non sempre basta dire Cavaliere...
Ebbene sì, c'è cavaliere e Cavaliere. In Italia si ha la strana abitudine di omaggiare personaggi pubblici e politici (più o meno di rango) con l'appellativo pomposo di Cav., Grand'Uff., Comm., etc... senza sapere se chi ne se fregia ne abbia in effetti la titolarità. Inutile dirvi chi è il cavaliere che tante volta abbiamo evocato nei nostri post (faremmo un torto alla vostra attenzione e alla vostra intelligenza) e inutile ricordarvi chi era l'Avvocato. Oggi noi vorremmo portare alla vostra attenzione, invece, un vero Cavaliere, uno che veramente è degno di tale appellativo, soprattutto alla luce di quello che ha fatto e che vi riporto integralmente dall'articolo de L'espresso da oggi in edicola (e riportato in prima pagina anche da la Tribuna di Treviso). Il Cavaliere si chiama Achille Ceccato e a 77 anni ha sentito l'esigenza di restituire l'onoreficenza al Capo dello Stato, in quanto non si riconosce più in questa Italia. Ecco l'articolo. «Signor Presidente, è con vivo rammarico che sono giunto alla determinazione di restituirle l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica, che mi è stata conferita dal suo predecessore e mi era giunta molto gradita». Così comincia la lettera di Achille Ceccato, «trevisan dea Cae» trasferitosi a Casier, a Giorgio Napolitano. Disgustato da come vanno le cose in Italia, Ceccato, 77 anni, getta la spugna. Anzi, la croce. Ce l’ha con i politici, i loro privilegi e la loro arroganza, l’ex dipendente della Tarvisium biciclette ed ex sottufficiale, ex autista della Siamic, ex magazziniere della Osram, ancora pluridecorato donatore dell’Avis. Ce l’ha «con una giustizia che non garantisce la certezza della pena, con chi froda ed evade il fisco impunemente, con chi dà i domiciliari a un ubriaco che ha ammazzato quattro bambini travolgendoli». Ce l’ha «con i Selva che usano le ambulanze come taxi, con i Bossi che vogliono buttare la bandiera nel cesso», con i «tifosi violenti che alla fine passano per vittime dopo aver ammazzato un poliziotto» e con «quelli che gridano “una, cento, mille Nassirya”». «Ma non voglio fare la figura del fascista - dice - Io vedo le cose da cittadino. In politica non sono ferrato, ma mi basta ciò che vedo per provare rabbia e vergogna d’essere italiano». Questo lo precisa dopo aver ricevuto la lettera di risposta dalla segreteria del presidente Napolitano che, a firma Carlo Guelfi, dice che «il Capo dello Stato, che pure comprende i sentimenti di disappunto e insoddisfazione che lei prova di fronte a tanti accadimenti negativi, la invita a ripensare alla sua decisione». Il presidente si augura che Ceccato «tenga fermo, con tenacia e perseveranza, il suo impegno di contrasto o di appoggio, secondo i suoi liberi convincimenti, sulle varie problematiche elencate». Ma Ceccato non pare addomesticabile. «Ci sono situazioni che m’impongono di prendere le distanze dal mio Paese - aveva scritto al presidente nella lettera di ricusazione del cavalierato - quando vedo che si continuano a privilegiare personaggi che per il loro passato di nemici dello Stato, quando non assassini o complici di assassini, dovrebbero essere tenuti ai margini della vita pubblica. E quando vedo che si depennano o si puniscono in modo vergognosamente lieve reati di frode ed evasione fiscale che hanno rovinato decine, centinaia, migliaia di altri onesti cittadini che pagano le tasse fino all’ultimo centesimo». Altro ancora aggiunge, il cavaliere Achille Ceccato. L’invito di Napolitano a «resistere»? «Non credo di essere disposto a tenere duro, mi sa che quella croce la resituirò comunque a Roma». Una decisione maturata in poco tempo, la sua: «L’avevo incorniciata, quella onorificenza. Ma, man mano che sul mio tavolo si accumulavano le malversazioni, le porcherie, i ricchi conti della politica, la guardavo con sempre più rabbia. Un bel giorno, l’ho staccata dalla parete e mi sono detto: io con questa gente non c’entro nulla. Che c’entra Ceccato con i parlamentari che intascano 24 mila euro al mese, che chiedono liquidazioni milionarie, che hanno privilegi e benefit scaldalosi, che prendono pensioni mostruose per fare andare l’Italia così da schifo? Che c’entro io con le Ciccioline e le Santanchè in Parlamento, con i governatori regionali col recìn? Cavaliere di cosa? Ho preso carta e penna e ho scritto al Paron de casa». Nessuno l’ha sconsigliata di farlo? «Certo. E anche in buona fede. La mia onorificenza mi è arrivata su iniziativa dei militari per i quali ancora m’interesso del Circolo sottufficiali del presidio e, quando l’ho avuta, mi è sembrata una cosa più grande di me. Un colonnello che mi vuole bene mi ha detto: lascia perdere, tanto non cambia nulla. Ma io davvero non ce l’ho fatta. Mi scalciava lo stomaco, mi scoppiava la testa». Il gesto è importante, ma di fatto non cambia granchè... «Avessi dieci anni di meno chiederei asilo in Austria. Sì, va bene, anche quelli, con un berretto in testa e un fucile in mano, ne hanno combinate di belle... Allora Svizzera, Francia. Ma ho 77 anni e mi restava solo questo per sentirmi meno complice». Lei ce l’ha solo con quelli in Parlamento, oppure... «Ce l’ho con i privilegi generati dal potere. E con servizi pubblici incancreniti, “ottimizzati” alla faccia di chi ha pagato onestamente le tasse per una vita. Quattro anni fa ho avuto una broncopolmonite. Dopo otto giorni mi hanno dimesso, dicendomi di passare dal mio medico per fare l’impegnativa per la broncoscopia. Ero lì in ospedale, cosa gli costava farmela. In compenso il vicesindaco per una prostatite ha fatto 51 giorni dentro, con la camera piena di telefoni come fosse il presidente degli Stati Uniti. Questo è solo un esempio, ma ne ho una cartella piena...». Restituisce la croce o no? «Mi dispiace per Napolitano, brava persona, ma penso proprio di sì».
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