lo sdoganamento di Alemanno
La vittoria eclatante di Gianni Alemanno al ballottaggio di domenica scorsa nella corsa alla poltrona di sindaco di Roma ha provocato, oltre che una naturale euforia negli ambienti della Destra (postfascista o meno) e del popolo berlusconiano, anche una corsa all'inaspettato incensamento e venerazione politica e personale del personaggio Alemanno, più che del politico dalla croce celtica. Una sorta di consequenziale sdoganamento ideologico e storico dell'ex picchiatore nero, un riconoscimento postumo (tipico di chi sale sempre sul carro dei vincitori) che alla fine appare anche un pò forzato e quasi dovuto, seppur nel riconoscimento della bravura operativa e propagandistica della sua campagna elettorale. Ci sembra opportuno a questo punto evidenziare un bell'articolo al riguardo di Roberto Cotroneo, pubblicato stamani in prima pagina su l'Unità, dal titolo significativo "L'invasione degli alemanni" che abbiamo deciso di riproporvi integralmente. Buona lettura. Ma come è? Gianni Alemanno ora è diventato un intellettuale alla Roland Barthes, un politico di razza, un lavoratore instancabile, quello che sorprenderà tutti, il sindaco di tutti i romani. Ma anche un uomo di statura internazionale. Basta leggere i giornali per capirlo. In meno di 24 ore si è attuata la solita rivoluzione all’italiana. Con tanto di carri del vincitore su cui saltare. In 24 ore l’incenso che non era stato usato per Berlusconi, quello rimasto ancora, è stato bruciato per Alemanno. Che non è diventato, ovviamente, niente di più e niente di meno di quello che è sempre stato. Una persona seria, molto di destra, di una destra sociale che ha sempre guardato con attenzione e rispetto ai ceti più disagiati. Ma ormai su Alemanno si è aperta una gara a chi se la inventa più grossa. Il Corriere della sera ad esempio intervista Mario Capanna. Capanna, voglio dire, uno che ci ha intontito con l’antifascismo e il Sessantotto per un quarantennio. E cosa dice Capanna? «Che fa un tour per rincuorare gli animi dei romani». Perché è felice che Alemanno abbia vinto. Certo, i saluti romani non gli piacciono ma «gli italiani sono di una saggezza mista a follia». E il nuovo sindaco di Roma «sa ascoltare la gente». Qualche pagina più avanti, nella cronaca di Roma, siamo ormai alla mitologia. Dove vanno i nuovi leader di An a cena? In quali locali? Vengono elencati tutti i luoghi dove se passate la sera potreste incrociare Ignazio La Russa, Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri, o lo stesso Alemanno. Con tanto di cartina. «Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa affezionati clienti dell’Osteria del Sostegno. Alemanno al Gallura, La Russa al T-Bone, Fini all’Antica Pesa». Anche se Fini fa vita molto riservata e «lui, quando può, preferisce Anzio: è cliente fisso di Romolo al Porto». E fosse solo questo. Il titolo dell’articolo principale è il seguente: «Alemanno s’insedia: “Al lavoro senza pietà”». Stessa pagina: «Giancarlo Elia Valori: “Commissione? Idea geniale”». Nella pagina accanto torna Pasquale Squitieri, uno di quelli che hanno fatto la storia del cinema come tutti sappiamo. «Festa del cinema? Porta jella, cambiamo nome». E dice: «Di fare le foto con Clooney e De Niro non me ne frega proprio niente». Chissà se invece De Niro sarà turbato di non avere l’opportunità di farsi fotografare con Squitieri. E qualcuno prima o poi glielo dovrà dire. Anche al principe Carlo dovranno spiegare che Leon Krier prossimamente sarà un po’ meno a Londra, perché l’urbanista del Principe entrerà nella giunta di Alemanno. Come anche il generale Mario Mori. Con un titolo emblematico: «Krier e Mori, le sorprese di Alemanno». E poi Umberto Croppi sarà l’assessore alla Cultura della nuova amministrazione. Il più antico amico di Alemanno, quello che alla domanda: «L’altra sera, al Campidoglio, alcuni festeggiavano con il saluto romano». Risponde: «Fisiologico, direi». Fisiologico che anche la stampa sia così palesemente entusiasta? Senz’altro strano. E non perché non si possa essere entusiasti di Alemanno. Ognuno è quello che gli pare, ed è quello che ritiene giusto essere. Ma riempire colonne su colonne sulla commissione Attali, che Alemanno vorrebbe fare a Roma, ha qualcosa che non torna. Non si capisce a che cosa serva questa commissione. Chi verrà chiamato a farne parte, se poi dopo pochissime ore dall’elezione, non Alemanno, ma tutti i suoi si sono scatenati a spiegare che niente andava bene, che bisognerà azzerrare tutto quanto ha fatto Veltroni, che era ora di sventolare il tricolore. Che avremo un cinema autarchico, una cultura autarchica, e che sarà tutta un’altra storia. Capanna dice che Rutelli era un «mandarino». Antonio Pennacchi, scrittore, afferma in un’intervista che Alemanno deve rimanere quello che è e se non perde la sua identità diventa un vincente. Ma attorno a lui c’è poco di Attali. E va detta una cosa. Non è poi solo colpa del nuovo corso che ci aspetta, è più colpa di un certo meccanismo dell’informazione che cambia i nomi, gli schieramenti e su questi applica gli stessi stili. Allora se la sinistra va a cena, ci va anche la destra. E allora si titola: «E la sera andavamo al Sostegno». E tutto sembra identico, e invece non è vero. E non si tratta di capire se sarà un disastro oppure no. Si tratta di capire che le cose sono diverse, e capire come cambierà Roma con la nuova amministrazione di destra. Le cose sono talmente diverse che poi gente come Squitieri usa non le categorie sofisticate e sottili degli intellettuali francesi ma stabilisce che la mostra di Roma «porta jella». Dove la jella è una categoria magica-antropologica, persino alchemica, ha ben poco a che fare con la raffinatezza culturale. E molto a che fare con la rozzezza. Tenerli buoni sarà compito di Alemanno. L’uomo che lavorerà senza fermarsi, l’uomo che viene fotografato sulle montagne, il capospedizione sul K2. Un modo per mettere in evidenza la tempra, il coraggio, l’eroismo, persino. Credo che Alemanno ne sarà stupito, ed essendo un uomo schivo, persino imbarazzato. Passato dal fascismo romano, dagli scontri degli anni Settanta, dalla croce celtica al collo (che poi è quella del povero Paolo Di Nella, a cui Veltroni ha giustamente dedicato una via di Roma), ai nuovi e sorprendenti squittii dell’alemannismo, una nuova categoria che verrà cavalcata nei prossimi giorni. L’alemannismo per i giornali sta diventando sinonimo di trasparenza, di serietà ma soprattutto di autenticità. E nel modo approssimativo di raccontare il mondo dagli opinion leader e dagli intellettuali, si finisce per trasformare il nuovo sindaco di Roma in un personaggio che in natura non esiste.
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