oggi, 30 anni fa
Anche oggi vogliamo ripercorrere il periodo storico di 30 anni fa, quello del sequestro e dell'uccisione di Aldo Moro, con la prima pagina de la Repubblica di mercoledì 19 aprile 1978 e con un editoriale non firmato (e quindi attribuibile, come da prassi, al direttore Eugenio Scalfari) dal titolo significativo: "Questa volta il paese è compatto" che vi riproponiamo integralmente, per una nuova rilettura di quel periodo e di quei tragici momenti. Non ci poteva essere un 18 aprile più tremendamente fosco di quello che abbiamo passato: l'annuncio dell'assassinio, il pensiero di quel corpo affondato in un lago ghiacciato come la morte, il sadismo di quel comunicato, l'affanno delle ricerche, l'irruzione nel covo dei brigatisti al decimo chilometro della Cassia, carabinieri e polizia agli sbocchi delle strade del centro di Roma, Zaccagnini terreo, La Malfa in lacrime, la famiglia di Moro impietrita nel dolore. Nel momento in cui scriviamo, ancora s'ignora se l'ultimo messaggio delle Br sia autentico, sebbene l'opinione degli inquirenti propenda per il sì. Ma autentico non vuol dire necessariamente veridico. Le ipotesi che attualmente s'intrecciano - fino a quando il piccolo lago della Duchessa non sarà stato interamente esplorato e dragato - sono dunque le seguenti: 1) Il volantino delle Br è un falso materiale, compiuto da un gruppo di macabri ignoti desiderosi di "punire" la Dc nel giorno anniversario della sua vittoria politica di trent'anni fa. Quest'ipotesi non sembra credibile. 2) Il volantino è autentico e veritiero: il corpo di Moro è là, sotto quell'acqua gelata, sulla cima del Velino! Oggi o al massimo domani dovremmo averne conferma. 3) Il volantino è autentico ma non veritiero. E' servito cioè a distrarre per alcune ore l'attenzione degli inquirenti, a "depistarli" verso un obbiettivo falso. Per consentire nel frattempo ai brigatisti di cambiare zona, rompere la stretta delle indagini e proseguire da un luogo più sicuro l'azione intrapresa il 16 marzo. Quindi eventuali trattative con Amnesty International, con l'obbiettivo di piegare lo Stato e ottenere un prezioso riconoscimento politico-giuridico. Questa terza ipotesi, allo stato dei fatti, non pare credibile. 4) Il volantino è autentico e Moro è stato ucciso. L'indicazione del lago della Duchessa sarebbe però falsa e servirebbe a consentire alle Br un momento di respiro per depositare il cadavere in qualche altro luogo e indicarlo successivamente. Questo il quadro e i vari scenari. Ma al di là d'una fredda analisi del possibile, restano fin d'ora accertati alcuni fatti essenziali. Anzitutto resta accertato che un gruppo di criminali ha giocato fino alle conseguenze estreme con la vita d'un uomo, dopo averne eliminati già molti altri sulla sua strada. L'efferatezza ha raggiunto un tale culmine che ormai tutte le spiegazioni, le possibili attenuanti, la disponibilità a comprendere, sono definitivamente cadute. Molti mesi fa chiamammo questi criminali "lupi impazziti". Non possiamo purtroppo che confermare ed aggravare quel giudizio. La reazione del paese, già in queste prime ore, è stata compatta. Ne fanno fede le due nobilissime dichiarazioni che Moravia e Sciascia hanno rilasciato al nostro giornale. Si tratta di due uomini che, in modi diversi, rappresentano due punti di riferimento importanti per gli italiani. Il loro giudizio esprime sentimenti e propositi che sono di tutti noi. Questo l'editoriale di Eugenio Scalfari, come sempre asciutto e incisivo. Fortunatamente, come sappiamo, quel comunicato numero 7 delle Brigate Rosse si rivelò un falso clamoroso, architettato da un balordo aggregato alla famosa "Banda della Magliana" di nome Tony Chicchiarelli, autore di una clamorosa rapina da 35 miliardi di lire (dell'epoca) alla Brink's Securmark, avvenuta il 25 marzo 1984, ucciso da un ignoto killer pochi mesi dopo, il 26 settembre. Tornando all'articolo di Scalfari, ci sembra giusto riproporvi i due scritti citati e pubblicati in prima pagina su la Repubblica, quelli di Alberto Moravia e di Leonardo Sciascia. Moravia scriveva: Comunque vada a finire, siamo arrivati all'ultimo atto di questa losca vicenda. In un momento come questo accetto volentieri l'invito a ripetere la mia opinione. Sono stato in Unione Sovietica e in Cina e ho profonda ammirazione per le due rivoluzioni che ci sono state in quei paesi. Credo anche però che a quelle rivoluzioni non siano seguiti due modelli di società accettabili nell'Europa occidentale e in particolare in Italia. Perchè dico questo? Lo dico perchè le Brigate rosse dimostrano, sia attraverso la loro ideologia che il loro comportamento pratico, di essere un gruppo di tipo staliniano in ritardo. Il loro ricorso ad una sentenza di condanna a morte dimostra da solo la completa estraneità di questo gruppo alla cultura europea e italiana. A chi obietta che qualunque rivoluzione e qualunque gruppo di rivoluzionari ha in qualche modo praticato la pena di morte, rispondo che questo comportamento si valuta non in sè, bensì sullo sfondo dei valori e dei princìpi che intende, con metodi violenti, instaurare. Sono appunto i princìpi e i valori delle Brigate rosse che mi ripugnano. Quanto alla mia sensazione di estraneità rispetto a questo paese, credo di essere stato frainteso. Io ho inteso dire, e qui lo ripeto, di sentirmi estraneo alla gestione dello Stato italiano quale è stata fatta dai gruppi dirigenti negli ultimi trent'anni. Non mi sento invece affatto estraneo a quello Stato che, molti anni fa, nacque dall'antifascismo e dalla Resistenza. Tanto poco mi sento estraneo che in caso di guerra civile o di conflitto nel quale si dovessero difendere i valori di quell'epoca lontana, io non esiterei a schierarmi apertamente e con nettezza da quella parte. Opero quindi una distinzione e lo faccio a ragion veduta. Non soltanto infatti bisogna distinguere a mio avviso tra questi due Stati, ma è anche necessario separare in maniera netta il modo in cui questa repubblica si fondò dopo l'ultima guerra e il modo con il quale è stata gestita. Ciò che ha dato una parvenza di giustificazione ai recenti assassinii, sono stati i feticismi che hanno accompagnato la trasformazione di un'iniziale democrazia in un regime. E' ovvio che una simile concezione dei diritti dell'uomo esclude a priori il disprezzo della vita umana, quale che essa sia, e l'uso dell'uomo da parte dell'uomo come uno strumento anzichè come un fine. Io non posso cessare di rifarmi in alcun momento a quel patrimonio di libertà che consentì un giorno a Rimbaud di esclamare; "Siamo tutti figli della Rivoluzione francese". Fin qui Alberto Moravia, mentre Leonardo Sciascia scriveva: Ripristinando nel nostro paese la pena di morte, le Brigate rosse non solo si sono poste al di fuori di quella legittimità o legalità rivoluzionaria che follemente dicono di rappresentare, ma hanno reso più difficile e angosciosa la difesa della libertà a coloro che per tutti la difendono. L'abolizione della pena di morte è stato un fatto rivoluzionario in Italia e io speravo che al di là della pietà le Brigate rosse se ne ricordassero almeno nel loro dirsi rivoluzionari. Non è stato così. Si apre per tutti noi un duro avvenire. Ma per loro è il principio della fine.
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