l'Antipatico

lunedì 28 luglio 2008

anche i precari hanno un'anima?




Francamente non vorremmo trovarci nei panni di un precario del ventunesimo secolo. Ma non perchè evitiamo status sociali e lavorativi poco edificanti, ma solo per non doverci scorticare l'anima con le unghie della disperazione e con la rabbia livida e smoccolante nei confronti di questa oscena classe politica di destra, razzista nel cuore e nel midollo spinale fino alla morte. Una classe politica imbarbarita dal protezionismo dei loro spiccioli interessi, corporativistici ed immorali, spinti all'estremo pur di tutelare l'esigenza di pochi a discapito delle sofferenze e delle umiliazioni lavorative di molti. Abbiamo letto l'ottimo articolo di Bruno Ugolini su l'Unità di stamani e l'abbiamo apprezzato veramente tanto. E ve lo riproponiamo integralmente. Buona lettura. Non sono bastati i libri, i film, le inchieste, le testimonianze e nemmeno le manifestazioni, le promesse elettorali. Tutto quanto si è prodotto negli ultimi mesi attorno al tema della condizione dei «precari» è stato brutalmente cancellato. Come se non esistessero più. Il governo di centrodestra, quello che annuncia trionfalmente di rappresentare i deboli e addirittura la sinistra, ha deciso di mettere mano alle misure varate dal governo di centrosinistra e di ripristinare non i diritti dei precari, appunto, ma quelli degli imprenditori pubblici e privati. Norme che facevano parte di quel protocollo approvato da cinque milioni di lavoratori proprio un anno fa. Chissà se nelle forze più a sinistra che all’epoca bocciarono quel protocollo ora ci sarà un qualche ripensamento? La marcia indietro innestata dal centrodestra rappresenta un duro colpo per i lavoratori atipici. Un pianeta la cui densità non è facile calcolare. Ovverosia ciascuno se ne fa un’idea guardando il paesaggio umano che lo circonda. E dove ad ogni angolo s’incontrano figli, nipoti, amici che non riescono a trovare una sistemazione lavorativa, magari adeguata alla preparazione professionale conquistata con dura fatica. Anche se questo non significa che non esistano giovani che riescono a trovare una collocazione rassicurante. Sui dati statistici c’è, ad ogni modo, molta discussione. Un apprezzato studioso come Luciano Gallino, ha scritto di cinque milioni di precari. È uscito di recente un libro, a cura di Natale Forlani e Maurizio Sorcioni «Giovani precari? Il lavoro dei giovani tra percezione e realtà» che tende a ridimensionare tale dato. Secondo Forlani (già dirigente Cisl ora amministratore delegato di «Italia Lavoro») non si possono mettere insieme quelli con i contratti a termine, con gli interinali, con i lavoratori a part time e con tutte le fatispecie delle collaborazioni continuative e occasionali. Anche perché tra queste ultime sono presenti ad esempio figure come gli amministratori di condominio non paragonabili con gli operatori ad un call center. E per Forlani sarebbe tutta una questione di «percezione», verrebbe voglia di dire che è come il carovita, l’inflazione. Fatto sta che altri studi testimoniano pur con tutti i distinguo che siamo di fronte ad una realtà consistente. Quelli che passano sotto la definizione di «parasubordinati» ovverosia senza un contratto a tempo indeterminato sarebbero stati nel 2007 1.566.978 se si tiene conto solo di quanto registrato dalla gestione separata dell’Inps. Ovverosia la contabilità che annota i contributi versati dai collaboratori di diversa specie. Il dato è contenuto nel rapporto 2008 curato da Patrizio Di Nicola, Isabella Mingo, Zaira Bassetti, Mariangela Sabato (università la Sapienza). Gli Autori segnalano come l’azione del precedente governo abbia ridotto la quota di coloro che sono a rischio precarietà passati da 858.388 del 2006 ai 836.493 del 2007. Questo con la lotta alle false collaborazioni, con l’aumento dei contributi pensionistici di 5 punti che ha reso meno convieniente per le aziende le collaborazioni, con gli incentivi alla stabilizzazione. C’è chi da ragione alle cifre complessive di Gallino. Il recente rapporto Isfol segnala, sempre per il 2007, che il lavoro dipendente a termine, nelle sue molteplici forme (contratto a tempo determinato, apprendistato, interinale) riguarda quasi 10 lavoratori su 100. Più contenuta la quota dei collaboratori (Co.Co.Co., a progetto, occasionali) pari complessivamente al 5,7%. Il lavoro atipico riguarda quindi tra i 3,5 e i 4,5 milioni di lavoratori. Un dato che rappresenta la metà dei nuovi posti di lavoro. Altro che percezione alimentata dai mass media! Tutti riescono a vedere come sia sempre più difficile trovare un contratto non ballerino. Certo, come sostiene ancora l’Isfol, esiste anche la «flessibilità costruttiva»: il 28% degli atipici ritiene di avere in prospettiva un lavoro di tipo permanente ed il 7% considera la precarietà come una fase di necessaria crescita professionale. È vero che esistono giovani che considerano magari il weekend trascorso nel call center come attività transitoria per finanziare gli studi in attesa di un futuro, qualificato sbocco professionale. Ma nei call center non lavorano solo studenti in transito, c’è anche chi ci deve vivere col lavoro e il reddito da precario al telefono. E se è vero che l’evolversi dei processi produttivi abbisogna di flessibilità non si comprende perché questa flessibilità non debba avere le stesse prerogative del posto fisso in termini di diritti e di costo. Passano gli anni, ma tutto rimane inalterato e i timidi tentativi del centrosinistra di offrire più garanzie vengono spazzati via dalla destra al governo. Mentre nulla si fa per altre categorie che si annidano nelle pieghe dei lavori atipici. Sono quelle dei giovani che si annidano negli studi professionali, nuove fucine di precari e atipici. Qui s’avanza un precario di nuova generazione, magari con partita Iva, spesso di elevata formazione e qualità professionale, troppo a lungo ignorato. È nata così la Fulpp (Federazione Unitaria Lavoratori e Professionisti Precari). Sono circa duecentomila tra tecnici, operatori sanitari, ricercatori, medici, avvocati, ingegneri. Ha dichiarato il leader di questa associazione che il loro reddito «è compreso tra 600 e 800 euro al mese, regolato da contratti fantasiosi». Ecco, è questa la ricetta cara all’attuale compagine governativa. Tutta presa, con il neoministro del Lavoro Maurizio Sacconi, a produrre un libro verde dove per lanciare «l’economia sociale di mercato» si intende innalzare età pensionabile e far dilagare il precariato senza regole. Punire insieme giovani e anziani: questo è il vero programma del governo Berlusconi. Altroche riforme di centrosinistra, come si ascolta dalle trombe della propaganda del centrodestra.

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