l'Antipatico

lunedì 24 novembre 2008

fuga di cervelli


Studiano i meccanismi dell’universo, scavano dentro la materia oscura, inseguono raggi X ed emissioni infrarosse, cercano nella volta celeste le risposte alle domande primordiali dell’uomo: da dove veniamo?, chi siamo?, dove andiamo? Cosine così, tra tecnologia e filosofia. Ricerca pura. Un «lusso» per l’Italia, che certe risposte ha smesso di cercarle. Eppure senza alzare gli occhi al cielo si resta indietro in molti campi, perché per osservare stelle e galassie si usano strumenti che hanno applicazioni infinite: nella diagnostica medica, nelle analisi dei materiali, nei controlli di qualità dei prodotti industriali, nella ricerca della contaminazione dei cibi e dell’acqua, nella tecnica forense... Che deve fare, allora, un giovane astrofisico italiano? Se è bravo ed ha buone presentazioni prende un aereo e atterra a Monaco di Baviera, dove la fisica è un pallino. Garching, cittadina di 16 mila abitanti a nord di Monaco, ha perfino messo nel suo stemma un reattore nucleare, impianto che esiste dal 1954 per fini di ricerca. Attorno al reattore è poi nato un polo tecnologico e dell'innovazione che fa crescere l'industria, arricchisce la Germania, attira l'interesse del mondo.Vista da qui, la fuga di cervelli dall'Italia è un esodo lento e ordinato. Sui 76 istituti sparsi per la Germania, la prestigiosa Max Planck Society a Garching ne ha installati 4 (fisica extraterrestre, fisica dei plasmi, astrofisica, ottica quantistica) in un bellissimo multicampus per servire il quale c'è una metropolitana nuova di zecca. Gli italiani sono un centinaio, quasi il 15%, oltre a quelli del Politecnico (sempre a Garching) e degli altri istituti della Max Planck di Monaco. «A ben guardare l’emigrazione intellettuale non sarebbe un dramma, si va all'estero per ampliare i propri orizzonti, acquisire nuove conoscenze. Il problema è che non c’è ritorno», dice Giovanni Cresci, fisico di Firenze in forza all’istituto Max Planck per la fisica extraterreste. Allora, sempre vista da qui, la fuga ha due volti: quello dei «fuggitivi» che di tornare in Italia non hanno più voglia neanche se ce ne fosse la possibilità e quello di chi dà loro «asilo». Nulla di umanitario, ovviamente, questi sono «migranti» d'eccellenza aiutati dalle loro famiglie, ragazzi formati nelle tanto bistrattate università italiane che nella ricca Baviera trovano fior di accademici disposti a valutarli con un unico parametro: il merito. Oggi il paese della Merkel dà alla ricerca il 2,6% del Pil contro lo 0,9 (che il prossimo anno scenderà allo 0,7) dell'Italia ed entro il 2015 conta di arrivare al 10% del Pil, comprendendo anche istruzione e formazione. Un investimento sul futuro colossale, che impiega in modo rilevante anche le intelligenze dell'Italia. Benedetta Ciardi è una di queste: vincitrice del Marie Curie Award, prestigioso premio europeo per giovani talenti delle ricerca, astrofisica fiorentina, ha tentato uno sbocco in patria «ma quando ho capito come funzionavano le cose, quando ho visto che un curriculum di tutto rispetto vale per il 10% nella scelta di un ricercatore, quando sai che ogni concorso è una perdita di tempo perché ha un vincitore predestinato, beh, allora scappi». Rientrare? Ci ha provato, all'inizio della sua avventura tedesca, ma invano. Adesso che il suo curriculum glielo permetterebbe non ci pensa proprio: «Gli anni passano, la carriera avanza. Sono al Max Planck da otto anni, ho raggiunto il livello di professore associato con un contratto a tempo indeterminato, lavoro in un ambiente libero dove niente è impossibile. Rientrare è l'ultima cosa che mi passa per la testa». Anche Marcella Brusa, romagnola di Santarcangelo, laureata in astronomia a Bologna, ha avuto, ed ha, nostalgia di casa. «Ma poi pensi alla situazione del nostro Paese e ti consideri fortunata: possibile che in Italia le cose non siano mai stabili?, che se cambia un governo cambiano le regole, i punti di riferimento? Troppa incertezza, insomma. Qui, invece, sai in quale ambito ti muovi, cosa puoi fare e cosa no». Di fatto, per chi riesce ad entrare nel giro Max Planck, la ricerca non ha limiti: gli strumenti di osservazione (i telescopi nello spazio) e di calcolo sono il meglio che un ricercatore possa sognare. Le missioni di studio e lavoro all'estero sono all'ordine del giorno. Gli stipendi? Alti: la prima busta paga di un ricercatore è di 2100 euro al mese, il 50% in più che in Italia, di un associato 3000. I precari (praticamente tutti i ricercatori, dottorandi e post doc) hanno la stessa protezione sociale dei tedeschi. A queste condizioni logico che si smetta di cercare in Italia. Basta adattarsi, e non è sempre facile, alla disciplina bavarese e alla sua maniacale efficienza. È questa l'esperienza fatta da Claudio Cumani, fisico triestino di 45 anni, a Monaco da 15 che lavora come informatico in un istituto di ricerca europeo, conserva la passione per la politica (è stato 9 anni segretario della sezione DS) ed è presidente del Comites, l'organismo di rappresentanza dei 72 mila italiani residenti nella circoscrizione di Monaco. Cumani sviluppa software di controllo dei ricettori di immagini attraverso i dati dei telescopi. Se telecamere e fotocamere digitali migliorano ogni giorno le prestazioni, è grazie a queste ricerche. «Ho cercato sbocchi nell'industria privata in Italia. Quando leggevano il mio curriculum la risposta era: “Lei è troppo qualificato”. Così mi sono messo il cuore in pace, ho sposato una tedesca e qui sono destinato a restare. Ma non mi sfugge quello che succede in Italia. E mi preoccupa una classe politica che vede la ricerca come spesa improduttiva e una classe docente che pensa solo a se stessa. Qui sto bene, il Paese funziona a meraviglia, ai nostri livelli la vita è semplice. Eppure mi rendo conto che non sono più italiano e non sarò mai tedesco». Augusto Giussani, invece, in Italia aveva centrato il suo obiettivo: dopo il dottorato conseguito in Germania ha vinto un concorso per ricercatore a tempo indeterminato. È un fisico che si occupa della dose e degli effetti delle radiazioni sul corpo umano, radioprotezione, medicina nucleare. All'inizio dell'anno ha lasciato la sua (invidiabile) posizione in Italia per tornare a lavorare all'Istituto di Radioprotezione di Monaco. «In Italia - spiega - manca una cultura scientifica. La ricerca è vista come impedimento. Gli investimenti pubblici fino a qualche anno fa non erano tanto inferiori rispetto alla media europea, quello che faceva e fa la differenza sono gli investimenti privati. Se a questo si unisce il fatto che nell'università, come nel resto della società italiana d'altronde, ogni cambiamento viene interpretato come rischio e non come opportunità, e che tagli e ipotesi di riforma impoveriranno gli atenei, ho preferito lasciare il mio posto a Milano». Per la ricerca molto meglio l’ambiente dinamico e stimolante di Monaco. Del resto da qui con novanta minuti di volo (biglietto low cost a 40 euro) si torna a casa. Sugli emigranti della scienza il viaggio non pesa più di tanto: invece pesa, come un macigno, sull'Italia.

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