se ci fosse Enrico Berlinguer...
Vi avvisiamo. Questo post è molto lungo. Ci vorranno più di trenta minuti per leggerlo tutto. Se li avete bene, leggete pure (non ve ne pentirete!), altrimenti passate ad altro. Noi vi riproponiamo (anche per farvi fare alcune riflessioni sul ruolo della sinistra al crepuscolo) una storica intervista di Eugenio Scalfari ad Enrico Berlinguer, pubblicata su la Repubblica il 28 luglio 1981, una vita fa. Ci sono cose che sembrano dette qualche ore fa, non 27 anni orsono. Una sorta di testamento politico a futura memoria. Buona lettura. Dove sta andando il Pci? Cosa pensa il partito della svolta francese, del governo Spadolini, della politica di Craxi, della crisi economica e della nuova ondata terroristica? A queste ed altre domande risponde Enrico Berlinguer in una intervista a "Repubblica". "I partiti non fanno più politica", dice il segretario comunista, "hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Ma noi siamo una forza politica diversa. Ai tempi della solidarietà nazionale ci hanno scongiurato di fornire i nostri uomini per banche, enti, poltrone di sottogoverno, per partecipare anche noi al banchetto. Allora, a un certo punto, ce ne siamo andati sbattendo la porta". Nelle parole di Berlinguer affiora anche l'autocritica. "Nel '79 rischiammo il tracollo, una sconfitta che poteva metterci in ginocchio. Avevamo puntato sulla possibilità che la Dc potesse davvero rinnovarsi e modificarsi, cambiare metodi e politica. Abbiamo sbagliato. Quando ce ne siamo resi conto, abbiamo messo la Dc con le spalle al muro...". "I partiti non fanno più politica", mi dice Enrico Berlinguer, ed ha una piega amara sulla bocca e, nella voce, come un velo di rimpianto. Mi fa una curiosa sensazione sentirgli dire questa frase. Siamo immersi nella politica fino al collo: le pagine dei giornali e della Tv grondano di titoli politici, di personaggi politici, di battaglie politiche, di slogans politici, di formule politiche, al punto che gli italiani sono stufi, hanno ormai il rigetto della politica e un vento di qualunquismo soffia robustamente dalle Alpi al Lilibeo..."No, no, non è così", dice lui scuotendo la testa sconsolato. "Politica si faceva nel '45, nel '48 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine degli anni Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee e, certo, anche di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c'era allora, quanto entusiasmo, quante rabbie sacrosante! Soprattutto c'era lo sforzo di capire la realtà del Paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava. De Gasperi stimava Togliatti e Nenni e, al di là delle asprezze polemiche, ne era ricambiato". Oggi non è più così? "Direi proprio di no: i partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia". La passione è finita? La stima reciproca è caduta? "Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un =boss= e dei =sotto-boss=. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la Dc Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora..." Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana. "E' quello che io penso". Per quale motivo? "I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal Governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la RaiTv, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il =Corriere della Sera=, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente: ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il =Corriere= faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le =operazioni= che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; una autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti". Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle. "E secondo lei non corrisponde alla situazione?". Debbo riconoscere, signor segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del Paese da un pezzo. Allora delle due l'una: o gli italiani hanno, come si suol dire, la classe dirigente che si meritano, oppure preferiscono questo stato di cose degradato all'ipotesi di vedere il partito comunista insediato al governo e ai vertici di potere. Che cosa è dunque che vi rende così estranei o temibili agli occhi della maggioranza degli italiani? "La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani danno in occasione del referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interesi privati o di gruppo o di parte. E' un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un Paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al Nord come al Sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane. Non nego che, alla lunga, gli effetti del voto referendario sulla legge 194 si potranno avvertire anche alle elezioni politiche. Ma è un processo assai più lento, proprio per le ragioni strutturali che ho indicato prima". Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei le descrive. "In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poichè noi dichiariamo di essere un partito =diverso= dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità". Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da verne paura? "Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione: e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ho detto che i partiti hanno degenerato, quale più quale meno, da questa funzione costituzionale loro propria, recando così danni gravissimi allo Stato e a se stessi. Ebbene, il Partito comunista italiano non li ha seguiti in questa degenerazione. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?". Mi pare che incuta paura a chi ha degenerato. Ma vi si può obiettare: voi non avete avuto l'occasione di provare la vostra onestà politica, perchè al potere non ci siete arrivati. Chi ci dice che, in condizioni analoghe a quelle degli altri, non vi comportereste allo stesso modo? "Lei vuol dirmi che l'occasione fa l'uomo ladro. Ma c'è un fatto sul quale la invito a riflettere: a noi hanno fatto ponti d'oro, la Dc e gli altri partiti, perchè abbandonassimo questa posizione di intransigenza e di coerenza morale e politica. Ai tempi della maggioranza di solidarietà nazionale ci hanno scongiurato in tutti i modi di fornire i nostri uomini per banche, enti, poltrone di sottogoverno, per partecipare anche noi al banchetto. Abbiamo sempre risposto di no. Se l'occasione fa l'uomo ladro, debbo dirle che le nostre occcasioni le abbiamo avute anche noi, ma ladri non ci siamo diventati. Se avessimo voluto venderci, se avessimo voluto integrarci nel sistema di potere imperniato sulla Dc e al quale partecipano gli altri partiti della pregiudiziale anticomunista, avremmo potuto farlo: ma la nostra risposta è stata no. E ad un certo punto ce ne siamo andati sbattendo la porta, quando abbiamo capito che rimanere, anche senza compromissioni nostre, poteva significare tener bordone alle malefatte altrui, e concorrere anche noi a far danno al Paese". Veniamo alla seconda diversità. "Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri, gli emarginati, gli svantaggiati vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni: che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata". Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti. "Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi;, con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stato noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni amministrate con onestà, ci siamo noi". Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perchè? "La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, secondo noi comunisti, fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perchè dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perchè gli altri partiti possono provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche". Signor segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. E' anche lei del medesimo parere? "Risponderò nello stesso modo di Mitterand. il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è, se vogliamo, l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'uno e contro l'atra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio che, pur di domare l'inflazione, si debba pagare il prezzo di una recessione massiccia e di una massiccia disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili". L'inflazione avrà pure delle cause, non cade dal cielo... "Certo che ce l'ha. E la prima viene dal dollaro. Un dollaro a 1.200 lire, mentre appena pochi mesi fa non raggiungeva le 800 lire, quanti punti di inflazione introduce nel sistema? Di quanto aumenta il costo di tutte le importazioni e in particolare del petrolio? E' un aumento di quasi il 50 per cento, un fenomeno di dimensioni enormi. Il vertice di Ottawa anche da questo punto di vista è stato un fallimento: ma direi che è stato un fallimento da tutti i punti di vista. E poi: abbiamo in Italia una bilancia agricolo-alimentare terribilmente deficitaria, ma non si è fatto e non si fa quasi nulla per trasformare e sviluppare l'agricoltura. Infine, la spesa pubblica: un cancro che divora le risorse del Paese in mille modi, con mille sprechi, a favore di mille clientele". POST SCRIPTUM: ABBIAMO DECISO DI "TAGLIARE" E DI MOLTO QUESTA LUNGHISSIMA INTERVISTA DI BERLINGUER. BASTI PENSARE CHE LE DOMANDE DI SCALFARI FURONO 53. NOI NE ABBIAMO RIPORTATE 14. A NOSTRO GIUDIZIO QUELLE CHE RITENIAMO LE PIU' ATTUALI E RIPROPONIBILI OGGI, MAGARI IN UN'IPOTETICA INTERVISTA AL SEGRETARIO DEL PARTITO DI UNA IPOTETICA NUOVA SINISTRA.
6 Commenti:
E' proprio vero oggi non esiste più un solo politico sulla scena italiana in grado di tenere testa o di legare le scarpe a un vero comunista, quale fù Berlinguer
Di piscian, Alle 22 aprile, 2008 23:16
E nemmeno di rifargli il nodo della cravatta. Hai proprio ragione caro amico commentatore, non ci sarà un altro dolce Enrico (come cantava Venditti)...Purtroppo.
Di nomadus, Alle 22 aprile, 2008 23:28
Carissimo,questo post me lo devo stampare e leggero con molta calma.Ma non posso di fare a meno di ricordare,con commozione,l'uomo politico che è sempre presente nella mia mente e che mi accompagnerà fino all'ultimo dei miei giorni.MAURO
Di Anonimo, Alle 23 aprile, 2008 19:10
Siamo in due, caro MAURO, a portare nel nostro cuore Enrico Berlinguer, con affetto e con onore.
Di nomadus, Alle 23 aprile, 2008 19:24
Carissimo,non ho potuto fare a meno di leggere il tuo post.Quanta attualita' in quelle parole e come si sente la mancanza di un partito che rappresenti veramente quelle esigenze.MAURO
Di Anonimo, Alle 23 aprile, 2008 19:38
E come si sente l'esigenza di una nuova "questione morale" politica...
Di nomadus, Alle 23 aprile, 2008 19:52
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page