l'Antipatico

giovedì 17 luglio 2008

i "diktat" (fuori luogo) del governo Berlusconi


Non ci si abitua mai alla critica e alla democratica contestazione. Chi ha in mano lo scettro del comando si crede giudice unilaterale e supremo dei destini del Paese e dei suoi abitanti. E non vuol sentire ragioni. E non ammette repliche. Chi comanda fa orecchie da mercante alle proteste civili e condivisibili di chi, stando all'opposizione, non gradisce il modo di governare della maggioranza. Non si può pretendere il "dialogo" solo e soltanto quando conviene, rifiutandolo quando si capisce che chi sta dall'altra parte non è così accondiscendente (e fesso) come si vorrebbe. Questa in parole povere la situazione del governo berlusconiano. Un "diktat" continuo, basato sulla richiesta della "fiducia" nelle votazioni per blindare le decisioni (il più delle volte improponibili) prese nei vari consigli dei ministri. Ministri che non osano aprire bocca o replicare al grande capo (anche quando ce ne sarebbero tutti i motivi), che preferiscono trasformarsi in zerbini e scendiletto pur di non scontentare Lui e poter quindi conservare la poltrona. Quest'analisi politica la ritroviamo stamani (per sommi capi) nell'articolo scritto da Claudia Fusani su la Repubblica, con il titolo "Tre voti di fiducia in un mese. Un governo avanti marsh" che vi vogliamo riproporre. Buona lettura. E sono quattro. Quattro voti di fiducia in due mesi. Per la quarta volta, nonostante la maggioranza schiacciante alla Camera e al Senato, il governo chiede la fiducia e blinda il voto su provvedimenti che pesano e tanto. Lasciamo perdere la prima fiducia al governo, alla squadra e al programma: quella è di prassi. Ma poi, in meno di un mese, è scattata la fiducia sul decreto fiscale che prevedeva tra le altre cose il taglio dell'Ici (24 giugno); sul pacchetto-sicurezza e sulle norme per bloccare da una parte e sveltire dall'altra i processi (14 luglio); fiducia ancora, di nuovo, preannunciata stamani sul decreto che accompagna la manovra finanziaria dei prossimi tre anni. Un provvedimento importantissimo, che include misure come la Robin tax e le impronte digitali per tutti a partire dal 2010. Il governo Prodi, che al Senato non ha mai avuto una vera maggioranza, in due mesi di attività non aveva mai chiesto la fiducia. Il ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito e il capogruppo del PdL Fabrizio Cicchitto si sforzano ogni volta di spiegare e giustificare il ricorso alla fiducia. La ragione è sempre la stessa: non c'è tempo da perdere con discussioni, dibattiti in aula ed emendamenti vari. Quindi, si blinda tutto, si mette la museruola al dibattito, si vota, si decide e si va avanti. Altrimenti queste misure fondamentali per la vita del Paese - dal taglio dell'Ici al decreto fiscale alla blocca processi - tutte introdotte per decreto legge e non per disegno di legge - rischiano di decadere. Insomma: bisogna approvare, e in fretta, sostiene il PdL, quindi si procede per decreti e con la fiducia. La negazione, appunto, di quella che si dice una Repubblica parlamentare. Le opposizioni sono in rivolta, stamani una volta di più, e accusano Berlusconi di "espropriare il Parlamento delle sue funzioni". Un paio di settimane fa Veltroni e Casini, i leader di PD e UDC, avevano scritto ai presidenti di Camera e Senato chiedendo di provvedere a tutelare le prerogative parlamentari, il dibattito e la discussione, le critiche ma anche la condivisione di alcuni provvedimenti. Prima di loro una lettera analoga l'aveva scritta il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Lettere morte. Governo e maggioranza continuano a chiedere il voto di fiducia. Blindare il voto dell'aula non è in questo caso un modo per coprire difficoltà interne o fratture sotterranee (che pure ci sono, ad esempio sulla giustizia, e soprattutto con la Lega) ma semplicemente il modo per sforbiciare i dibattito ed accellerare i tempi. Fare in fretta senza perdere tempo in "inutili dibattiti". L'opposizione alza la voce e parla di Parlamento "ridotto" al consiglio di amministrazione di una grande azienda. Il barricadero Di Pietro non fa che ripeterlo: "Caro signor presidente del Consiglio, in questo Parlamento non tutti siamo suoi dipendenti". Cicchitto e Bocchino si sforzano di spiegare che non è vero, che il problema sono i regolamenti parlamentari - che devono "essere modificati il prima possibile" - che allungano troppo i tempi e consentono pratiche dilatorie e ostruzionistiche. Del resto Berlusconi lo aveva detto e spiegato: "Deputati e senatori? L'importante è che ce ne siano una trentina che conoscono i regolamenti. Tutti gli altri devono solo stare lì e votare".

2 Commenti:

  • Buongiorno,questa è la concezione della democrazia che ha la destra italiana.D'altra parte proprio ieri mattina,ho sentito un suo elettore dire che,se dipendesse da lui,l'opposizione non la farebbe neppure parlare.Alla faccia del Popolo della Libertà.Mauro.

    Di Anonymous Anonimo, Alle 18 luglio, 2008 06:57  

  • E' proprio così! Non per niente, se ci fai caso, il cavaliere ha avuto sempre a cuore la PROPRIA libertà, denominando di volta in volta come CASA e POPOLO quella che alla fine con la libertà (degli altri) ha ben poco a che fare.

    Di Blogger nomadus, Alle 18 luglio, 2008 08:23  

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]



<< Home page