l'Antipatico

domenica 6 aprile 2008

Ciriaco De Mita, elogio dell'ingratitudine




Se ne era stato buono buono per qualche settimana, dopo l'inopinata uscita di scena a seguito del mancato rinnovo di fiducia da parte di Walter Veltroni. Aveva strepitato un pò (seppur in dialetto) ed aveva dato dell'ingrato al leader del Partito Democratico. Si era sentito peggio di Mastella (scartato e pronto per essere termovalorizzato), si era lamentato per il trattamento ricevuto ed in cuor suo covava vendetta e risentimento. E puntualmente oggi esce allo scoperto. Ciriaco De Mita, vecchia bandiera (arrotolata) della DC, in un'intervista a Federico Geremicca, pubblicata su La Stampa di Torino, si leva qualche sassolino dalla scarpa e non le manda a dire. Vi proponiamo l'articolo per esteso. Buona lettura.
La macchina s’inerpica a fatica lungo i tornanti dell’entroterra salernitano. Seduto come d’abitudine affianco all’autista, Ciriaco De Mita rimugina - a modo suo, ovviamente - sugli errori degli altri e sulle ingiustizie della vita. «Che vuole che le dica... Hanno deciso di innovare e hanno scelto di farlo affidandosi al criterio dell’età, e così ora Veltroni si ritrova le liste piene di giovani innocenti che vanno in tv e ammettono candidamente di non capir nulla di politica. Io fuori, loro dentro. Vede, non ho intenzione di attaccar briga, ma mi verrebbe voglia di citare Wiston Churcill: che una volta, polemizzando con un competitore, arrivò a dirgli “non mi costringa ad approfittare della sua giovane età!”. Invece, mi limito a osservare che non ho mai visto il pensiero discriminato in rapporto all’età: e che finirò per essere la testimonianza vivente dei loro errori». Vivente e arzillamente saltellante. Perchè quando i tornanti finiscono e la macchina si ferma davanti a un ristorante di Bracigliano, l’ex presidente del Consiglio e segretario della Dc (80 anni compiuti un paio di mesi fa) ne esce fuori come una molla e si avvia a consumare un pranzo interamente a base di capra, che tramortirebbe perfino un minatore. Lo aspettano un centinaio di persone. Come centinaia e centinaia di fan (e di clientes, intendiamoci) lo attendono in ognuno dei paesini campani che De Mita sta battendo a tappeto in una campagna elettorale stile anni ‘50. Dopo aver rotto con il Pd di Veltroni, De Mita è oggi candidato capolista al Senato per l’Udc in Campania; e seguirlo in qualcuna delle sue iniziative è un vero e proprio tuffo nella vecchia politica. Niente video, Internet, blog, chat e modernità del genere; centinaia di chilometri al giorno tra paesoni e paesini, contatti personali con candidati ed elettori ai quali porta un verbo che per molti, qui, è piacevole ascoltare: «C’è un grande moto di risveglio della cultura democristiana. Lasciate stare le sigle, Udc, Cosa Bianca, Rosa Bianca... Noi siamo dc, punto e basta». La Campania è un campo di battaglia elettorale devastato. La camorra, l’immondizia, la mozzarella, Bassolino ibernato al suo posto, Pecoraro Scanio indagato e le immagini degli allevamenti di bufale e delle colline di rifiuti in giro sulle tv di tutto il mondo. Il vecchio centrosinistra qui rischia una drammatica Caporetto, con De Mita che porta i suoi voti altrove, l’effetto “monnezza” e Mastella che non controlla più le sue falangi in rotta. Già, Mastella, antico e fedelissimo braccio destro demitiano nei “favolosi anni ‘80”. «Clemente ho cercato di recuperarlo, di candidarlo con me - racconta De Mita mentre al ristorante, come fosse al tavolo degli sposi, fanno la fila per omaggiarlo -. Ma il colpo è stato duro, e lui non ragiona più. Io volevo recuperarlo: ma lui, non la sua famiglia, moglie e figlio compresi...». Divise da un pezzo dell’Appennino campano, Avellino e Benevento, cioè i regni di “Clemente” e di “Ciriaco”, sono fotografia quasi perfetta della “vecchia politica” che non s’arrende e di quella, ugualmente antica, che getta invece la spugna, travolta dai tempi e dagli eccessi di furbizia. Quanto a furbizie, però, Mastella non sarebbe l’unico - secondo De Mita - uso a considerarsi più furbo degli altri. «Penso a quel che accade a Bassolino - spiega -. Sia chiaro: in una situazione normale avrebbe dovuto già dimettersi, con la sinistra che si chiama fuori, l’Udeur che non c’è più e io che ho rotto col Pd. Ma non fa polemiche, lavora ed è sicuramente più serio di altri che ne approfittano e lo attaccano». E per restare alle furbizie, nemmeno Veltroni sarebbe da meno. «Io non andai a Torino al discorso col quale scese in campo alla guida del Pd - racconta -. Fu gentile: me lo mandò e mi disse “se qualcosa non ti convince chiamami che mi interessa sapere perchè”. Lessi il testo, poi lo chiamai elencando alcune obiezioni: a metà telefonata interruppe la comunicazione e da allora non l’ho sentito mai più... Ha proceduto a molte deroghe circa i criteri di non candidabilità: perfino Castagnetti è stato recuperato. Io no, troppo anziano. Ora, a me dell’elezione non importa nulla, perchè se il problema era tornare in Parlamento mi candidavo alla Camera ed era fatta, non al Senato dove la sfida per l’8% è ancora in salita. Quel che non ho accettato è che il mio nome venisse discusso appunto e soltanto per una questione di età». Sia come sia, l’ennesima sfida di De Mita è ormai lanciata ed è tutta giocata in polemica con i due partitoni e i loro leader. «L’inizio della fine del sistema è stata la personalizzazione della politica», dice in una sala strapiena dell’Università di Salerno e dimenticando che la via al leaderismo l’aprirono proprio lui e Bettino Craxi nei durissimi duelli degli anni ‘80. Ora punta al recupero della partecipazione, e citando Moro - con Biagione Agnes come sempre ad ascoltarlo in prima fila - spiega che «la politica è il governo intelligente degli eventi, e state attenti perchè, come diceva quel saggio di mio nonno, quando una faccenda complessa ti pare semplice vuol dire che non hai capito niente». E’ anche per questo che ha apprezzato la scelta da Casini. Ma naturalmente De Mita - e chi lo conosce lo sa - è sempre parco di riconoscimenti. E dunque, alla fine, commenta così la rottura consumata da Pier. «E’ stato coraggioso, certo. Mi ricorda il film sul generale Della Rovere che indossò la divisa quasi per gioco e poi gli toccò fare l’eroe...». Paragone niente male. Adattabile, in fondo, anche alla scelta fatta da lui: democristiano inossidabile e non pentito in questo angolo di Magna Grecia...

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