consigli per il cavaliere
In questo periodo di campagna elettorale assistiamo a giornalieri inviti e suggerimenti, da parte di prime firme di giornali, commentatori ed editorialisti di peso, nei confronti dei vari protagonisti a capo delle rispettive coalizioni politiche. Uno dei più accattivanti che abbiamo letto è senz'altro il consiglio contenuto nell'articolo di questa mattina, pubblicato su La Stampa di Torino a firma del sarcastico Mattia Feltri, dal titolo "Cavaliere si faccia coraggio" che vi riproponiamo integralmente. Buona lettura.
Ora resta da stabilire se Walter Veltroni sia straordinariamente impegnato oppure una simpatica canaglia: il resto è chiaro. Mercoledì (versione Bruno Vespa) o al massimo una settimana prima (versione del loft) il capo del Partito democratico ha declinato l’invito di Porta a Porta per la trasmissione di stasera; in omaggio alla par condicio, la Rai ha dovuto cancellare anche la puntata prevista per ieri con Silvio Berlusconi. Posto il dilemma iniziale, l’interpretazione diabolica è che Veltroni abbia escogitato il sistema per farla pagare al carissimo rivale: non vuoi affrontare il confronto con me? E io ti oscuro; se in tv non ci andiamo insieme, non ci va nessuno dei due. Berlusconi la mette giù anche più dura e meno sofisticata: quelli del Pd sono i soliti prepotenti, antidemocratici e comunisti. Di sicuro, Veltroni da settimane chiede a Berlusconi di incrociare opinioni e proposte davanti alle telecamere, e da settimane Berlusconi fischietta noncurante. E poi si diverte a fare il ganassa, come si dice a Milano: io in televisione straccio chiunque. Sarà, ma la storia non è nuova. Già nel 2001 il leader del centrodestra si negò a Francesco Rutelli con la giustificazione che il contendente di turno non era altro che un burattino nelle mani di Massimo D’Alema; tuttavia si guardò bene dal concedersi al burattinaio. La cosa si ripete oggi, sette anni più tardi, e la costante è che Berlusconi conduce, secondo i sondaggi, con parecchi punti di vantaggio. Nel 2004, invece, il Cavaliere inseguiva. Le inchieste demoscopiche consegnavano a Romano Prodi un margine di gran sicurezza, ed era ovviamente l’inseguitore a sollecitare il duello con le alte e nobili ragioni della democrazia eccetera eccetera. Alla fine Prodi acconsentì e Berlusconi dovrebbe ricordare - e forse ricorda benissimo - che la sua spettacolare rimonta, madre della fragilità del governo dell’Unione, cominciò da lì. Le scuse proposte da Berlusconi per rifiutare a Veltroni quello che ebbe da Prodi sembrano piuttosto friabili. Siccome stavolta i pretendenti a Palazzo Chigi sono dodici, e non due, gli toccherebbe poi di sottostare ad altri dieci match, avviando uno spettacolare girone all’italiana, come nel campionato di calcio, per un totale di centodieci sfide. A parte che non ce ne sarebbe nemmeno il tempo, questo accadrebbe magari in un Paese un po’ più maniaco del nostro in fatto di regole, e probabilmente un Paese un po’ più maniaco del nostro avrebbe studiato un’altra legge elettorale e mai un mostro ridicolo e costantemente violato come la par condicio. Volendo - se è il rigore legalitario la recentissima moda - il problema sarebbe aggirabile con un confronto pubblico, in piazza, in uno stadio, in un palazzetto dello sport, in un teatro. Ma non è nemmeno questo il punto. Piuttosto, alla vigilia e successivamente alla caduta del governo, Berlusconi e Veltroni avevano annunciato una nuova epoca di fair play, in cui scompariva il nemico e subentrava l’avversario, dove si contrastavano i progetti e non si vilipendeva il progettista. I due si davano cordialmente appuntamento a dopo il voto per un lavoro in comune, chiunque fosse il vincitore, sui temi sommi del funzionamento del Paese, dell’economia e della sicurezza. Gli eccellenti propositi - apprezzati anche da questo giornale - sono andati a farsi benedire a suon di insulti ed è difficile immaginare che Silvio e Walter si incontreranno in Parlamento se non riescono a incontrarsi in seconda serata. Ecco, nel nascondersi Berlusconi sbaglia per diversi motivi, l’ultimo dei quali è la giustificazione. Tutti sanno che non ci sta per rifiutare al rivale, incagliato nei sondaggi, la minima possibilità di recupero, e cioè la medesima possibilità che gli concesse l’arcinemico Prodi. E quando uno è una simpatica canaglia, e fa una canagliata, si aspetti di essere ripagato con la stessa moneta.
Ora resta da stabilire se Walter Veltroni sia straordinariamente impegnato oppure una simpatica canaglia: il resto è chiaro. Mercoledì (versione Bruno Vespa) o al massimo una settimana prima (versione del loft) il capo del Partito democratico ha declinato l’invito di Porta a Porta per la trasmissione di stasera; in omaggio alla par condicio, la Rai ha dovuto cancellare anche la puntata prevista per ieri con Silvio Berlusconi. Posto il dilemma iniziale, l’interpretazione diabolica è che Veltroni abbia escogitato il sistema per farla pagare al carissimo rivale: non vuoi affrontare il confronto con me? E io ti oscuro; se in tv non ci andiamo insieme, non ci va nessuno dei due. Berlusconi la mette giù anche più dura e meno sofisticata: quelli del Pd sono i soliti prepotenti, antidemocratici e comunisti. Di sicuro, Veltroni da settimane chiede a Berlusconi di incrociare opinioni e proposte davanti alle telecamere, e da settimane Berlusconi fischietta noncurante. E poi si diverte a fare il ganassa, come si dice a Milano: io in televisione straccio chiunque. Sarà, ma la storia non è nuova. Già nel 2001 il leader del centrodestra si negò a Francesco Rutelli con la giustificazione che il contendente di turno non era altro che un burattino nelle mani di Massimo D’Alema; tuttavia si guardò bene dal concedersi al burattinaio. La cosa si ripete oggi, sette anni più tardi, e la costante è che Berlusconi conduce, secondo i sondaggi, con parecchi punti di vantaggio. Nel 2004, invece, il Cavaliere inseguiva. Le inchieste demoscopiche consegnavano a Romano Prodi un margine di gran sicurezza, ed era ovviamente l’inseguitore a sollecitare il duello con le alte e nobili ragioni della democrazia eccetera eccetera. Alla fine Prodi acconsentì e Berlusconi dovrebbe ricordare - e forse ricorda benissimo - che la sua spettacolare rimonta, madre della fragilità del governo dell’Unione, cominciò da lì. Le scuse proposte da Berlusconi per rifiutare a Veltroni quello che ebbe da Prodi sembrano piuttosto friabili. Siccome stavolta i pretendenti a Palazzo Chigi sono dodici, e non due, gli toccherebbe poi di sottostare ad altri dieci match, avviando uno spettacolare girone all’italiana, come nel campionato di calcio, per un totale di centodieci sfide. A parte che non ce ne sarebbe nemmeno il tempo, questo accadrebbe magari in un Paese un po’ più maniaco del nostro in fatto di regole, e probabilmente un Paese un po’ più maniaco del nostro avrebbe studiato un’altra legge elettorale e mai un mostro ridicolo e costantemente violato come la par condicio. Volendo - se è il rigore legalitario la recentissima moda - il problema sarebbe aggirabile con un confronto pubblico, in piazza, in uno stadio, in un palazzetto dello sport, in un teatro. Ma non è nemmeno questo il punto. Piuttosto, alla vigilia e successivamente alla caduta del governo, Berlusconi e Veltroni avevano annunciato una nuova epoca di fair play, in cui scompariva il nemico e subentrava l’avversario, dove si contrastavano i progetti e non si vilipendeva il progettista. I due si davano cordialmente appuntamento a dopo il voto per un lavoro in comune, chiunque fosse il vincitore, sui temi sommi del funzionamento del Paese, dell’economia e della sicurezza. Gli eccellenti propositi - apprezzati anche da questo giornale - sono andati a farsi benedire a suon di insulti ed è difficile immaginare che Silvio e Walter si incontreranno in Parlamento se non riescono a incontrarsi in seconda serata. Ecco, nel nascondersi Berlusconi sbaglia per diversi motivi, l’ultimo dei quali è la giustificazione. Tutti sanno che non ci sta per rifiutare al rivale, incagliato nei sondaggi, la minima possibilità di recupero, e cioè la medesima possibilità che gli concesse l’arcinemico Prodi. E quando uno è una simpatica canaglia, e fa una canagliata, si aspetti di essere ripagato con la stessa moneta.
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