troppi favori per la Franzoni?
L'interrogativo del nostro post odierno nasce spontaneo dopo aver letto molti interventi (dotti e acculturati) di firme del giornalismo sui primi giorni di detenzione di Anna Maria Franzoni nel carcere bolognese della Dozza. Commenti che vanno dal solidale con la condizione umanamente ristretta di una donna e di una mamma (e di una moglie), al qualunquista con l'assioma che chi sbaglia deve pagare, all'indispettito (e altro) di chi vede dei favoritismi, dei privilegi non certo consentiti ad altri meno noti (mediaticamente parlando) detenuti. Poter abbracciare i propri figli e il marito dopo appena 48 ore di reclusione non è mai successo negli annali della giudiziaria. Persino il più furbetto del quartierino attese due settimane a Regina Coeli prima di poter abbracciare (e sbaciucchiare) la sua prosperosa Anna. Eppure la Franzoni, in virtù del suo "potere" televisivo assegnatole dal buon Vespa, ha fatto chiudere un occhio (anzi, tutte e due) alle istituzioni penitenziarie. Così si evince da due ottimi articoli apparsi oggi su La Stampa. Il primo, a firma di Lodovico Poletto, recità così.
Mamme con i bimbi in braccio e mamme con i bimbi per mano. Donne che si asciugano gli occhi e annuiscono: «Certo che lo sappiamo che lì dentro c’è la mamma più famosa d’Italia». Lo dicono mentre se ne vanno dopo l’ora di colloquio «una volta al mese» con il papà, lo zio, il nonno dietro le sbarre. E la Franzoni? «Quella? E’ una vip, non un povero Cristo come tutti gli altri». Visto da qui, da questa spianata d’asfalto, che è il parcheggio adesso affollato di umanità dolente, la «Dozza» è soltanto un parallelepipedo di cemento armato tempestato di finestre, né più brutto né più bello di cento altre galere d’Italia. E Anna Maria è soltanto uno dei 1056 detenuti di questo carcere ultraffollato, dove in dieci metri quadri di cella convivono anche tre detenuti. «E alla Franzoni invece riservano ogni tipo di beneficio. Compreso il fatto di poter ricevere due visite in un sol giorno. Compreso il fatto che ai suoi familiari è stato consentito di entrare in carcere con l’auto nel cortile e lasciarla lì per tutte le ore di colloquio» tuona Flavio Menna, segretario della provincia di Bologna dell’Ugl polizia penitenziaria. Lo fa, dice, a nome dei suoi colleghi agenti che hanno assistito «allibiti», al «trattamento di favore riservato a quella signora». Trattamento di favore in questo carcere? Possibile? Menna, un omone grande grosso e barbuto, s’infervora. Parla di «malcontento degli agenti», e punta il dito contro i vertici del carcere: «Per questa detenuta vip hanno chiuso non un occhio, ma entrambi». E insiste: «Qui dentro tutti sanno come sono andate le cose venerdì. Tutti. Quando mai si è visto un simile comportamento in un carcere? Pensi che anche gli agenti non possono entrare lì dentro con l’automobile. Ai parenti di quella detenuta, invece hanno dato tutto». E ancora: «Qui si deve tornare subito alla normalità. Che cosa accadrà quando un’altra detenuta chiederà le stesse cose che ha ottenuto la Franzoni e non le otterrà? Le regole sono regole, e sono valide per tutti». Se Menna s’infervora il Provveditore regionale dei carceri dell’Emilia, Nello Cesaro, butta acqua sul fuoco della polemica. Parla di «fantasie senza fondamento» per le accuse di favoritismo. E poi spiega: «La signora Franzoni è stata accolta come tutti gli altri detenuti». Tutti-tutti? «Certo. Usiamo questo atteggiamento con quelle persone che entrano qui per la prima volta. Cerchiamo di stargli vicini. Di rendere dolce il distacco dalla famiglia. Insomma, si fa ciò che prevede la legge. Perché chi è qui dentro non senta troppo lontani i suoi cari».Mentre lui spiega Annamaria Franzoni se ne sta in cella da sola, controllata a vista. La sua ora d’aria, in mattinata, l’ha passata nel cortiletto interno. Deserto. Scarpe da ginnastica, maglietta grigia, ha trascorso almeno 40 minuti con Giancarlo Mazzuca, parlamentare del Pdl e amico di famiglia che ieri è andato a trovarla. «E’ una donna molto provata e stanca» dice il deputato. Che adesso parla del pianto di Annamaria, del senso di impotenza. «Credevo nella giustizia. Fino alla fine ho sperato che venisse fuori la verità; invece...» ha ripetuto Annamaria. Che se l’è presa con i giornalisti, ma avuto parole di apprezzamento per il personale della Dozza: «Qui ho trovato gente meravigliosa. Colpendo me - ha detto Annamaria - hanno colpito anche i miei figli, Davide e Gioele; e mio marito Stefano che ora è un uomo distrutto. Per loro potrei anche chiedere la grazia». Poi s’è persa nel ricordo di Samuele, parole dolcissime per quel bimbo strappato alla vita. Parole di mamma. Di dolore: «Adesso è stata tradita anche la memoria di Samuele». Il secondo pezzo che abbiamo apprezzato, sempre su La Stampa, è quello scritto da Pierangelo Sapegno che fa così.
Ma qual è l’anomalia del caso Franzoni? «La cosa più incredibile è che non finisce mai», ha scritto il Foglio. Attorno all’«affranta Annamaria», come la descrivono adesso i giornali, e alla sua vicenda infinita, succede sempre qualcosa di nuovo, e ogni volta non si capisce bene perché. Adesso, l’avvocatessa sua solerte, è riuscita a farle vedere i due figli dopo neanche 48 ore di carcere, mentre le altre detenute si lamentano di dover aspettare minimo due mesi. Sky ha messo su un sondaggio in fretta e furia, e il 78 per cento degli intervistati s’è detto contrario alla concessione della grazia. Strano. Perché il giornale «Liberazione» è arrivato a chiederla, dopo appena due giorni. Da sinistra a destra c’è chi già protesta contro la sentenza. E poi, come spiega Marzio Barbagli, sociologo del Mulino, tutte le ricerche dimostrano che «c’è sempre una forte relazione tra la percentuale di cattolici e di indulgenti». L’ultimo studio compiuto su quindici Paesi dell’Unione Europea «dimostra che ci sono differenze molto forti tra protestanti e cattolici, e che c’è una larga tradizione del perdono nei paesi cattolici». Vuol dire, Barbagli, che la Chiesa «ha in qualche modo ritardato l’affermarsi del sistema giudiziario moderno, dove le regole e la disciplina sono sacre e inflessibili, e dove tutti devono essere trattati allo stesso modo». Così, tornando alla Franzoni, Barbagli dice che prova pena per lei «perché è una madre. Ma esistono principi generali che sono quelli della Giustizia», e lì i sentimenti non c’entrano più. «Tocca ai magistrati decidere. E io per fortuna non sono un giudice». In ogni caso, resta la domanda: sono davvero privilegi quelli di Annamaria? Dobbiamo scandalizzarci? Filippo Berselli, di Alleanza Nazionale, presidente della Commissione Giustizia del Senato, spiega, tanto per cominciare, che «l’anomalia non è quella della Franzoni che vede i suoi figli dopo appena due giorni. L’anomalia è il contrario: se uno deve aspettare due mesi o più per vederli, perché questo significherebbe una malagestione del carcere». Nessuna corsia preferenziale, allora? «Di solito bisogna aspettare una settimana. Ma la prima visita può avvenire anche dopo due giorni. Trovo molto più strana la richiesta della grazia fatta da un giornale. Spetta al Capo dello Stato, non a me, concederla. Ma spetta ai parenti o al detenuto richiederla. Non a un giornale». Il fatto è che se uno parla dei figli, ha ragione Giulio Base, il regista di don Matteo e di tanti altri successi, «come si fa a dir di no? Si può discutere sui privilegi più in generale. La legge è uguale per tutti, così dovrebbe essere e anche a me infastidisce un trattamento diverso. Però, questo processo non ha riguardato solo la giustizia comune, è stato un caso di rilievo nazionale, con tanto di onore e di oneri. Lei è diventata la regina della cronaca». Ed è proprio per questo, sostiene il giornalista Marco Travaglio, «che godrebbe di certe attenzioni e di certi favori. A nessuno verrebbe mai in mente di chiedere la grazia per una che è stata appena condannata, o di far vedere i figli dopo due giorni a chi è in carcere per averne ucciso uno. Tutto ciò non sarebbe possibile se lei non fosse una star mediatica, e su questo noi come categoria abbiamo delle grosse responsabilità. Fra l’altro, fatti i calcoli, sconterà appena cinque anni, se le va male. Fosse stata una rumena avrebbero protestato tutti. E’ l’isteria italiana che passa dalle forche alle indulgenze plenarie». La cosa che rende ancora più anomala la vicenda Franzoni, è che Vittorio Sgarbi dice le stesse cose di Travaglio, uno con il quale di solito condivide litigi e qualche insulto. Anzi, dice proprio che ha ragione lui: «Questa volta sì, occorre rispettare le sentenze che ci assicurano che lei è colpevole. E se anche avessimo un dubbio sulla sua colpevolezza, non potremmo schierarci pro reo, ma a favore dei figli, letteralmente innocenti. E come dunque affidarli nelle mani di una condannata per omicidio?». Tanto per esagerare, poi, persino Michela Vittoria Brambilla si schiera con Travaglio: «Questa vicenda mi amareggia, ma rispetto pienamente il lavoro dei magistrati».
Mamme con i bimbi in braccio e mamme con i bimbi per mano. Donne che si asciugano gli occhi e annuiscono: «Certo che lo sappiamo che lì dentro c’è la mamma più famosa d’Italia». Lo dicono mentre se ne vanno dopo l’ora di colloquio «una volta al mese» con il papà, lo zio, il nonno dietro le sbarre. E la Franzoni? «Quella? E’ una vip, non un povero Cristo come tutti gli altri». Visto da qui, da questa spianata d’asfalto, che è il parcheggio adesso affollato di umanità dolente, la «Dozza» è soltanto un parallelepipedo di cemento armato tempestato di finestre, né più brutto né più bello di cento altre galere d’Italia. E Anna Maria è soltanto uno dei 1056 detenuti di questo carcere ultraffollato, dove in dieci metri quadri di cella convivono anche tre detenuti. «E alla Franzoni invece riservano ogni tipo di beneficio. Compreso il fatto di poter ricevere due visite in un sol giorno. Compreso il fatto che ai suoi familiari è stato consentito di entrare in carcere con l’auto nel cortile e lasciarla lì per tutte le ore di colloquio» tuona Flavio Menna, segretario della provincia di Bologna dell’Ugl polizia penitenziaria. Lo fa, dice, a nome dei suoi colleghi agenti che hanno assistito «allibiti», al «trattamento di favore riservato a quella signora». Trattamento di favore in questo carcere? Possibile? Menna, un omone grande grosso e barbuto, s’infervora. Parla di «malcontento degli agenti», e punta il dito contro i vertici del carcere: «Per questa detenuta vip hanno chiuso non un occhio, ma entrambi». E insiste: «Qui dentro tutti sanno come sono andate le cose venerdì. Tutti. Quando mai si è visto un simile comportamento in un carcere? Pensi che anche gli agenti non possono entrare lì dentro con l’automobile. Ai parenti di quella detenuta, invece hanno dato tutto». E ancora: «Qui si deve tornare subito alla normalità. Che cosa accadrà quando un’altra detenuta chiederà le stesse cose che ha ottenuto la Franzoni e non le otterrà? Le regole sono regole, e sono valide per tutti». Se Menna s’infervora il Provveditore regionale dei carceri dell’Emilia, Nello Cesaro, butta acqua sul fuoco della polemica. Parla di «fantasie senza fondamento» per le accuse di favoritismo. E poi spiega: «La signora Franzoni è stata accolta come tutti gli altri detenuti». Tutti-tutti? «Certo. Usiamo questo atteggiamento con quelle persone che entrano qui per la prima volta. Cerchiamo di stargli vicini. Di rendere dolce il distacco dalla famiglia. Insomma, si fa ciò che prevede la legge. Perché chi è qui dentro non senta troppo lontani i suoi cari».Mentre lui spiega Annamaria Franzoni se ne sta in cella da sola, controllata a vista. La sua ora d’aria, in mattinata, l’ha passata nel cortiletto interno. Deserto. Scarpe da ginnastica, maglietta grigia, ha trascorso almeno 40 minuti con Giancarlo Mazzuca, parlamentare del Pdl e amico di famiglia che ieri è andato a trovarla. «E’ una donna molto provata e stanca» dice il deputato. Che adesso parla del pianto di Annamaria, del senso di impotenza. «Credevo nella giustizia. Fino alla fine ho sperato che venisse fuori la verità; invece...» ha ripetuto Annamaria. Che se l’è presa con i giornalisti, ma avuto parole di apprezzamento per il personale della Dozza: «Qui ho trovato gente meravigliosa. Colpendo me - ha detto Annamaria - hanno colpito anche i miei figli, Davide e Gioele; e mio marito Stefano che ora è un uomo distrutto. Per loro potrei anche chiedere la grazia». Poi s’è persa nel ricordo di Samuele, parole dolcissime per quel bimbo strappato alla vita. Parole di mamma. Di dolore: «Adesso è stata tradita anche la memoria di Samuele». Il secondo pezzo che abbiamo apprezzato, sempre su La Stampa, è quello scritto da Pierangelo Sapegno che fa così.
Ma qual è l’anomalia del caso Franzoni? «La cosa più incredibile è che non finisce mai», ha scritto il Foglio. Attorno all’«affranta Annamaria», come la descrivono adesso i giornali, e alla sua vicenda infinita, succede sempre qualcosa di nuovo, e ogni volta non si capisce bene perché. Adesso, l’avvocatessa sua solerte, è riuscita a farle vedere i due figli dopo neanche 48 ore di carcere, mentre le altre detenute si lamentano di dover aspettare minimo due mesi. Sky ha messo su un sondaggio in fretta e furia, e il 78 per cento degli intervistati s’è detto contrario alla concessione della grazia. Strano. Perché il giornale «Liberazione» è arrivato a chiederla, dopo appena due giorni. Da sinistra a destra c’è chi già protesta contro la sentenza. E poi, come spiega Marzio Barbagli, sociologo del Mulino, tutte le ricerche dimostrano che «c’è sempre una forte relazione tra la percentuale di cattolici e di indulgenti». L’ultimo studio compiuto su quindici Paesi dell’Unione Europea «dimostra che ci sono differenze molto forti tra protestanti e cattolici, e che c’è una larga tradizione del perdono nei paesi cattolici». Vuol dire, Barbagli, che la Chiesa «ha in qualche modo ritardato l’affermarsi del sistema giudiziario moderno, dove le regole e la disciplina sono sacre e inflessibili, e dove tutti devono essere trattati allo stesso modo». Così, tornando alla Franzoni, Barbagli dice che prova pena per lei «perché è una madre. Ma esistono principi generali che sono quelli della Giustizia», e lì i sentimenti non c’entrano più. «Tocca ai magistrati decidere. E io per fortuna non sono un giudice». In ogni caso, resta la domanda: sono davvero privilegi quelli di Annamaria? Dobbiamo scandalizzarci? Filippo Berselli, di Alleanza Nazionale, presidente della Commissione Giustizia del Senato, spiega, tanto per cominciare, che «l’anomalia non è quella della Franzoni che vede i suoi figli dopo appena due giorni. L’anomalia è il contrario: se uno deve aspettare due mesi o più per vederli, perché questo significherebbe una malagestione del carcere». Nessuna corsia preferenziale, allora? «Di solito bisogna aspettare una settimana. Ma la prima visita può avvenire anche dopo due giorni. Trovo molto più strana la richiesta della grazia fatta da un giornale. Spetta al Capo dello Stato, non a me, concederla. Ma spetta ai parenti o al detenuto richiederla. Non a un giornale». Il fatto è che se uno parla dei figli, ha ragione Giulio Base, il regista di don Matteo e di tanti altri successi, «come si fa a dir di no? Si può discutere sui privilegi più in generale. La legge è uguale per tutti, così dovrebbe essere e anche a me infastidisce un trattamento diverso. Però, questo processo non ha riguardato solo la giustizia comune, è stato un caso di rilievo nazionale, con tanto di onore e di oneri. Lei è diventata la regina della cronaca». Ed è proprio per questo, sostiene il giornalista Marco Travaglio, «che godrebbe di certe attenzioni e di certi favori. A nessuno verrebbe mai in mente di chiedere la grazia per una che è stata appena condannata, o di far vedere i figli dopo due giorni a chi è in carcere per averne ucciso uno. Tutto ciò non sarebbe possibile se lei non fosse una star mediatica, e su questo noi come categoria abbiamo delle grosse responsabilità. Fra l’altro, fatti i calcoli, sconterà appena cinque anni, se le va male. Fosse stata una rumena avrebbero protestato tutti. E’ l’isteria italiana che passa dalle forche alle indulgenze plenarie». La cosa che rende ancora più anomala la vicenda Franzoni, è che Vittorio Sgarbi dice le stesse cose di Travaglio, uno con il quale di solito condivide litigi e qualche insulto. Anzi, dice proprio che ha ragione lui: «Questa volta sì, occorre rispettare le sentenze che ci assicurano che lei è colpevole. E se anche avessimo un dubbio sulla sua colpevolezza, non potremmo schierarci pro reo, ma a favore dei figli, letteralmente innocenti. E come dunque affidarli nelle mani di una condannata per omicidio?». Tanto per esagerare, poi, persino Michela Vittoria Brambilla si schiera con Travaglio: «Questa vicenda mi amareggia, ma rispetto pienamente il lavoro dei magistrati».
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