l'Antipatico

domenica 30 marzo 2008

aveva ragione Eugenio Scalfari...(capitolo 7)




A due settimane dal voto, a quattordici giorni dall'appuntamento incredibilmente importante per il nostro Paese, a scanso di equivoci e di errori di valutazione, vi riproponiamo un altro illuminante articolo di Eugenio Scalfari, scritto per la Repubblica il 26 novembre 1995, dedicato sempre all'ineffabile cavaliere e alle misteriose origini delle sue fortune. Sono trascorsi tredici anni, ma i dubbi e le amletiche riflessioni rimangono tali e quali anche oggi, proprio alla vigilia della imperdibile occasione di poter invitare, tutti insieme, il cavaliere al pensionamento: un modo elegante e democratico di togliercelo dalle scatole. Ed ora buona lettura. A volte mi prende un senso di sconforto, di sconsolazione profonda per gli errori che erano stati previsti in tempo e indicati, ma che malgrado i ripetuti e documentati avvisi furono pervicacemente commessi, fonte di altri errori successivi e di successivo degrado morale e politico. Così fu per Craxi: quindici anni di denuncia d'un personaggio che si era trasformato in un capobanda installato ai vertici del potere. Quindici anni di battaglia solitaria che conducemmo nell'indifferenza quasi generale e che sfociò infine in una conversione massiccia quanto tardiva all'anticraxismo di tutti coloro che fino a quel momento l'avevano sostenuto, votato e osannato. La storia si è ripetuta con Silvio Berlusconi. Era chiarissimo fin dall'inizio che si trattava d'un uomo d'affari spregiudicato, entrato in politica per salvare le sue aziende, col carico degli interessi e delle compromissioni che facevano parte integrante della sua biografia e del suo passato. Erano chiarissimi i suoi legami col vecchio regime e con i personaggi che ne rappresentavano la corrotta oligarchia. Lo dicemmo e lo ripetemmo fin dalla metà degli anni Ottanta, quando il partito della Fininvest già operava in Parlamento e nei ministeri per piegare le istituzioni alla volontà dell'azienda e poi quando, nell'inverno del '94, l'azienda decise di entrare direttamente nella competizione politica, fenomeno senza precedenti nel mondo intero. Ora anche nel campo di chi ci considerò faziosi e profeti di immaginarie sventure si misurano i guasti di quanto è avvenuto e si cerca tardivamente di porvi rimedio. Altri dieci anni perduti, altri silenzi colpevoli, altre ossessioni ideologiche, un ingorgo politico, una paralisi istituzionale, un'opinione pubblica manipolata e un desolante imbarbarimento. A che serve aver visto e avvisato per tempo quanto sarebbe accaduto? A che serve aver avuto ragione? Gli italiani sono dunque una plasmabile cera nelle mani dei demagoghi? Bastano un paio di slogan senza sostanza e un paio di barzellette televisive per incantarli e ottenerne il consenso? Adesso il padrone del partito-azienda, chiamato in giudizio dai magistrati, ci racconta che doveva pagare un arabo e che quei miliardi, "per una curiosa coincidenza", arrivarono su un conto svizzero di Bettino Craxi. Ed entra in scena un improbabile Alì Babà a fargli da spalla. Vedranno i giudici fino a che punto questa favola sia credibile. Ma intanto apprendiamo dallo stesso interessato che nel suo impero finanziario ci sono almeno otto società-ombra residenti nei paradisi fiscali della finanza truffaldina, attraverso le quali scorre un fiume di miliardi all'insaputa del mercato, degli azionisti e del fisco. Da dove vengono quei miliardi (centinaia e centinaia), dove vanno, perchè non transitano nei bilanci ufficiali presentati ai revisori dei conti e alla Consob? E il personaggio che è alla guida di questo enorme giro di capitali occulti è stato plebiscitato il 27 marzo da dieci milioni di ignari elettori, è stato incaricato di presiedere un governo nazionale, ha aperto una guerra implacabile contro i magistrati colpevoli di volere veder chiaro in quell'immenso pasticcio, ha conquistato tutto il sistema televisivo privato e pubblico e fa la vittima disconoscendo la legalità dei tribunali che dovrebbero giudicarlo. Questo spettacolo, che va in scena da un anno e mezzo, ha dell'incredibile. E' diventato una farsa, ma potrebbe anche finir male, molto male, perchè ha dato spazio a uomini d'avventura che giocano ormai il tutto per tutto pur di non essere travolti dalla verità che sta venendo inarrestabilmente a galla. E la verità è questa: semmai c'è stata un'azienda le cui fortune sono abbinate strettamente al sostegno d'un partito, questa è stata la Fininvest. Caduto quel partito sotto il peso della corruttela, l'azienda ne ha preso direttamente il posto. Il paradosso consiste nel fatto che gli elettori che l'hanno votata il 27 marzo credevano di votare in quel modocontro i partiti. Incredibile ma vero. Così terminava l'articolo (l'ennesimo) contro il cavaliere da parte del fondatore del quotidiano romano. Come sempre, una impressionante sequenza di fatti e citazioni che ci riportano il 1995 ai giorni nostri, proprio a dimostrazione del fatto che le reiterate accuse contro l'omino di Arcore non possono essere catalogate solo come frutto della faziosità e dell'acredine politica contro questo "furbetto" meneghino (che solo grazie all'immunità parlamentare e al suo ruolo di premier, che vorrebbe riprendersi il 14 aprile, è riuscito sempre a svangarla) ma che un fondo di verità deve necessariamente esserci. Indubitabilmente.

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