la questione morale secondo Rossaura
Dalla nostra lettrice preferita, Rossaura, riceviamo e volentieri pubblichiamo un lunghissimo e articolato trattato sulla questione morale. Siamo conformemente appiattiti sulla sua tesi. Crediamo che sia un contributo utile, molto utile, per un democratico, intelligente e inevitabile scambio di opinioni e di posizioni sull'argomento che in questo periodo toglie il sonno ai veri democratici (che si riconoscano o meno nel Partito). Buona lettura e buona riflessione. E grazie ancora di cuore, cara Rossaura, per il tuo contributo. «La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico.»
Enrico Berlinguer
Da un aforisma di Enrico Berlinguer un progetto per un nuovo partito, capace di liberarsi dal conflitto di interessi e dal clientelismo. Questa è la lezione di quest’uomo politico, ma una lezione che valeva solo per il vecchio PCI, non più per quello che divennero successivamente i partiti che rappresentarono la sinistra e il centro sinistra italiano.
Qualcuno asserisce che l’errore sta nell’aver immesso, nella struttura pragmatica ed essenziale del vecchio Partito Comunista, le varie forze di centro, ossia le vecchie anime della scompaginata DC. Il cambiamento ha condotto ad un rilassamento dei costumi, ad un adeguarsi al livello politico del nostro tempo. Sinceramente credo sia una semplificazione del problema e che non abbia nessun fondamento nella realtà. Oggi il malcostume è generalizzato, e investe anche quelle anime di partito che sono cresciute negli insegnamenti dei padri del vecchio PCI.
Insomma, Berlinguer ci aveva visto giusto. Ma è datato, sulla moralità della sinistra non può più dirci niente, perché la sinistra è diventata lo specchio della destra: per controbattere un potere, se ne usa un altro. Della stessa qualità, della stessa “amoralità” politica.
Eppure una differenza c’è ed è terribile. Gli esponenti dei partiti di cui parlava Berlinguer usavano e abusavano del loro potere, in modo ”amorale” ma funzionale ai partiti che rappresentavano, e solo in senso lato a loro stessi. Oggi, invece, il malcostume, la clientela non va mai a favore del partito, non va neanche a favore di una specifica corrente di quel partito, ma va solo a favore di se stessi.
Noi, idealisti di sinistra, ci lambicchiamo il cervello per capire dov’è finita l’etica politica. Soffriamo di sdegno e di repulsione, perdendo di vista in questo modo la visione globale del problema. Questa è la politica dei giorni nostri, questa è la visione del potere. O almeno quella che fa marciare il Governo in carica e la blanda opposizione. Questo è il frutto dei nostri tempi, e che danneggia solo la sinistra, perché siamo gli unici a porci il problema. Siamo pochi e sofferenti, siamo quelli che si schifano e che magari mollano l’impegno politico per “purgare” l’anima nell’inattività e nel silenzio.
Intanto il potere marcia per la sua strada, mina sempre di più le capacità intellettive degli individui e soprattutto ci emargina, cancellando tutte le conquiste e gli ideali per cui abbiamo combattuto.
Ecco perché non possiamo accettare di farci mettere a margine da una classe politica di inetti, e di parassiti. Noi dobbiamo pretendere, prima dai nostri “rappresentati” e poi da quelli che ci governano e che non ci rappresentano, l’onestà morale che conoscevano ed hanno abbandonato per strada, e che come in altri casi non hanno mai conosciuto. Il PD deve azzerare la classe dirigente e per PD intendo le sue radici sane, la base popolare, i circoli, da dove deve uscire la volontà di rinnovamento sostenuta finora solo a parole. Ora devono seguire i fatti.
Se tutto questo non avrà seguito, possiamo cancellarci dalla carta geografica della politica italiana; possiamo diventare sudditi di un’Italia che ormai è un regime. Un regime politicamente amorale, ma autoredento dalla “immoralità” di una opposizione che saremo noi a dover cancellare.
Il “nuovo” dovrà superare un percorso ad ostacoli, per recuperare la credibilità perduta. E come inizio proporrei la morale in cinque punti da sottoporre a chi si candida, ma non solo. Proporrei certo l’autocertificazione, ma anche la verifica da parte di un esecutivo del Partito, che chiameremmo tra di noi Polizia Politica (sarà mai troppo?):
1 - Dichiarare gli incarichi lavorativi, le associazioni a cui si aderisce, l’attività politica e sindacale svolta. 2 - Dichiarare eventuali precedenti con la giustizia o con il fisco, segnalando il reddito proprio e della propria famiglia, nonché le proprietà di cui, direttamente o indirettamente, si dispone. 3 - Dichiarare di essere in regola con tutte le norme che riguardano il mercato del lavoro e i diritti dei lavoratori, per i propri collaboratori, le persone che lavorano per la propria azienda o presso la propria abitazione. 4 - Dichiarare gli eventuali elementi che possono comportare un conflitto di interessi nella gestione del proprio mandato e le modalità con le quali si intende ovviare all’insorgenza di queste problematiche. 5-Dichiarare i principali sottoscrittori della propria campagna elettorale, a partire da cifre superiori ai 1000 euro.
Acclarato ciò, possiamo dire che i partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela con una scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente. Idee, ideali e programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono gli interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche i più loschi, e comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, con formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa. Sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi.
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali.
Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela. Un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, solo se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Volete una conferma di quanto dico? Confrontate il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel 1974 per il divorzio, sia (ancor di più) nel 1981 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Al contrario, invece, nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.
Proprio per questa serie di motivi noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Vi sembra che tutto ciò debba incutere tanta paura agli italiani?
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni. Noi crediamo che certi bisogni sociali e umani (oggi ignorati) vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche (e soprattutto oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sul berlusconismo) in vigore attualmente non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in quale modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione.
Siamo convinti che bisogna sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Siamo coscienti che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire, per la loro parte, a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo, a nostro avviso, è il modo giusto di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Firmato: Rossaura (e approvato integralmente da nomadus).
Enrico Berlinguer
Da un aforisma di Enrico Berlinguer un progetto per un nuovo partito, capace di liberarsi dal conflitto di interessi e dal clientelismo. Questa è la lezione di quest’uomo politico, ma una lezione che valeva solo per il vecchio PCI, non più per quello che divennero successivamente i partiti che rappresentarono la sinistra e il centro sinistra italiano.
Qualcuno asserisce che l’errore sta nell’aver immesso, nella struttura pragmatica ed essenziale del vecchio Partito Comunista, le varie forze di centro, ossia le vecchie anime della scompaginata DC. Il cambiamento ha condotto ad un rilassamento dei costumi, ad un adeguarsi al livello politico del nostro tempo. Sinceramente credo sia una semplificazione del problema e che non abbia nessun fondamento nella realtà. Oggi il malcostume è generalizzato, e investe anche quelle anime di partito che sono cresciute negli insegnamenti dei padri del vecchio PCI.
Insomma, Berlinguer ci aveva visto giusto. Ma è datato, sulla moralità della sinistra non può più dirci niente, perché la sinistra è diventata lo specchio della destra: per controbattere un potere, se ne usa un altro. Della stessa qualità, della stessa “amoralità” politica.
Eppure una differenza c’è ed è terribile. Gli esponenti dei partiti di cui parlava Berlinguer usavano e abusavano del loro potere, in modo ”amorale” ma funzionale ai partiti che rappresentavano, e solo in senso lato a loro stessi. Oggi, invece, il malcostume, la clientela non va mai a favore del partito, non va neanche a favore di una specifica corrente di quel partito, ma va solo a favore di se stessi.
Noi, idealisti di sinistra, ci lambicchiamo il cervello per capire dov’è finita l’etica politica. Soffriamo di sdegno e di repulsione, perdendo di vista in questo modo la visione globale del problema. Questa è la politica dei giorni nostri, questa è la visione del potere. O almeno quella che fa marciare il Governo in carica e la blanda opposizione. Questo è il frutto dei nostri tempi, e che danneggia solo la sinistra, perché siamo gli unici a porci il problema. Siamo pochi e sofferenti, siamo quelli che si schifano e che magari mollano l’impegno politico per “purgare” l’anima nell’inattività e nel silenzio.
Intanto il potere marcia per la sua strada, mina sempre di più le capacità intellettive degli individui e soprattutto ci emargina, cancellando tutte le conquiste e gli ideali per cui abbiamo combattuto.
Ecco perché non possiamo accettare di farci mettere a margine da una classe politica di inetti, e di parassiti. Noi dobbiamo pretendere, prima dai nostri “rappresentati” e poi da quelli che ci governano e che non ci rappresentano, l’onestà morale che conoscevano ed hanno abbandonato per strada, e che come in altri casi non hanno mai conosciuto. Il PD deve azzerare la classe dirigente e per PD intendo le sue radici sane, la base popolare, i circoli, da dove deve uscire la volontà di rinnovamento sostenuta finora solo a parole. Ora devono seguire i fatti.
Se tutto questo non avrà seguito, possiamo cancellarci dalla carta geografica della politica italiana; possiamo diventare sudditi di un’Italia che ormai è un regime. Un regime politicamente amorale, ma autoredento dalla “immoralità” di una opposizione che saremo noi a dover cancellare.
Il “nuovo” dovrà superare un percorso ad ostacoli, per recuperare la credibilità perduta. E come inizio proporrei la morale in cinque punti da sottoporre a chi si candida, ma non solo. Proporrei certo l’autocertificazione, ma anche la verifica da parte di un esecutivo del Partito, che chiameremmo tra di noi Polizia Politica (sarà mai troppo?):
1 - Dichiarare gli incarichi lavorativi, le associazioni a cui si aderisce, l’attività politica e sindacale svolta. 2 - Dichiarare eventuali precedenti con la giustizia o con il fisco, segnalando il reddito proprio e della propria famiglia, nonché le proprietà di cui, direttamente o indirettamente, si dispone. 3 - Dichiarare di essere in regola con tutte le norme che riguardano il mercato del lavoro e i diritti dei lavoratori, per i propri collaboratori, le persone che lavorano per la propria azienda o presso la propria abitazione. 4 - Dichiarare gli eventuali elementi che possono comportare un conflitto di interessi nella gestione del proprio mandato e le modalità con le quali si intende ovviare all’insorgenza di queste problematiche. 5-Dichiarare i principali sottoscrittori della propria campagna elettorale, a partire da cifre superiori ai 1000 euro.
Acclarato ciò, possiamo dire che i partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela con una scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente. Idee, ideali e programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono gli interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche i più loschi, e comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, con formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa. Sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi.
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali.
Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela. Un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, solo se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Volete una conferma di quanto dico? Confrontate il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel 1974 per il divorzio, sia (ancor di più) nel 1981 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Al contrario, invece, nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.
Proprio per questa serie di motivi noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Vi sembra che tutto ciò debba incutere tanta paura agli italiani?
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni. Noi crediamo che certi bisogni sociali e umani (oggi ignorati) vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche (e soprattutto oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sul berlusconismo) in vigore attualmente non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in quale modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione.
Siamo convinti che bisogna sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Siamo coscienti che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire, per la loro parte, a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo, a nostro avviso, è il modo giusto di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Firmato: Rossaura (e approvato integralmente da nomadus).
6 Commenti:
Mi spiace, di non essere riuscita ad inviare il commento che avevo preparato. Spiegavo che non avevo intenzione di prendere merito per la seconda parte del post che appartiene nella sua totalità al grande Berlinguer, ma come potete vedere assolutamente consono anche hai nostri tempi.
Le diversità stanno sopratutto sull'incapacità ormai genetica dei nostri politici a comprendere cos'è la politica e a cosa serve (praticamente l'inverso di quello che pensano).
La cosa che spaventa di più è che questo stato di cose comporta la perdita della capacità democratica di questo paese. La perdita della democrazia è frutto della mancanza di contrapposizione e di discussione politica. Il ricatto chiude le bocche anche dei puri, pensa se non chiude quelle degli intrallazzati. Se nessuno parla chi ci gfatrantirà la democrazia?
Un sorriso influenzato
Ross
Di rossaura, Alle 24 dicembre, 2008 01:09
Non preoccuparti, ROSS. La linea di confine tra il tuo pensiero attuale e quello del caro Enrico di quasi 30 anni fa non è molto distante nè marcatamente in antitesi, anzi. Il tuo modo di vedere le cose, in politica, riporta alla mente il periodo sano, puro e non intrallazzato della sinistra così come doveva essere. Oggi, purtroppo, la mediocrità e il malaffare è al potere e l'opposizione latita. Auguroni per un sereno Natale a te e atuo figlio e cerca di guarire presto dall'influenza. Un sorriso farmacologico da nomadus.
Di nomadus, Alle 24 dicembre, 2008 07:05
Ti ringrazio veramente, anche per il sorriso farmacologico che spero faccia effetto. Auguro anche a te feste serene, ma sopratutto un 2009 di grandi novità e fantastiche sorprese, insomma un anno da ricordare con molta dolcezza. Grazie per l'amicizia
Ross
Di rossaura, Alle 24 dicembre, 2008 13:53
Ancora AUGURI a te, mia dolce e nuova amica.
Di nomadus, Alle 24 dicembre, 2008 21:53
Ho letto il suddetto commento e lo trovo condivisibile al cento per cento.Caro nomadus,sono le cose che avrei voluto scrivere anche io,ma non avrei avuto la stessa capacità di Rossaura.Complimenti,mi auguro di cuore che nel 2009 si possano unire altri lettori.Il confronto è basilare per la nostra traballante democrazia.MAURO.
Di Anonimo, Alle 26 dicembre, 2008 19:17
Caro MAURO, mi unisco al tuo augurio per il 2009. Come si dice in questi casi: più siamo, meglio stiamo.
Di nomadus, Alle 26 dicembre, 2008 19:29
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