l'Antipatico

giovedì 13 marzo 2008

aveva ragione Eugenio Scalfari...(capitolo 4)




Non possiamo fare a meno di riproporvi un altro splendido articolo (un pò lunghetto per la verità) scritto da Eugenio Scalfari su la Repubblica del 19 aprile 1998, intitolato (ma guarda un pò) "L'adorabile bugiardo" e dedicato (manco a dirlo) al principe dei menzogneri: Sua Maestà Silvio "Big Lie" Berlusconi. Sono trascorsi 10 anni ma le bugie dello "smemonano" non sono affatto invecchiate. Buona lettura. Come tutti gli uomini d'affari e imprenditori di spicco anche Berlusconi aveva il suo soprannome col quale veniva più o meno affettuosamente chiamato dai suoi clienti, dai suoi fornitori, dai suoi concorrenti (pochi questi ultimi perchè ben presto fece piazza pulita intorno a sè). Lo chiamavano il Bugiardo. Non c'era intenzione malevola, era una constatazione oggettiva, era la sua natura invincibile. Diceva le bugie con disarmante candore; le diceva perfino quando non era necessario e neppure utile all'andamento dei suoi affari, non poteva farne a meno. Lo so perchè l'ho visto sul lavoro molto da vicino quando trattò con la Mondadori di Mario Formenton lo scalpo di Retequattro e poi, per quasi due anni, nella cosiddetta guerra di Segrate che si concluse con la divisione in due di quel grande gruppo editoriale del quale anche "Repubblica" e "L'Espresso" per un breve periodo fecero parte. Lui raggiungeva un accordo alla sera e già la mattina dopo l'aveva violato; gli si portavano le prove della violazione compiuta e lui negava e ne dava la colpa all'interlocutore. "Che cosa ha detto oggi il Bugiardo?" ci si chiedeva e quel nomignolo correva in Borsa, nelle case editrici, sul filo del telefono. In Francia, dove era sbarcato con la "Cinq", lo chiamavano "tricheur" perchè dopo pochi mesi anche lì avevano imparato a conoscerlo. Perciò mi ha fatto sorridere l'altro giorno sentirlo in televisione affibbiare il suo soprannome al presidente del Consiglio dall'alto della sua tribuna congressuale che sembrava collocata in cielo, appena un palmo sotto a Dio. Il Bugiardo dava del bugiardo a Prodi: da non crederci. Ma la sua grande forza (chi lo conosce bene lo sa) non sta nel mentire, ma nel credere in perfetta buona fede che le sue menzogne siano verità assolute e incontrovertibili. Affronterebbe il martirio per sostenere le sue bugie. Quando proclama la sua innocenza sulla testa dei figli per quanto riguarda i reati di corruzione di cui è accusato, non bisogna pensare che faccia quel giuramento a cuor leggero: lui è persuaso di essere innocente "nella sostanza"; magari pensa d'aver violato qualche formalismo procedurale ma si sente immacolato come la Vergine Maria nella sostanza. Per questo ha giurato sui figli: se ha fatto passare qualche mazzetta nelle mani della Guardia di finanza, se ha unto un pò di ruote innaffiando di denari magistrati e faccendieri, capi partito e grandi burocrati dello Stato; se questi comportamenti ci sono veramente stati, si può esser certi che lui li ha rimossi, li ha scordati ed è persuaso fino in fondo di avere pagato tutte le tasse dovute, d'aver rispettato tutte le leggi, d'essere stato il campione della più leale concorrenza e soprattutto di essere il più bravo di tutti. Ha vinto la corsa perchè è il più veloce. Questa è la sua verità e lui non soltanto la grida ai quattro venti ma ne è convinto nell'intimo e si ama. Ebbene, uno così non vi fa tenerezza? Insieme all'inesauribile capacità di costruire una montagna di bugie, un altro aspetto del suo naturale talento consiste nell'essere un negoziatore e un venditore nato. Organizzò le sue emittenti televisive andando direttamente a vendere gli spazi pubblicitari agli inserzionisti e bisognava vederlo all'opera: era fantastico. Pur di ascoltarlo vantare il suo prodotto e le virtù pubblicitarie delle sue tv gli inserzionisti erano disposti a comprare tutto ciò che offriva. Gianni Agnelli, che non è un uomo facilissimo, con lui si divertiva come un bambino e lui non chiedeva di meglio che divertirlo. Poi i giochi sono cambiati e i ruoli anche. Ma Silvio nell'intimo è rimasto un bontempone, un imbroglione, un mentitore, un cuore d'oro fin quando non ne vanno di mezzo i suoi affari. Quando può aiuta i poveri e sostiene gli infelici; frega i soci e i concorrenti; sfrutta i dipendenti fino all'osso e infatti nelle sue trecento e passa aziende il sindacato è come non esistesse; truffa lo Stato ritenendo in questo modo di guadagnarsi un pò di paradiso; adora i figli e la mamma; sulle donne ha opinioni precise ma quali siano lo lascio indovinare. Insomma appartiene a quel tipo di italiani che gli stranieri pensano che noi siamo e nel suo breve transito alla guida del governo ha avuto modo di confermarlo: simpatici, vivaci, ignoranti, furbi, inaffidabili. Nel 1994 un uomo così ha fondato un partito, ha vinto le elezioni, ha presieduto un governo. Adesso è il capo dell'opposizione. Le sue aziende continuano a prosperare e lui ne è tuttora alla guida. Un fenomeno, no? Gran parte dei giornalisti che hanno seguito il primo congresso di Forza Italia, pur nella disparità dei commenti, si sono trovati concordi nell'affermare che quello non è un partito di plastica. "Il partito c'è - hanno proclamato - ed è fatto di carne e sangue". Perdinci, hanno ragione: il partito c'è, è fatto di carne e sangue e si vede. Per un caso la mattina del 16 scorso, giorno di apertura del congresso di Assago, andavo a Milano per fatti miei e ho volato su un aereo colmo di delegati di Forza Italia più qualche giapponese in soprannumero. Pur nella differenza dei tipi umani, si riconoscevano a distanza quei delegati, così come del resto si riconoscevano i giapponesi: erano allegri, vitali, distintivo del partito all'occhiello (chi porta più un distintivo di partito?), caciaroni, attaccati al telefonino fin dentro all'aereo malgrado gli inviti disperati delle hostess, desiderosi di fare amicizia, galanti, sboccati, contro il governo (ovvio), contro la politica (un pò meno ovvio), contro lo Stao (più che ovvio), antipatizzanti verso l'Europa. Quest'ultima definizione, che pure risulta chiarissima per chi ci abbia scambiato anche solo due parole, merita qualche spiegazione. In Europa i militanti di Forza Italia ci si sentono di casa; sono in buona parte professionisti e piccoli imprenditori, comunque lavoratori autonomi e benestanti. Con l'Europa ci lavorano, in Europa viaggiano di frequente, molti dei loro clienti e fornitori sono europei. Perciò l'Europa gli sta nel sangue, ma che l'Europa esprima anche un'Autorità e delle regole di convivenza da rispettare, che imponga qualche vincolo e qualche sacrificio, questo no, non gli piace affatto, come i simpatizzanti della Lega, che in questo gli assomigliano come gocce d'acqua. L'Europa, certo; il mercato europeo, certissimo; ma l'Alta Autorità, la Banca centrale, i Commissari di Bruxelles, le direttive comunitarie: vogliamo dunque cascare dalla padella della burocrazia italiana sulla brace delle regole della Comunità? Questo è il comune sentire dei forzisti come dei leghisti. C'è nel loro europeismo un sentore di strapaese che si percepisce a prima vista. Del resto il loro capo è fatto della stessa pasta. Infatti in Europa sono Prodi e Ciampi che ci stanno portando; Berlusconi avrebbe avuto almeno due possibilità di fare il "beau geste" attribuendosi un merito non piccolo: quando cadde il governo Dini e quando Rifondazione provocò la crisi poi rientrata; ma non mise neppure un dito nell'acqua tiepida. Fu un errore politico grave, ma evidentemente non sentiva quel problema. Quanto all'essere o non essere di plastica, forse bisogna intendersi sulla parola. La plastica è un prodotto derivante da materie organiche e ha la caratteristica di essere facilmente plasmabile. La forma che può assumere cambia con estrema facilità secondo lo stampo che le si imprime. Finora lo stampo (assai variabile anche sul breve tempo) glielo ha impresso il fondatore con le sue mani, i suoi logorroici monologhi, le sue televisioni e i suoi coreografi. Assago ne è stata l'ultima conferma con le 122 interruzioni di applausi all'arringa del Capo. Non è plastica? Come la volete chiamare? Il discorso cambia e diventa molto più serio se da Berlusconi e dal suo partito di plastica passiamo ai molti milioni di italiani che l'hanno votato e che presumibilmente continueranno a votarlo. Chi sono? Possibile che non si accorgano, che non ridano di quel fenomeno da baraccone, che non percepiscano la gravità del conflitto di interessi tra il suo aziendalismo e le regole d'una civile comunità, che non giudichino la sua irrefrenabile logorrea di parole parole parole, che non misurino la distanza che corre tra lui e il De Gasperi di cinquant'anni fa rappresentante di tutt'altra cultura e distante anni luce da quella berlusconiana? Ebbene, questa parte così rilevante del paese esprime una sua visione coerente della società e del futuro: rappresenta i bisogni, gli interessi, l'ideologia - sì, l'ideologia - dei produttori proprietari. La vera rivoluzione di questi anni è il graduale ma rapido avvicinarsi di due categorie sociali e mentali che per molto tempo sono state lontane e quasi sempre in conflitto tra loro: produttori e proprietari. Per molto tempo i produttori furono lavoratori dipendenti, salariati, impiegati, tecnici, dirigenti. I proprietari erano i titolari della rendita e del profitto. Tra queste due classi ci fu scontro e il classismo trasse la sua forza ideologica da questa separazione e da questa contraddizione. L'evoluzione sociale sta riunificando questa contrapposizione storica: nasce la figura del lavoratore proprietario e autonomo. Ecco la novità che impone anche alla sinistra un radicale rinnovamento liberale. Mi chiedo se sia questo il gruppo sociale che sta dietro alle bandiere di Forza Italia. Credo che in gran parte sia questo anche se Forza Italia non sia il suo sbocco politico esclusivo. Mi chiedo anche se Forza Italia sia lo strumento politico adatto a rappresentare la "nuova classe" dei produttori proprietari. Credo di no se rimarrà il partito di plastica aziendale che abbiamo finora conosciuto, con la sua vocazione populista e demagogica. Il Berlusconi di Assago e di piazza del Duomo non è il De Gasperi del '48. Quel De Gasperi impose alla media borghesia italiana e all'Italia benestante e proprietaria rappresentata dalla Dc quattro novità traumatiche: la riforma agraria contro il latifondo, la riforma fiscale di Vanoni, i patti agrari in favore della mezzadria, la liberalizzazione degli scambi e l'abbattimento dei dazi doganali. Non a caso il De Gasperi del '48 guidava un partito di centro che, secondo la sua definizione, guardava a sinistra. Io non so se Forza Italia col passare del tempo si avvicinerà a questo tipo di cultura politica. Finora non se ne è visto alcun segnale, anzi si sono visti segnali di opposta specie. Ma se quest'evoluzione non ci sarà, la società dei produttori proprietari resterà senza rappresentanza politica. Ecco un problema estremamente serio per tutti, ecco un impegno di fondo cui la sinistra riformatrice non potrà sfuggire. Così terminava il lungo e affascinante (ed attualissimo) articolo di Scalfari del 19 aprile 1998. Alcuni quesiti, a nostro avviso, esplicitati nel pezzo giornalistico andrebbero posti oggi anche a Veltroni e Bertinotti (oltre che al solito "smemonano"). Saremmo proprio curiosi di ascoltare le loro risposte. Se ci saranno...

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