l'Antipatico

lunedì 12 maggio 2008

il doppiopetto (riciclato) di Gianfranco Fini




Per festeggiare il nostro post numero 200 abbiamo scelto un personaggio della politica a noi non molto simpatico (e non molto gradito), ma che comunque, dobbiamo riconoscere, da quando è diventato la terza carica istituzionale dello Stato ha di nuovo l'aplomb del dignitario d'alto bordo in doppio petto. A parte il discutibile (e stranoto) cattivo gusto nella scelta delle cravatte, Gianfranco Fini ha ultimamente ben riciclato la sua immagine da leader, appannatasi negli ultimi mesi prima delle elezioni ma che grazie all'aiuto del suo mentore (il cavaliere) e all'insediamento alla Camera dei Deputati è riuscito a rispolverare e a tirare a lucido, anche all'indomani dell'operazione successione operata nell'ambito di Alleanza Nazionale, da cui si è chiamato fuori nominando il suo delfino Ignazio. Questa nuova immagine istituzionale e personale l'ha anche molto bene evidenziata Lucia Annunziata (che, dobbiamo ammettere, sta diventando la nostra notista politica preferita) con un bell'articolo in prima pagina, stamani su La Stampa di Torino, dal titolo "La seconda vita di Gianfranco" che vi proponiamo integralmente. Buona lettura. Una volta passavano gli uomini, ma restavano i partiti. Oggi, nell'umanissima fragilità raggiunta dalle nostre istituzioni, sono i partiti ad essere transeunti e gli uomini a rimanere. Il che introduce un'interessante variabile alle vecchie biografie politiche. Può infatti capitare, com'è già successo, che a un leader politico vengano riservate più di una vita. Un dono, ma anche una incognita: il passaggio fra due vite è infatti spesso il luogo dove si annidano le sabbie mobili. Sotto questo segno del destino, Gianfranco Fini ha così ieri spento la Fiamma, e nel soffiare sul fuoco ha contemplato la scena intorno a sè con la sospensione d'animo che si dice a volte afferri un superstite. Un bilico fra addio ed euforia: "Sono stati in quel momento gli sguardi di tanti amici in sala a suscitare in me l'emozione più profonda", ha confidato il neo eletto Presidente della Camera agli amici. "Hanno reso palpabile che non avrei mai più partecipato a un'assemblea del mio partito...". Ventuno anni sono davvero tanti alla guida di una organizzazione. Solo un "capricorno, testardo, e con i piedi per terra" quale lui di solito si definisce (ridendone), avrebbe potuto durare tanto. Adesso sembra che tutto fosse stato pensato con visione e precisione; persino l'anniversario della morte di Almirante, come nessun calendario poteva anticipare, è coinciso con lo scioglimento del partito, e l'arrivo del suo ex Presidente agli onori della Terza Carica dello Stato. In realtà, nel suo bilancio, Gianfranco Fini è ben consapevole che sarebbe anche potuto andare diversamente, che tante volte l'azzardo iniziale è stato lì lì per trasformarsi in un errore di calcolo. "La strada è stata in salita. Va ricordato che AN nasce prima di Forza Italia, progetta una nuova destra da sola..." rammenta ai suoi amici, per accennare con cautela al ciclone Cavaliere che ha attraversato, e quasi portato via, il suo partito. Non a caso, se gli si chiede quale sia stato uno dei momenti peggiori di questa marcia, Fini ricorda un episodio da tutti quasi dimenticato: "L'alleanza con Segni", quella in cui lo scalpitante segretario segretario di AN in cerca di identità prova ad accorciare il percorso verso il centro, scavalcando Silvio Berlusconi, e alleandosi con il leader referendario. Con il disastroso risultato che ne segue, alle Europee del 1999, Fini tocca con mano la possibilità reale di essere sconfitto, e non dai suoi rumorosi colonnelli, ma dalla storia. Storia che nel suo caso si chiama Silvio Berlusconi. "Capii che l'accelerazione era stata troppo repentina, rispetto all'elettorato" è il bilancio che fa oggi. Ma da quello sbaglio ha origine il percorso cui si arriva in questi giorni. Fini prende atto (dentro di sè con più chiarezza che fuori) che Berlusconi non si può bypassare: che si può spronare, provocare, e magari a volte anche ricattare, ma il dominus del centro destra è lui. AN si piega a Forza Italia (quanti diventano i Berluscones dentro AN!) e Fini comincia una corsa in parte umiliante, in parte esilarante, per puntare ad essere non oggi ma domani, il Numero Uno. Oggi secondo, domani Dominus. Ed è qui che lo ritroviamo oggi, mentre chiude il suo partito: alla partenza di questa corsa per divenire l'erede di Silvio, il numero Uno futuro del PdL, che si sta creando ora. Sul terreno è rimasto, unico suo competitor, dopo una rigorosa e altrettanto dolorosa selezione, solo un altro uomo: il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Ed è con Tremonti come compagno di viaggio e di ambizione, che Fini prova a misurare il suo spazio: "Senza esagerare, senza parlare sempre, ma nei posti e luoghi adatti, cercherò di mettere un lievito nella cultura politica del Paese, così come Giulio fa nell'economia". Se Giulio riporta in ballo un mix di idee stataliste e liberiste, quale sarà il mix di Fini? "Il libro cui in questo momento mi capita di tornare spesso è =Che cos'è la Nazione?= di Ernst Renan, in cui c'è la frase =la Nazione è un plebiscito che si rinnova ogni giorno=, confida Fini ai suoi più stretti collaboratori. Lettura interessante soprattutto se la si vede connessa alle riletture recenti di questa opera, ad esempio da parte di Alain Finkielkraut, autore di "Occidente contro Occidente", amato dagli intellettuali della destra europea e dai neo-conservatori Usa, per le sue battaglie contro il relativismo e il pensiero debole. Utile leggere questo passaggio di Finkielkraut su Renan: "La nostra questione, in altre parole, non è più, come nel 1882, =Che cos'è una Nazione?= ma =Che cos'è la Francia, e che cosa diventare: ancora una Nazione o una società decisamente postnazionale?=. La risposta a tali questioni fondamentali, se risposta c'è, può nascere solo dallo scambio, dalla disputatio, dal confronto dei punti di vista, e non da una conferenza. Renan faceva opera di definizione per i suoi compatrioti: concettualizzava il loro essere. Siamo all'incrocio delle strade: il compito che incombe su di noi non è dire ma scegliere ciò che siamo, finchè c'è tempo, con piena cognizione di causa". Possiamo dunque dire che il lievito che Fini vuole inserire nella nostra politica è un mix di neonazionalismo e neocittadinanza, come frutto della fine delle vecchie ideologie, e di un confronto serrato su come e dove nasce la nuova cittadinanza. Un esempio di un passo in questo senso, lo stesso Fini lo indica nel suo discorso di insediamento sul 25 Aprile, a suo parere in perfetta linea con quello di Napolitano sul terrorismo. Insomma, si trasformerà sotto i nostri occhi in intellettuale, questo Fini finora conosciuto come guerriero? Il neo presidente ride quando gli amici gli rivolgono questa domanda: "Di intellettuali, nel senso di gente astratta, ne conosco fin troppi, tutti quelli della sinistra ad esempio!". Il suo sarà un impegno istituzionale e concreto: "Riprendere intanto la strada che aveva fatto da Ministro degli Esteri", dicono ancora gli amici, sull'asse "Francia, Mediterraneo, mondo arabo, esportazione della democrazia nel senso non di guerra ma dei diritti...", con in fondo la data del 2010 in cui l'Italia sarà presidente dell'EuroMediterraneo, l'organismo che riunisce 27 Paesi. Fra due anni. Ma il passaggio inizia solo ora e, come si diceva, è in queste zone che si trovano spesso le famose sabbie mobili. Il ruolo di Terza carica dello Stato, infatti, come ben sanno i suoi predecessori, a volte è un dono - vedi Violante e Casini - a volte è una gabbia. Vedi Bertinotti.

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