chi non la pensa come te che una diretta conseguenza nel leggere questo blog e i relativi numerosi post dedicati all'argomento. A mio modesto avviso per il modo e la qualità delle tue considerazioni espresse al riguardo, meriteresti di figurare (più che come commentatore di questo blog) e di operare al fianco di Epifani. Anzi, magari al suo posto. Un affettuoso saluto e grazie ancora per il tuo illuminante intervento.
Di nomadus, Alle 15 dicembre, 2009 13:36
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