l'Antipatico

venerdì 9 maggio 2008

quella foto in via Caetani...


In questa giornata dedicata alla commemorazione dell'assassinio di Aldo Moro, vogliamo riproporre una bella intervista, fatta da Laura Leonelli e pubblicata poco tempo fa su il Sole 24 ORE, al fotografo che scattò la famosa foto del cadavere di Moro nel bagagliaio aperto della Renault rossa in via Caetani. Il fotografo si chiama Gianni Giansanti, all'epoca aveva poco più di vent'anni. Quelle foto (http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=document&file=/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2008/03/00030_035.pdf?cmd=art) gli cambiarono la vita. Ora è uno dei più quotati fotoreporter. Ecco l'intervista. Buona lettura.
La ricordiamo tutti questa foto. Trent'anni fa, la mattina del 9 maggio, a Roma, in via Caetani, a pochi passi dalla sede della Democrazia Cristiana e da Botteghe Oscure, fu ritrovato il corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse. La ricordiamo tutti questa fotografia perché immediatamente fece il giro del mondo e disse dell'Italia, della sua classe politica e della sua debolezza, dei suoi oppositori e della loro ferocia, e infine del nostro sgomento, più di qualsiasi parola scritta fino ad allora. La scena è sotto i nostri occhi, indelebile, la Renault 4, il portellone aperto, la tragedia di un uomo senza vita. La Storia si fa immagine. A raccoglierla è un giovane fotografo di ventidue anni, Gianni Giansanti, oggi uno dei più grandi fotogiornalisti internazionali. La sua carriera iniziò così, con quest'immagine di cui per la prima volta raccontiamo la genesi e di cui pubblichiamo in esclusiva il provino. Era lo scatto numero 10. Era una biografia come tante, quella di un ragazzo appassionato di fotografia, che entra come venditore in una piccola agenzia di Roma, la Masterphoto, e che poi se ne va perché le foto le vuole fare lui. Non solo il 9 maggio, ma anche il 16 marzo, il giorno del rapimento. I ricordi iniziano lì. "Io abitavo a Monte Mario e tutte le mattine in moto passavo da via Fani per arrivare in ufficio - racconta Gianni Giansanti, nel suo bellissimo studio a Trastevere – Come al solito alle 8.30, io e Osvaldo Restali, maestro e socio, leggevamo i giornali e ascoltavamo la radio sintonizzata sulle onde corte della polizia. Illegale, ma di routine. A un certo punto sentiamo la voce trafelata di un agente e le parole confuse "sequestro di persona, via Fani". Prendo la moto, la strada la conosco a memoria, arrivo sul posto insieme alla prima ambulanza. Saranno state le dieci meno un quarto, tutto era appena successo, un'apocalisse. Ma intorno non c'era ancora molta polizia e non c'erano neppure i lenzuoli sui corpi degli agenti uccisi. Il nome di Moro, invece, quello era già nell'aria, "hanno rapito Moro", e inquadro la sua borsa per terra e la fascetta dei giornali sul sedile di dietro, l'unico a non essere macchiato di sangue. Poi ad un tratto, vedo una donna accompagnata da un poliziotto e un sacerdote. La fotografo vicino alla macchina della scorta e la sento mormorare, "poveri ragazzi, poveri ragazzi". Solo dopo ho saputo che era moglie di Moro, perché di lei, come di tutta la famiglia non si sapeva quasi nulla. Scatto ancora e poi fuggo a sviluppare i rulli. Inizia la corsa per la vendita e anche quel giorno avevo delle fotografie che non aveva nessun altro". Prime ore del pomeriggio, la città è deserta, tutti chiusi in casa, terrore, un paese intero sotto sequestro. Giansanti segue la polizia nei posti di blocco e nelle perquisizioni alla periferia di Roma. Nulla. In attesa, da fotografare, c'è solo l'omaggio della gente in via Fani, i fiori, i rosari appesi al cancello. Quindi, il 18 marzo, insieme al comunicato n.1 viene fatta trovare una polaroid che ritrae lo statista sotto la stella a cinque punte. Passa un altro mese, altri comunicati, e "noi fotografi andavamo in Questura – riprende Giansanti - a chiedere di poter riprodurre quei fogli. Per il resto, vuoto. Poi il 18 aprile, nel comunicato n.7, le BR annunciano che il corpo di Moro è stato buttato nel lago della Duchessa, vicino a Rieti. Riparto in moto, seguo le pattuglie, ma l'indicazione è falsa. Torno a casa. Torno sotto la sede della Democrazia Cristiana". Ormai le riunioni a vertici della Dc sono sempre più drammatiche. "Il 9 maggio verso le dodici e mezza, alcuni colleghi, dopo aver fotografato l'ennesimo incontro, scendono e mi invitano a mangiare. Ma io resto, perché quel giorno volevo fare qualche primo piano a colori, a Zaccagnini, a Fanfani, ad Andreotti, da tenere in archivio e magari vendere a qualche settimanale. A un certo punto vedo uscire dal portone di Piazza del Gesù due, tre poliziotti in borghese che salgono su una macchina, sgommano e si dirigono a tutta velocità verso Largo Argentina. Li seguo in moto, Corso Vittorio, la pattuglia inchioda, rigira, torna in Largo Argentina, quindi Botteghe Oscure. E lì si ferma. Arrivano i celerini che bloccano via Michelangelo Caetani. Cordone, non si passa. Ma mi accorgo che l'altro ingresso della strada non è stato ancora sbarrato. Riprendo la moto, arrivo appena in tempo, pochi metri correndo e mi infilo nel primo portone aperto che trovo. Salgo al primo piano. Nella finestra accanto c'è un altro collega Rolando Fava, dell'Ansa, quindi Maurizio Piccirilli, e un operatore di GBR. La strada comincia a riempirsi di agenti, confusione, brusìo, ma l'epicentro lo si intuisce subito, è una Renault 4 rossa. La voce è che abbiano trovato un barbone, morto abbandonato. Inizio a scattare e sono foto a colori. Un questurino si avvicina alla macchina e apre lo sportello laterale. Ma in quell'istante vedo arrivare Cossiga, allora ministro degli Interni, di nuovo scatto, poi la folla degli agenti si avvicina alla Renault e un poliziotto si gira e si mette una mano sulla faccia, disperato. Contemporaneamente, dalla televisione accesa nell'appartamento in cui mi trovavo, si sente un annuncio: "Ci arriva in questo istante la notizia che il corpo dell'onorevole Moro è stato ritrovato in via Caetani". E io stavo là e allora era lui nella macchina. Dalla strada mi vede un poliziotto che mi punta la pistola e mi ordina di scendere e consegnargli i rulli. Mi ritiro dalla finestra e seguo la scena dal riflesso sul vetro. Con me ho una sola macchina e tre obiettivi, un 35, un 50 e soprattutto un 200. Sono l'unico ad averlo. Ma a quel punto a cacciarmi è il padrone di casa, spaventato. Esco e salgo sul tetto del palazzo. Dall'alto vedo l'arrivo degli artificieri. Si teme che i brigatisti abbiamo minato la macchina. Mi sporgo, ma è troppo pericoloso. Scendo di corsa e nella confusione assoluta rientro nella casa di prima e il proprietario neanche se ne accorge. Metto il 200 ed è come essere a pochi centimetri dalla scena. Gli artificieri squarciano il portellone, scatto, lo aprono. Tolgo il rullo a colori e lo nascondo negli slip. Rimetto il bianco e nero. Appare una coperta, arriva il medico legale che scopre il corpo, scatto. La massa dei poliziotti si riversa allora sulla macchina ed altri agenti tentano di respingere i colleghi. Scatto, quindi di nuovo nascondo il film. Voglio ancora del colore e a questo punto mi rimane solo la pellicola al tungsteno, bluastra in esterni, ma la metto lo stesso. Torno a inquadrare Moro. Riavvolgo il rullo. Quindi in b/n riprendo l'arrivo dell'ambulanza e il corpo che viene portato via. Ultime immagini e corsa folle al laboratorio. Non perdo di vista un solo attimo le pellicole. Adesso le ho in mano, le immagini. Sono già all'Associated Press per il bianco e nero. Poi vado a Time con le foto a colori e ho la copertina. Alla sera tardi, a casa, mi chiama Gamma, allora l'agenzia dei miei sogni. Mi propongono un contratto. In piena notte arriva un aereo privato e la mattina alle sette i negativi sono a Parigi. E in quel volo inizia la mia seconda vita".

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