l'Italia ostaggio del caimano
Il presidente del Consiglio in carica sta preparando le valigie. Purtroppo non per varcare il portone di san Vittore ma per recarsi nel suo buen retiro di Villa Certosa a Porto Rotondo, per godersi le meritate (dice lui) vacanze. Ha lavorato come un metalmeccanico al tornio, come un extracomunitario sotto il sole cocente a raccogliere pomodori, e quindi deve giustamente riposarsi. In aggiunta ha dovuto anche occuparsi di quelle leggi e leggine che ne salvaguardavano la sua incolumità, e non è stato certo un lavoro di poco conto. Da quanto afferma lui, però, più passa il tempo (e sono trascorsi quasi 15 anni dalla sua discesa in campo) più si sente rinvigorito. Addirittura si paragona ad un Brunello di Montalcino, anche se a noi pare più un aceto andato a male. Ci siamo accorti che tante cose sono cambiate (in Italia e nel mondo) in questo quindicennio targato caimano: tutto meno lui, sempre più caimano e sempre meno statista. E leggendo l'articolo di oggi su l'Unità del direttore Antonio Padellaro, la nostra sensazione viene prontamente suffragata e confermata. L'articolo, davvero interessante, s'intitola "Quindici anni dopo" e ve lo consigliamo caldamente. Buona lettura. Forse dovremmo essere sinceramente grati al senatore Gasparri che ha definito una «cloaca» il Csm. Perché proveremo a spiegarlo partendo da un articolo pubblicato su Internazionale a firma Salvatore Aloïse, corrispondente della tv franco-tedesca Arte. Opportunamente il collega ci ricorda che giusto quindici anni fa, quando Silvio Berlusconi annunciò alla Stampa estera, a Roma, la sua discesa in campo, «Bill Clinton stava per completare il suo primo anno alla Casa Bianca; l’Unione Sovietica era finita da poco e in Russia Putin era ancora il vicesindaco di San Pietroburgo; Tony Blair era un giovane deputato laburista rampante; Internet era agli albori, le videocassette erano in splendida forma e i telefoni cellulari erano aggeggi pesanti e molto esclusivi». Possibile, si chiede Aloïse, che tutto sia cambiato e che solo in Italia tutto sia rimasto fermo? Possibile che il dibattito politico debba, ancora, concentrarsi su come ottenere l’immunità del premier? E debba, ancora, lasciare il passo ai problemi che affliggono l’intero Paese come i tempi biblici della giustizia o l’arrancare delle famiglie per arrivare a fine mese o la perdita di competitività dell’economia o l’arretratezza della scuola?Purtroppo, aggiungiamo noi, se in questo quindicennio l’Italia è sembrata paralizzata dal maleficio lo stesso forse non può dirsi per i protagonisti di questa che assomiglia tanto a una brutta favola. Protagonisti che invece sono cambiati ma, temiamo, in peggio. Non parleremo, però, del «caimano» dalla spessa corazza e dalla sorprendente vitalità ma di chi, come noi, a volte si sente come estenuato, sfibrato, scoraggiato nel dovere fronteggiare una presenza che, lustro dopo lustro, si presenta in forma sempre più aggressiva e sempre più ostile. Nessuno spirito di resa ma quindici anni dopo l’avvento di Berlusconi e del berlusconismo lo stare all’opposizione - soprattutto quella che abbiamo dentro come sentimento di reazione all’ingiustizia e prepotenza - ci porta invariabilmente a ripercorrere gli stessi passi, a dire le stesse parole e a pensare gli stessi pensieri di allora. Anche l’avversario, si dirà, vive la stessa coazione a ripetere. Con la non piccola differenza che loro è il potere e loro sono le leggi. La cronaca di questi giorni può spiegare meglio questo strano stato d’animo. Chiediamoci, per esempio, se piazza Navona è andata come è andata per una sorta di overdose dell’indignazione. Dieci o anche cinque anni fa era sufficiente raccontare le leggi vergogna per quello che sono. Ma oggi solo l’insulto e la deriva verbale sembrano, per alcuni, l’unica reazione possibile al regime soffocante. Quindici anni fa, ai tempi di Mani Pulite, la carcerazione di uomini politici con l’accusa di corruzione veniva salutata dal plauso dell’opinione pubblica, perfino davanti all’uso eccessivo delle manette. Cinque anni fa di manette se ne vedevano fortunatamente di meno, ma nei sondaggi d’opinione la popolarità della magistratura era sempre elevata. Oggi può capitare che un arresto eccellente susciti subito dubbi e perplessità. E anche quando la procura parla di prove schiaccianti ciò non basta a togliere di mezzo il sospetto che dietro possa esserci un qualche complotto. Intendiamoci, meglio così se la molla è quella della prudenza visto che in gioco c’è la dignità delle persone e non si distrugge una vita per un’indagine sbagliata. Ma è anche possibile che questo diverso atteggiamento nasca da una specie di assuefazione o peggio di rassegnazione rispetto al moltiplicarsi dei reati e alla prevalente impunità di chi delinque. Su questo rischio ha scritto pagine memorabili Paolo Sylos Labini, grande economista e paladino della società civile di cui sentiamo forte la mancanza. A proposito di un diffuso e deteriore senso comune egli scriveva non troppo tempo fa che spesso gli italiani giustificano la disonestà sostenendo che non pochi manigoldi sono simpatici. Supposto che sia così, è giusto che dei «simpatici» manigoldi rendano la vita sociale ripugnante? Lui stesso, del resto, aveva sentito persone considerate per bene giustificare le loro malefatte con l’atroce formula del «così fan tutti», che implica la perpetuazione del malaffare. A questo punto il professore ricordava che era la stessa dichiarazione fatta nel Parlamento inglese dal primo ministro Walpole intorno al 1730, «qui ogni uomo ha un prezzo», durante il lungo periodo in cui l’Inghilterra era una Paese profondamente corrotto, pantano da cui uscì attraverso lacrime e sangue. E allora è strano che non essendoci più un Sylos Labini, a scuoterci dal torpore che ogni tanto ci assale ci pensino uomini di tutt’altra pasta come il capo dei senatori del PdL Gasparri. Costui, un eroe dei nostri giorni, ha saputo saldare mirabilmente la lusinga verso il capo con lo stile squadrista che gli è congeniale. Il Csm «cloaca» (il Consiglio Superiore della Magistratura presieduto, ricordiamolo, dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) è la traduzione in un linguaggio primitivo delle celebre invettiva mussoliniana del parlamento ridotto a un bivacco di manipoli. Ogni epoca ha il fascista che si merita. A noi è capitato Gasparri che tuttavia ringraziamo per averci bruscamente ricordato che in Italia si sta combattendo una battaglia decisiva per la difesa della democrazia. E che non lasceremo a metà, dovessimo metterci altri quindici anni.
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