l'Antipatico

sabato 13 dicembre 2008

l'ambientalismo (del piffero) secondo Berlusconi


Siamo responsabilmente coscienti e sicuri di gestire questo blog con un subliminale senso di antiberlusconismo. Ma non possiamo fare a meno di tornare a scrivere delle nefandezze del cavaliere (e dei suoi accoliti, anche in gonnella), questa volta addirittura in veste ambientalista. I fatti sono inoppugnabili. Sono solo tredici i Paesi nel mondo che fanno peggio del nostro e mandano più gas serra e inquinamento in atmosfera. Lo attesta un rapporto internazionale del German Watch che ci colloca al quarantaquattresimo posto nella classifica delle emissioni su 57 Stati esaminati. Non poteva che essere così visto che l'Italia berlusconiana (inutile ripeterlo) non ha rispettato gli obiettivi del protocollo di Kyoto, che vincolavano il nostro Paese a ridurre (entro il 2012) le proprie emissioni climalteranti del 6,5% rispetto a quelle del 1990 e che invece le ha notevolmente aumentate (13%). Forse dalle belle piazze dello sciopero generale di ieri dovevano partire con forza dei messaggi a questo governo, perché la faccia finita con la devastante posizione assunta contro la direttiva europea sui cambiamenti climatici, che non può che aggravare l'isolamento del Paese e la sua drammatica crisi sociale. Non che il tema non sia fra i motivi della mobilitazione, ma è solo aggiunto al lungo elenco dei problemi sociali irrisolti. Manca la consapevolezza dell'intreccio che lega la crisi economica finanziaria con quella ambientale, di cui il cambio di clima è l'espressione più inquietante. Non c'è soprattutto la convinzione che da politiche economiche e industriali, in grado di risolvere i problemi ambientali, può venire anche la soluzione dei drammatici problemi sociali che la crisi economica sta producendo. Sarebbe una risposta molto forte a questo governo e alla sua macelleria sociale. Tanto più che in questi giorni i ministri della Repubblica stanno cercando, con minacce e ultimatum, di convincere il resto d'Europa a fare per il clima come loro, cioè nulla. Sanno già che non convinceranno nessuno, se non la parte più arretrata d'Europa (come ad esempio i Paesi dell'ex blocco sovietico) e quindi finiranno per mendicare ogni genere di sconto e rinvio sugli impegni, che poi a reti unificate spacceranno come la grande vittoria del governo italiano sul tentativo europeo di fregarci. Il raggiro dell'opinione pubblica è ormai metodo di governo. Si dimentica infatti che questo Paese ha già ottenuto dalla Commissione europea uno sconto non indifferente quando fu definita la direttiva sulle «tre 20». Non solo il 20% in più di fonti rinnovabili per noi, ma soprattutto quel 20% in meno di gas serra che dovremo realizzare non sarà più calcolato sulla base delle emissioni del 1990, ma su quelle del 2005, condonando così tutta la Co2 emessa dal '90 al 2005 (quasi 90 milioni di tonnellate in più rispetto a Kyoto). Ma l'obiettivo del nostro governo è più ambizioso: fare saltare l'intero pacchetto clima. Si vuole cioè rendere inefficace la principale arma politica, che si è data l'Europa, per coinvolgere il resto del mondo nella lotta ai cambiamenti climatici: prendere decisioni unilaterali. Che stupefacente spettacolo di ipocrisia, quello offerto a Poznam dalla peggior ministra dell'ambiente che questa Repubblica abbia mai avuto (stiamo parlando ovviamente di Stefania Prestigiacomo) quando, dimenticandosi di rappresentare uno dei paesi meno virtuosi nella lotta ai cambiamenti climatici, annunciava che il problema del clima sono i paesi in via di sviluppo, che inquinano e non fanno nulla e che vanno convinti a disinquinare, non con vincoli e regole, ma offrendo loro tecnologie pulite come il solare e l'eolico. Il continuo rimbalzo di responsabilità dà la misura della tempra morale di questa disastrosa classe dirigente. Siamo veramente alla beffa. Perché in questa offerta di tecnologia ai cosiddetti paesi in via di sviluppo non c'è nessuna idea di solidarietà e cooperazione, ma solo la fetenzia di un governo che, pur di non sviluppare qui il solare, l'eolico e le energie rinnovabili, preferisce farlo in Albania e in Cina, chiedendo però che quei pannelli fotovoltaici e quelle pale eoliche vengano conteggiate in quel 20% di fonti rinnovabili in più che la direttiva sul clima ci vincola a fare nei prossimi 12 anni, come se fossero stati installati sui tetti di Palermo e sui crinali appenninici. Enorme sarà la soddisfazione dei difensori del paesaggio come Sgarbi e il Ripa di Meana. Attendiamo con impazienza l'entrata in scena di Berlusconi che ancora ieri, non sappiamo da quale balcone, annunciava che il veto italiano spezzerà le reni all'Europa. Il prezzo di isolamento politico e di aggravamento della crisi che gli italiani pagheranno per queste scelte è elevatissimo. Alcuni timidi segnali di rivolta ci sono stati. Il parlamento italiano è stato presidiato da manifestanti che chiedevano di ripristinare gli sgravi fiscali per le ristrutturazioni energetiche degli edifici. Ma bisogna fare molto di più. Dallo sciopero generale di ieri può partire l'idea di unire l'opposizione sociale e politica al governo su un "new green deal", cercando di farlo crescere nel Paese con conflitti e vertenze. Sarebbe un segnale forte all'Europa, che con Barroso ha dichiarato gli obiettivi sul clima non negoziabili. Speriamo vivamente che anche qui da noi ci sia un'opposizione che vuole fare di questo Paese uno dei protagonisti della lotta al riscaldamento globale.

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