oggi, 30 anni fa
Siamo oramai all'epilogo del sequestro Moro. Il comunicato numero 9 delle Brigate Rosse non lascia adito a dubbi. La decisione di uccidere il presidente della Democrazia Cristiana è stata alla fine presa. Non hanno più nulla da dire. La parola alle armi, come scrivono i brigatisti nel comunicato. Il direttore de la Repubblica dà ampio spazio in prima pagina all'annuncio delle BR in quel sabato 6 maggio 1978. Ospita anche un ultimo, estremo appello dell'allora presidente dell'OLP, Yasser Arafat, che non avrà (come tutti gli altri appelli precedenti) seguito. Eugenio Scalfari scrive il suo editoriale, intitolato "Democrazia contro terrorismo" che vi riproponiamo integralmente. La folle logica delle Br sembra purtroppo essere arrivata alla sua tragica conclusione. Il testo del comunicato numero 9, oltre all'annuncio che la condanna a morte di Moro è "in corso di esecuzione", contiene un appello all'insurrezione vera e propria: "...Estendere l'attività di combattimento, concentrare l'attacco armato contro i centri vitali dello Stato imperialista...questo bisogna fare per fermare gli assassini capeggiati da Andreotti...". Il problema di queste ore sta tutto nella risposta che il governo e le forze politiche daranno ad una sfida che preannuncia ormai il terrorismo di massa congiunto alla sommossa di piazza. Se alle parole seguiranno i fatti (ma i fatti in realtà stanno da tempo precedendo le parole) ci troveremo tra poche ore con il corpo di Moro abbandonato chi sa dove e con un infittirsi di attentati sanguinosi, collegati gli uni con gli altri in un unico disegno eversivo. Di fronte ad una fosca realtà di questo genere bisogna innanzi tutto non perdere il controllo dei nervi e non cedere a spinte emotive. Le forze di pubblica sicurezza non hanno certo brillato in questi cinquanta giorni per efficacia nelle indagini. E' stato, il loro, un fallimento totale, che accresce il senso d'impotenza e di frustrazione che tutti proviamo. La gestione politica del ministro dell'Interno ha invece avuto il merito di non esasperare la situazione oltre il limite dell'irreparabile. Sappiamo che Cossiga ha trasmesso da alcuni giorni al presidente del Consiglio, agli altri ministri che fanno parte del Comitato di sicurezza interna e ai segretari dei partiti della maggioranza un documento nel quale è indicata la strategia che il ministero dell'Interno intende adottare nell'ipotesi che "l'esecuzione" di Moro abbia effettivamente luogo. Per quanto ne sappiamo, il ministro dell'Interno ribadisce l'inutilità e la pericolosità insieme di misure eccezionali, "fino a quando, ovviamente, al terrorismo non si affiancassero vere e proprie azioni di guerriglia allo scoperto che richiederebbero mezzi di repressione diversi da quelli propri delle forze di pubblica sicurezza". Concordiamo completamente con questa strategia. Governo, partiti democratici, opinione pubblica, mezzi di comunicazione, affrontano in queste ore una prova decisiva. E' in gioco la sopravvivenza delle istituzioni repubblicane. E sul comportamento di tutti, individuale e collettivo, grava un'enorme responsabilità. Sono momenti, questi, nei quali il destino della Nazione sta nelle mani di ogni cittadino. Tutti ne siamo consapevoli. Così si concludeva l'editoriale-appello di Eugenio Scalfari in quegli ultimi giorni del sequestro Moro. I giochi erano chiusi, non esisteva alcuna possibilità di appello, di ripensamento. E la tragicità di quei momenti, il direttore del quotidiano romano la faceva trasparire mirabilmente dal tenore dei suoi articoli. Compresa la non velata critica alle autorità che all'epoca erano a capo delle forze di polizia. Come si scoprirà successivamente, erano quasi tutti contaminati dalla massoneria della famigerata Loggia P2 di Licio Gelli, che non permise, pur avendone mezzi e possibilità, di scoprire il covo brigatista dov'era tenuto segregato Moro, impedendone di fatto la sua libertà e la sua salvezza.
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